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Il sistema di pesi e contrappesi è al cuore delle democrazie costituzionali. “Se gli uomini fossero angeli…” diceva un vecchio testo, non ce ne sarebbe bisogno, ma non lo sono. Il potere può degenerare e quel delicato gioco di pesi e contrappesi cerca di evitare al meglio tali degenerazioni. La modifica costituzionale che ci viene proposta altera questo gioco: indebolisce la magistratura alterando l’equilibrio tra i poteri esecutivo e legislativo. 

Vediamo perché e perché debba interessare ogni persona, e in particolare un’organizzazione che, come il Forum Disuguaglianze e Diversità, si impegna per il rafforzamento della democrazia, condizione indispensabile per contrastare le disuguaglianze.

La parte più nota della modifica costituzionale contempla la separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri. Già la Legge Cartabia ha di fatto sancito tale separazione mettendo paletti molto rigidi nel passaggio da una carriera all’altra. La proposta attuale non modifica né i criteri di accesso né i profili di carriera delle due magistrature. Del resto, contro il rischio di strapotere dei pubblici ministeri si ergono già oggi i diversi gradi di giudizio. Mentre un segno dell’equilibrio interno è segnalato dal fatto che quasi la metà delle sentenze dei giudici ribalta le richieste dei pubblici ministeri. 

La “separazione” serve da grimaldello per le modifiche costituzionali più sostanziose, che intervengono sul Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), l’organo di amministrazione della giurisdizione e di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati.

La modifica costituzionale divide il CSM in due, un Consiglio per la magistratura inquirente e uno per la magistratura giudicante. Sottrae a entrambi i Consigli le funzioni disciplinari, che sono attribuite ad una Alta Corte di nuova costituzione. Cambia radicalmente le modalità di nomina dei componenti dei nuovi organi.

Come oggi, ciascun Consiglio resterà presieduto dal Capo dello Stato; avrà come componenti di diritto il presidente della Corte di Cassazione e il procuratore generale della Corte di Cassazione e avrà componenti togati e laici (questi ultimi devono sempre essere professori ordinari di diritto o avvocati, con una data anzianità di ruolo). Mutano, però, le regole di accesso per togati e laici (il numero sarà fissato da una legge ordinaria). Oggi i componenti togati sono eletti dai magistrati, mentre i componenti laici sono nominati dal Parlamento in seduta comune con voto a maggioranza qualificata. Secondo la modifica costituzionale, i componenti togati saranno scelti a sorteggio secco tra tutti i magistrati (rispettivamente giudicanti o inquirenti a seconda del consiglio). I componenti laici, invece, saranno scelti sempre a sorteggio, ma a partire da una lista definita dal Parlamento (sarà affidato a una legge applicativa stabilire come avverrà la definizione di tale lista: se a maggioranza semplice o qualificata e, in tal caso, in che misura). 

Quanto all’Alta Corte, essa sarà composta da 15 componenti: 3 nominati dal Presidente della Repubblica, tre nominati dal Parlamento e nove magistrati, di cui sei giudicanti e tre inquirenti, estratti a sorte tra gli appartenenti alle rispettive categorie con almeno venti anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità. Per i membri laici valgono gli stessi requisiti presenti per i due Consigli.

Il Governo ci dice che con questa revisione costituzionale migliorerà la giustizia per tutte e tutti noi. Di miglioramenti c’è, certo, bisogno. Molti e molte di noi avvertono o subiscono la lentezza dei processi, gli oneri di adempimento a carico dei ricorrenti, le difficoltà di farsi sentire, la violazione, talvolta, del pari riconoscimento dovuto anche agli accusati, la scarsa accessibilità alla giustizia per chi sta peggio. E, ancora, va riconosciuto che accanto all’azione coraggiosa di molti magistrati, che lavorano senza timore dei poteri criminali o delle degenerazioni delle classi dirigenti, osserviamo talvolta comportamenti che sfociano in una sostituzione della magistratura a discapito degli organi legislativi o esecutivi, e un’invadenza partitica nelle correnti della magistratura.

