Interventi

Articolo pubblicato su “il manifesto” del 17.03.2021

A Torino ogni giovedì pomeriggio “Mamme in piazza per la libertà di dissenso” organizza un presidio di fronte al carcere Lorusso Cotugno dove è rinchiusa Dana Lauriola. Dana, sebbene incensurata, è stata condannata con il massimo della pena prevista per il reato di violenza privata, due anni di reclusione, perché nel 2012 insieme a altre/i in una manifestazione No Tav ha bloccato per circa 15 minuti l’autostrada, facendo passare le macchine senza pagare il pedaggio e informando con il megafono del motivo della protesta.

È stata inoltre respinta la richiesta di pene alternative, malgrado le condizioni favorevoli. Da poco ha finito di scontare la pena, per gli stessi motivi, a un anno di reclusione, Nicoletta Dosio, insegnante settantenne in pensione, anche lei incensurata. Gli arresti domiciliari per due anni sono stati dati a Stella Gentile che nella stessa manifestazione distribuiva volantini.

L’evidente e smisurata sproporzione tra i reati commessi e le pene comminate attenta alla libertà del dissenso ed evidenzia il cattivo funzionamento della giustizia nel nostro paese. Inquieta inoltre l’uso strumentale delle donne per criminalizzare lo scontro sociale. Di fronte alla grave e ingiustificata limitazione della libertà e offesa alla dignità umana da parte di chi avrebbe il compito di preservarle, la madre di Dana e altre madri, alcune di giovani ancora in attesa di giudizio, hanno deciso di trasformare la comprensibile rabbia e l’ansia individuale per la sorte dei/lle figli/ie in una protesta collettiva. Dall’8 ottobre denunciano e si adoperano perché non passi sotto silenzio la deriva securitaria in atto e tessono reti di solidarietà.

È anche un’accusa ai mass media che ne hanno parlato pochissimo per colpevole sottovalutazione o, più realisticamente, per non nuocere agli interessi forti che stanno dietro alle grandi opere. In Sardegna le madri di 45 giovani, attivisti del movimento contro la presenza di basi militari, rinviati a giudizio con l’accusa gravissima di associazione a delinquere con finalità terroristiche, si sono organizzate in “Madri contro l’operazione Lince. Contro la repressione”.

Non le spinge solo l’amore per i/le figli/ie, rivendicano orgogliosamente il ruolo di madri-educatrici ai valori della libertà, solidarietà e giustizia sociale. In una lettera alle madri di Torino scrivono: “Siamo state noi a crescerli con le idee e i sogni di un mondo senza lo stupro delle guerre, di un mondo senza l’orrore delle armi. Noi abbiamo trasmesso l’amore e il rispetto della terra…Noi li abbiamo…nutriti di pane e pensiero libero e critico…”. Hanno messo al mondo cittadini e cittadine consapevoli, in grado di difendere i propri convincimenti e dire no al potere, se va in direzione opposta al bene del mondo.

È ciò di cui un paese democratico dovrebbe andare fiero e favorire, invece di contrastare e reprimere. Le madri di Plaza de Mayo hanno fatto storia e l’autorità materna mostra in tanti modi la necessità di un altro ordine! A Napoli, “le forti guerriere” del rione Sanità chiedono giustizia dinanzi al tribunale per Fortuna Bellisario, uccisa selvaggiamente dal marito, che, condannato a dieci anni, è già agli arresti domiciliari. Un’altra evidente sproporzione tra reato commesso e pena comminata, con l’aggravante della concessione della pena alternativa dopo appena due anni di reclusione.

Sopravvive nella mentalità di alcuni giudici il famigerato delitto d’onore, quando impunemente gli uomini potevano liberarsi di una moglie o di una donna scomoda della propria famiglia. Madri e guerriere di Napoli sono un forte campanello di allarme sul malessere sociale causato da un potere patriarcale e liberista, votato al profitto, che moltiplica vergognosamente ingiustizie e privilegi. Che non rimangano Cassandre inascoltate!

L’autrice fa parte di Udipalermo

Un commento a “Processo alla giustizia, donne e madri in campo”

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