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Promemoria per i nuovi sindaci

Un estratto da "L'arte e lo Stato".
Pubblicato il 21 Ottobre 2021
Cultura, Materiali, Politica, Scritti, Temi, Materiali

II mondo antico era consapevole che il popolo aveva bisogno degli spettacoli circensi come del pane. A parte le esigenze politiche, i suoi governanti spendevano, per la propria gloria e soddisfazione, una quota rilevante della ricchezza nazionale per cerimonie, opere d’arte e grandiosi palazzi. Tali politiche, consuetudini e tradizioni non erano confinate al mondo Greco e Romano. Nei secoli diciottesimo e diciannovesimo la ricca nobiltà continuerà in modo privato, riservato e attutito quello che era stato il compito del monarca e dello Stato, con la Chiesa più o meno in declino. Ma nel diciottesimo secolo si fece strada una nuova visione delle funzioni dello Stato e della società, visione che raggiunse l’apice nel diciannovesimo secolo e che ancora oggi appare dominante.

Questa visione è rappresentata dall’ideale utilitarista e economico si potrebbe quasi dire finanziario come l’unico rispettabile proposito della comunità nel suo complesso; la più orrenda eresia, forse, che abbia mai raggiunto l’orecchio di un popolo civile. I poeti e gli artisti hanno levato occasionalmente deboli voci contro quest’eresia.

Credo che il Principe Consorte sia stato l’ultimo oppositore che si potesse trovare in alto loco, ma l’opinione del Tesoro ha prevalso. Non soltanto in pratica: la teoria è ugualmente potente. Ci siamo convinti che è assolutamente perverso per lo Stato spendere un centesimo per scopi non economici, e se sorge qualche occasione di spesa non economica che risulterebbe pubblicamente scandaloso perseguire, si pensa che basti capovolgere il cappello per chiedere l’elemosina ai privati.

Guardiamo alla conservazione dei monumenti nazionali ereditati dal passato come a una faccenda che debba dipendere dalle donazioni precarie e insufficienti di individui più attenti al bene pubblico di quanto non lo sia la stessa comunità. Dal momento che la Cattedrale di Lincoln, la quale incorona l’altura che per duemila anni è stata uno dei centri focali d’Inghilterra, potrebbe rovinare al suolo prima che il Tesoro prenda in considerazione un proposito troppo antieconomico da meritare un finanziamento pubblico, non c’è da meravigliarsi che le alte autorità non costruiscano più giardini pensili di Babilonia, non più piramidi, partenoni, colossei, cattedrali, palazzi, e neanche teatri lirici, palcoscenici, colonnati, boulevards e piazze pubbliche.

L’architettura è la più pubblica tra le arti, la meno privata nelle sue manifestazioni e la più adatta a dare forma e corpo all’orgoglio civico e al senso di unità sociale. La musica viene subito dopo; poi le varie forme teatrali; quindi le arti plastiche e pittoriche salvo che in alcuni aspetti della scultura e dell’arredamento, aspetti nei quali esse dovrebbero essere ausiliarie all’architettura; infine poesia e letteratura, per propria natura più private e personali.

Le nostre attuali politiche sono il riflesso di una certa filosofia politica, che io dico essere radicalmente sbagliata e che potrebbe persino, a lungo andare, minare la solidità delle nostre istituzioni.

Cambieremo le nostre politiche soltanto se cambieremo la filosofia che vi è sottesa. Io ho indicato un punto di vista alternativo, e mi si lasci concludere con due esempi di ciò che potrebbe scaturire da un mutamento di mentalità uno relativo alla conservazione di quanto abbiamo ereditato, l’altro in merito all’allargamento di quanto tramanderemo.

1. Si dovrebbe istituire una Commissione degli Immobili Pubblici con il potere di emettere ingiunzioni contro ogni atto di sfruttamento o sviluppo del terreno o ogni mutamento o demolizione di un edificio esistente, nel caso in cui essa ritenesse che un tale atto fosse contrario all’interesse generale, con il potere di erogare un compenso nella misura ritenuta corretta nelle circostanze, ma non per diritto.

Similmente nel caso in cui la riparazione o la manutenzione o l’acquisizione di un immobile o edificio fosse di interesse generale, la Commissione dovrebbe avere il potere di far fronte a una quota della spesa.

2. Si dovrebbe predisporre l’attività preliminare affinché si elaborino e si rendano operativi dei programmi per non dover aspettare il prossimo crollo, allo scopo di bonificare e ricostruire a spese pubbliche i quartieri insalubri che deturpano le nostre principali città. Prendendo ad esempio Londra, dovremmo demolire la maggior parte degli edifici esistenti nella costa meridionale del fiume dal Palazzo della Contea a Greenwich, e strutturare queste zone come i quartieri operai più sfarzosi, più comodi e salubri del mondo. Lo spazio è attualmente così male utilizzato che una popolazione uguale o più numerosa potrebbe essere ospitata con moderna accoglienza su metà o meno dell’area, destinandone il resto a parchi, piazze e campi da gioco, con laghi, giardini, boulevards, e ogni altro piacere che l’esperienza e la fantasia possono immaginare.

Perché non dovrebbe l’intera Londra somigliare a St. James’s Park e ai suoi dintorni? La riva del fiume potrebbe diventare una delle vedute più importanti del mondo, con una serie di terrazze ed edifici che sorgono dal fiume. Le scuole della Londra meridionale dovrebbero avere la dignità di università con cortili, colonnati, fontane, librerie, gallerie, saloni da pranzo, cinema e teatri per i propri occupanti. In questo programma si dovrebbe inserire la massima varietà. Tutti i nostri architetti, ingegneri e artisti dovrebbero avere l’opportunità di appresentare la multiforme immaginazione non di esseri stizzosi, ottusi e disillusi, ma di spiriti pacifici e soddisfatti che appartengono a un rinascimento.

Io sostengo che non c’e nessun ostacolo “finanziario” a tali imprese, dal momento che il lavoro e le risorse materiali sono disponibili. Non è di per sé consigliabile mirare alla velocità: i migliori edifici sono pianificati e innalzati lentamente, sono sottoposti a critica paziente e si evolvono sotto gli occhi dell’architetto.

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