Il punto è che, nonostante quanto il Governo ci voglia far credere, il testo di revisione costituzionale non ci offre alcun aiuto. Rispetto ai problemi oggi esistenti nell’esercizio della giustizia prima richiamati, la moltiplicazione di organi prevista dalla riforma costituzionale, nonostante i molti proclami, non ha rilevanza. Anzi, la separazione dei Consigli può ben isolare e accrescere l’autoreferenzialità dei pubblici ministeri. 

Ma le cose stanno peggio di così. 

Le modifiche costituzionali determinano un indebolimento del sistema di pesi e contrappesi fra magistratura e Parlamento previsto dall’attuale Costituzione.

Innanzitutto, la divisione stessa in due Consigli indebolisce la magistratura, perché ostacola quel senso comune di appartenenza oggi favorito dal ritrovarsi insieme nell’amministrazione della giurisprudenza, pur in presenza di carriere separate. 

Il colpo maggiore è dato, tuttavia, dal sorteggio secco per la selezione dei magistrati. Possiamo dare per scontato che tutti i 6.700 giudici e tutti i 2.250 pubblici ministeri siano ugualmente competenti e interessati a svolgere le funzioni di amministrazione della giurisprudenza? Tanti, peraltro, potrebbero non sentirsi attrezzati e non essere desiderosi di coprire un incarico così diverso dall’esercizio diretto delle funzioni che hanno scelto. Basti pensare a qualsiasi ambito di lavoro: siamo tutti indifferentemente scambiabili per svolgere le funzioni di responsabilità? Aboliamo il suffragio universale solo perché alcuni parlamentari si sono macchiati di comportamenti illeciti o illegittimi? Selezionare in modo inefficiente, senza una ratio come avviene con il sorteggio, vuol dire mortificare e mortificare vuol dire indebolire l’autorevolezza.

Inoltre, perché limitare il sorteggio secco ai magistrati? La presenza di due tipi di sorteggio, secco per i magistrati e a partire da una lista per i laici, implica una inevitabile asimmetria di potere: gli estratti dalla lista hanno dietro di sé le rappresentanze concrete di forze politiche, gli estratti a sorte non hanno punti di riferimento strutturati, luoghi di elaborazione.

E, ancora, la mancata previsione della regola decisionale sulla base della quale il Parlamento elegge i magistrati laici aggiunge il rischio di un grave squilibrio politico. È vero che anche la precedente configurazione costituzionale non indicava tale regola; tuttavia, la legislazione attuativa (71/2022) ha colmato questo vuoto. All’articolo 39, stabilisce una maggioranza alta (non altissima) dei tre quinti dei componenti nella prima votazione e dei votanti a partire dalla seconda. Quali saranno le nuove regole di selezione? Non lo sappiamo.

Infine, il timore per l’intera operazione è aggravato dal modo in cui la stessa modifica costituzionale è stata approvata. Disegnata dal Governo e arrivata in Parlamento blindata (neppure una virgola è stata modificata), è stata approvata dalla sola maggioranza, ignorando quanto dovrebbe distinguere una legge costituzionale da una legge ordinaria: avere una maggioranza che assicuri l’intersezione/compromesso fra visioni diverse. Neppure sono state ascoltate le voci dentro la stessa maggioranza che avrebbero potuto aiutare a costruire un accordo parlamentare, quasi che l’obiettivo fosse quello di portare il Paese a un referendum e cavalcare l’insoddisfazione diffusa per l’esercizio della giustizia.

Sta nell’insieme di queste considerazioni il nostro “NO” deciso e motivato. Il NO a una modifica che, usando la retorica del miglioramento dell’accesso alla giustizia, indebolisce la magistratura nell’equilibrio con gli altri poteri della democrazia. Mortifica il Parlamento, il cui lavoro su una materia complessa avrebbe potuto partorire un risultato utile a tutte e tutti noi. Ci trascina a un giudizio referendario, opaco, divisivo e costoso. E, intanto, i problemi che affliggono tanti cittadini e tante cittadine nell’accesso alla giustizia restano del tutto inalterati.  

Così facendo, la modifica costituzionale indebolisce la democrazia, la conditio sine qua non del contenimento delle disuguaglianze, della rimozione degli ostacoli che i poteri forti erigono al “pieno sviluppo della persona umana”.

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