Democrazia, Lavoro, Politica, Temi, Interventi

Siamo nel pieno della raccolta delle firme sui quattro quesiti referendari promossi dalla CGIL che intervengono su fondamentali aspetti normativi in materia di lavoro.

La scelta è caduta su norme chiave attraverso le quali agire quattro profili cardine che dovrebbero caratterizzare tutte le forme di lavoro e che sono entrati in profonda sofferenza, nel corso di questi anni, per scelte politico normative figlie di una narrazione squisitamente liberista: le tutele nel lavoro, la sua sicurezza, la sua dignità (anche come diritto a una giusta retribuzione capace di garantire il diritto “una esistenza libera e dignitosa), la sua stabilità.

Il primo quesito chiede l’abrogazione nella sua interezzadel decreto legislativo 23/2015 che impedisce la tutela reintegratoria dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori agli assunti a tempo indeterminato nelle aziende sopra i 15 dipendenti, dopo il 7 marzo 2015, in caso di licenziamento dichiarato illegittimo, sostituendola con un indennizzo monetario. Si tratta di una norma oggetto di ripetute pronunce della Corte costituzionale che ne ha censurato vari aspetti; che crea una ingiustificata e insopportabile disparità di trattamento in base alla data di assunzione; che indebolisce la posizione dei lavoratori nei confronti dei datori di lavoro dentro un rapporto di forza per sua natura asimmetrico. La sua approvazione determinerebbe il ripristino dell’articolo 18 così come riformulato dalla legge 92/2012 che contemplava la reintegrazione nei casi di licenziamenti del tutto privi di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo o oggettivo.

Il secondo quesito si rivolge ai lavoratori delle aziende sotto i 16 dipendenti, non coperti quindi dalle tutele previste dall’articolo 18, e chiede l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 604/1966, così come modificata dalla legge 108/1990, per eliminare il tetto massimo di 6 mensilità in caso di licenziamento illegittimo, affidando al giudice la determinazione della tutela indennitaria, perché la dimensione d’azienda non rivela in sé l’effettiva forza economica del datore di lavoro e perché in tal modo si determinerebbe una maggiore deterrenza contro la strada dei licenziamenti illegittimi a costo (per il datore) predeterminato.

Il terzo quesito chiede l’abrogazione di quelle norme del decreto legislativo 81/2015 che hanno liberalizzato il ricorso dei contratti a termine, eliminando la a-causalità per quelli di durata non superiore a dodici mesi, reintroducendo la causale giustificativa temporanea per stipulare qualsiasi contratto, restituendo a quelli collettivi la previsione oltre la necessità della causale anche per le sostituzioni di lavoratori assenti e di proroghe o rinnovi, e abrogando la nefasta previsione della lettera b) dell’articolo 19 comma 1 del decreto legge 48/2023 che indirizza le assunzioni a termine su un sentiero incontrollabile, laddove contempla anche per le parti individuali l’individuazione delle esigenze del contratto a termine.

Il quarto quesito punta all’abrogazione di quella parte del comma 4 dell’articolo 26 della legge 81/2008 e delle successive modificazioni intervenute che impediscono, in caso di infortunio sul lavoro o di malattia professionale negli appalti, il risarcimento del danno differenziale tra ciò che indennizza l’INAIL e ciò che può riconoscere al lavoratore a copertura dei danni ulteriori subiti, estendendo in ogni caso la responsabilità civilistico-risarcitoria dell’imprenditore committente, appaltante lavori o servizi.

Si giunge alla decisione di promuovere i referendum abrogativi nell’ambito di una strategia e di una iniziativa sindacale più ampia e sulla scorta dell’esperienza contrattuale e confederale di questi anni che ci dice quanto la destrutturazione normativa e contrattuale del lavoro abbia generato, nell’insieme, la sua svalorizzazione sociale e politica, prima ancora che economica, e abbia fiaccato la stessa dimensione civica del nostro Paese. Ai quesiti referendari si accompagneranno, infatti, sia proposte di legge di iniziativa popolare – che ne comporranno la pars construens – in via di definizione, sia una stagione di rinnovi contrattuali qualificata da piattaforme che assumono le questioni che con i referendum vengono poste per rispondervi, per quanto possibile, in via contrattuale, in un rapporto sempre più stretto, in termini di rappresentanza democratica, con le lavoratrici e i lavoratori coinvolti.

