Nel giorno della Liberazione più partecipata da molti anni a questa parte, non sono ancora passate in archivio le parole dell’ineffabile ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste del governo Meloni, Francesco Lollobrigida, pronto a dire in tv alla vigilia della festa che la “parola antifascismo ha portato con sé anche dei morti”. A contraddirlo milioni di uomini e donne, di ogni età e condizione sociale, scesi in piazza per ricordare e attualizzare quel 25 aprile 1945 che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ben definisce “giorno fondativo della nostra Costituzione”. Per poi aggiungere: “Intorno all’antifascismo è doverosa l’unità popolare”. Perché senza memoria non c’è futuro. Una memoria da tramandare, dai nonni ai figli ai nipoti. In questa cornice non stonano certo i banchetti della CGIL dove si raccolgono le firme per i quattro referendum presentati dalla Confederazione per avere un lavoro più giusto, con diritti, tutele e decentemente pagato. In un paese attanagliato da una precarietà endemica che provoca anche una pericolosissima insicurezza, sintetizzata dall’agghiacciante media di tre infortuni mortali al giorno, e tanti altri incidenti gravi che a stento trovano spazio nelle cronache nazionali.
E allora riprendiamoci il lavoro cancellando leggi che lo hanno ferito e umiliato. Mettiamoci la faccia, firmiamo i quattro quesiti referendari per archiviare per sempre regole che hanno portato a un modello di impresa fondato sulla riduzione dei diritti, sullo sfruttamento delle persone, sull’esternalizzazione delle attività, sulla precarietà e quindi su bassi salari. L’obiettivo dichiarato è quello di superare il Jobs act, innalzare per tutte e tutti le tutele contro i licenziamenti illegittimi, cancellare l’uso indiscriminato dei contratti a termine e rendere più sicuro il lavoro nel sistema degli appalti.
Libertà è partecipazione, dirlo il 25 aprile è come scandirlo con un megafono, perché solo lottando, tutte e tutti insieme si può cambiare lo stato di cose esistenti. È certificato anche dai dati Inail che la maggioranza dei morti e degli infortuni sul lavoro riguardano lavoratrici e lavoratori precari e coinvolgono imprese che operano in appalti, subappalti e finte cooperative. Rivendichiamo politiche industriali, un altro modello di sviluppo, che il lavoro diventi il bene comune per il Paese. Il futuro non è scritto, si può scrivere firmando per i referendum.
Sotto gli arcobaleni della pace, in tante e tanti firmano quei quattro referendum che indicano con chiarezza come un’altra Italia sia possibile. Un paese più giusto, più attento alle necessità delle fasce più deboli della popolazione, dove accanto alla parola lavoro ci sia sempre la parola dignità. Ora e sempre resistenza. Adesso basta, ci mettiamo la firma. E manifestiamo, perché è un diritto che nessun governo può mettere in discussione.
E ancora piazze piene anche sotto la pioggia, il Primo maggio, nella festa del lavoro. Oggi noi non siamo una Repubblica fondata sul lavoro, ma una società fondata sullo sfruttamento e sulla precarietà, ricorda la CGIL mentre allestisce altri banchetti per i quattro referendum che vogliono cambiare lo stato delle cose. Scende la pioggia ma che fa, cantava Gianni Morandi a Canzonissima tanti anni orsono. Sarebbe l’ideale colonna sonora, quella dell’eterno ragazzo di Monghidoro, di un Primo maggio in cui Giove pluvio l’ha fatta da padrone. Eppure ci sono tanti sorrisi, voglia di partecipare, di stare insieme nelle piazze dove si celebra la festa delle lavoratrici e dei lavoratori. Un Primo maggio dedicato quest’anno a quell’insopportabile piaga che è l’insicurezza sul lavoro, con la sua lunghissima scia di vittime. Numeri indegni di un paese civile quelli dei morti e dei feriti sui luoghi di lavoro. Un’altra Italia è possibile, a lavoro e alla lotta, penna e documento in mano, per battersi fino a quando la nostra Costituzione repubblicana non sarà applicata in ogni sua parte, utilizzando tutti gli strumenti democratici. Il mondo del lavoro manifesta, e fa la fila ai banchetti per firmare i referendum. Chiede pace, perché l’Italia ripudia la guerra; stessi diritti e stesse tutele per chi fa lo stesso lavoro; di ritrovare quella giustizia sociale smarrita da tanto, troppo tempo.
‘Costruiamo insieme un’Europa di pace, lavoro e giustizia sociale’, è lo slogan che CGIL, CISL e UIL hanno scelto per la Festa dei lavoratori 2024. I tre sindacati confederali dedicano il Primo maggio al ruolo strategico dell’Europa quale costruttrice di pace, lavoro e giustizia sociale, in un momento storico attraversato da molte crisi, ambientali, sociali, fino alle troppe devastanti guerre ancora in corso. Iniziative, cortei, musica, dibattiti, mostre, pranzi, apericene, scampagnate, il concertone di Roma al Circo Massimo. Scende la pioggia ma che fa.
Sindacato di strada anche per i quattro referendum. Assemblee in ogni posto di lavoro lungo la penisola, perché il lavoro è un bene comune. Ciao ciao Jobs act, precarietà, licenziamenti facili, appalti che rendono il lavoro sempre più insicuro. In coda per firmare i quattro referendum della CGIL con i dipendenti della Centrale del latte di Alessandria, che per tentare di salvare il loro futuro sono arrivati alla fiera di Parma, a ‘Cibus’, e ora chiedono aiuto con una petizione online; in assemblea nello stabilimento Granterre di Reggello, nell’area fiorentina; con i forestali a Colle San Rizzo, nel messinese; e ancora nel cantiere di ‘Calabria Verde’, nel Parco ‘Li Comuni’ a Siano di Catanzaro; presso l’azienda agricola Spagnoletti Zeuli di Andria.
Ci si riunisce e si parla di referendum in Aprofruit ad Aprilia, Latina, in Appetais Pesci, a Genova, all’Unilever di Napoli, Pronto Green di Perugia, a Fonti di Vinadio, nel cuneese, a Caltanissetta, a Palermo, a Foggia. I protagonisti sono sempre loro, lavoratrici e lavoratori che firmano, e fanno firmare, per riconquistare un lavoro che abbia diritti e tutele adeguate, per combattere una precarietà diventata oggi endemica.
Mettere una firma ora per costruire un futuro migliore, insieme, lì dove si lavorano i prodotti della terra vanto del Made in Italy ai quattro angoli del pianeta, lì dove si tutela un territorio sempre più a rischio a causa degli stravolgimenti climatici e purtroppo dell’opera dell’uomo, e lì dove la terra fertile viene lavorata per portare sulle nostre tavole frutta, verdure e ortaggi di prima qualità. L’Italia del lavoro firma e fa firmare i referendum della CGIL. Oggi e nei prossimi giorni, con migliaia di assemblee calendarizzate, la FLAI parla con chi è sui territori, spiegando che firmare significa rompere la gabbia di leggi che hanno ferito e indebolito il lavoro, in primis il Jobs act, e dalle normative che hanno permesso la catena degli appalti, vera e propria fabbrica di infortuni, spesso mortali. Adesso basta.
*Frida Nacinovich è responsabile dell’ufficio stampa FLAI-CGIL.
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