Questo, in estrema sintesi, è il senso profondo dell’iniziativa assunta dal più grande sindacato italiano. Del resto, se diamo un rapido sguardo alla condizione del lavoro nel nostro Paese, non possiamo che convenire con Maurizio Landini quando afferma che bisogna lanciare il cuore oltre l’ostacolo e avere il coraggio di una iniziativa tanto radicale quanto determinata per guardare al futuro delle giovani generazioni, condannate senza appello a una condizione di precarietà permanente se non intervengono profondi cambiamenti.

Non dobbiamo nasconderci le difficoltà (e la CGIL non lo fa) di una scelta del genere. Si cercherà di inquadrare questa iniziativa come “fuori dal tempo” (ricordate i “gettoni telefonici” di renziana memoria?), di ridurne l’eco, di costringerla in una dimensione minoritaria, di mettere la sordina al dibattito pubblico. Si punterà a spuntarla confidando nel quorum e invitando, di conseguenza, a disertare le urne, esercizio oggi purtroppo meno complicato dell’espressione di contrarietà di merito. Ecco perché occorrerà saldare gli aspetti strettamente lavoristici dei contenuti referendari a una visione di società altra, capace di parlare alle esigenze delle giovani generazioni e del Paese tutto, di prospettare un cambiamento possibile dello stato delle cose. Per farlo occorrerà far crescere il livello della consapevolezza generale sulla necessità di rovesciare il paradigma intorno al quale sono state erette le impalcature delle politiche del lavoro di questi anni, partendo dalla copiosa messe di argomenti che ne rivelano l’infondatezza, che ne dimostrano ingiustizia sociale e inefficacia economica.

In questi giorni il Governo mena vanto sui risultati raggiunti in materia di occupazione. Si dice che aumentano gli occupati e il tasso di occupazione. Ma si omette di dire che il tasso di occupazione è ancora il più basso e quello di inattività è ancora il più alto dell’Unione europea; che permane un blocco molto consistente di lavoro precario consolidato nel tempo; che il fenomeno del part-time involontario è il più alto dell’Eurozona e sta assumendo livelli di strutturalità tra giovani e donne meridionali non più sostenibile. È in un contesto siffatto che si spiega la crescita del lavoro povero, del numero non più valutabile come marginale di chi, pur lavorando, è povero. Per chi volesse approfondire l’argomento, segnalo due recenti analisi della CGIL sul reale stato dell’occupazione in Italia (Giangrande e Marinucci)1 e su questione salariale e cause dei bassi salari (Giangrande)2.

Tutto ciò chiama in causa aspetti di fondo del nostro sistema economico, sempre più vittima di quella che Gianfranco Viesti definisce “la trappola dello sviluppo intermedio” e dell’assenza di politiche pubbliche che lo collochino fuori dalla sua dimensione in crisi.

È in questo snodo che risiede la questione del lavoro come grande, moderna questione economica, sociale, democratica. Qui si colloca l’ambizione della CGIL di restituire la dignità, perduta, al lavoro come fondamento della Repubblica, come necessità storica per fermarne il declino civile. Per affermare la democrazia costituzionale nel senso più pieno del termine.

Con ogni probabilità saremo chiamati ad altre prove referendarie per difendere il Paese dal suo annunciato smembramento e dalla sua deriva autoritaria. Tenere insieme le battaglie sociali e quelle politico istituzionali diventa una necessità se non si intende dismettere la lotta per il cambiamento e per costruire un Paese migliore.

Note

1 Giangrande N. & Marinucci R. (2023), Breve nota sul reale stato dell’occupazione, CGIL, 12 dicembre, https://files.cgil.it/version/c:Yzg3ZjAwM2ItNWZhNi00:OGMyNGM1MDktYzkyZi00/20231212_StudioCgil-lavoro.pdf

2 Giangrande, N. (2024), La questione salariale in Italia. Un’analisi sulle cause dei bassi salari, CGIL, 16 marzo, https://files.cgil.it/version/c:OTRiYzM2YWYtNTdhNi00:ZDI1MzAxYzItYzE5NC00/Studio%20Salari%20in%20Italia.pdf

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