Luigi Ferraioli, nel sito benemerito che punta a promuovere la Costituente della Terra, definisce la crisi attuale della nostra democrazia con parole nette e chiare: “l’ostentazione delle disumanità al vertice delle istituzioni e il crollo del senso morale a livello di massa”. L’ultimo naufragio a pochi chilometri da Lampedusa, di cui il Governo non ha nemmeno dato notizia, il genocidio, per bombe e per fame dei palestinesi, a Gaza e in Cisgiordania, a cui l’Europa non dà nessuna risposta, e in cui l’Occidente continua a identificarsi (sostanzialmente) coi massacratori, mostrano non solo l’indifferenza e la crudeltà delle istituzioni, ma anche l’indifferenza che attraversa ormai largamente il popolo dell’Europa e del nostro Paese. Quella “globalizzazione dell’indifferenza”, che diventa razzismo, la stessa di cui parlava papa Francesco nel lontano 2013 proprio a Lampedusa.  Le vite di chi ha la pelle più scura, di chi muore di fame e di sete, di chi fin dalla nascita ha minori speranze di vita, non commuovono e non mobilitano. Se la morale e l’umanesimo è prima di tutto amore universale per le persone, ovunque vivano, qualunque sia il colore della loro pelle, la caduta della morale e dell’umanità è in tutto l’Occidente sempre più evidente. Il caso Almasri evidenzia in maniera brutale entrambe queste cose. Come definire se non come un esempio eclatante di disumanità l’intervento in Parlamento del ministro Nordio, incapace, nemmeno per un momento, di mostrare un minimo di pietà, di comprensione umana verso le vittime del torturatore e assassino libico, e come non avvertire una caduta del senso morale a livello di massa il fatto che questa disumanità ormai conclamata non sembri in grado di muovere le coscienze di gran parte del nostro popolo? In Parlamento le opposizioni giustamente hanno attaccato Nordio e il Governo, colpevoli di coprire con fumisterie giuridiche e con vere e proprie menzogne le ragioni vere per cui Almasri era stato liberato. La ragion di Stato per cui la Libia, e le sue milizie armate, spesso criminali, ci servono a tenere lontano i migranti, costi quel che costi, e proteggono l’ENI che in Libia estrae petrolio e si avvale anche di quella “sicurezza”. Il problema è che una parte del nostro popolo queste ragioni vere le conosce e le condivide, oppure vive una sorta di progressiva separazione dalla polis tale per cui è indifferente a tutto ciò che non corrisponda alla sopravvivenza e – per chi può – al benessere per sé e per il proprio nucleo familiare (stretto o largo che sia).

Svelare le menzogne e la disumanità di chi ci governa è compito vano se non è accompagnato da una azione cosciente e di vasta portata per cambiare il senso comune. 

I referendum sul lavoro e sulla cittadinanza possono e devono essere una grande occasione in questa direzione. “Pensano ai neri e non si occupano del peggioramento delle nostre condizioni di vita”. 

Quante volte ce lo siamo sentiti ripetere nelle periferie degradate, e anche sempre più spesso in tanti luoghi di lavoro. E nelle fabbriche di tutta Europa, se, come pare da tutte le ricerche, gli operai tedeschi e francesi, o non sono andati a votare, o hanno votato in maggioranza i partiti dell’estrema destra neofascista e razzista. Chi vede peggiorare le proprie condizioni di vita, chi non sente più riconosciuto il valore del proprio lavoro, può essere indotto a sentire addirittura come una minaccia il riconoscimento dei più poveri e dei più disperati. Non è questa la sede per complessi paragoni con oltreoceano, ma certamente la condizione di impoverimento di una fascia crescente di lavoratrici e lavoratori dopo 40 anni di politiche neoliberali è una delle ragioni del consenso di Trump, ma soprattutto dei 9 milioni di voti persi dai democratici. 

Quindi, da questo punto di vista, è davvero un’occasione straordinaria che il referendum per abbreviare i tempi della concessione della cittadinanza a chi vive, lavora, va a scuola in Italia sia accompagnato a quelli per ridare dignità al lavoro, riducendo la precarietà, ridando il posto di lavoro a chi è licenziato ingiustamente, regolando il regime degli appalti e di subappalti (che è poi il terreno dove cresce il lavoro irregolare e nero, dove meno rispettate sono le condizioni di sicurezza sul lavoro). Le imprese grandi e medie appaltano e subappaltano infatti lavori a imprese e cooperative di comodo, per ridurre il costo del lavoro e far lavorare le persone in condizioni che assicurano il massimo profitto, e in cui sempre più spesso è possibile perdere la salute e la vita. Riconoscere la loro responsabilità sulle condizioni di lavoro nell’intera catena degli appalti e dei subappalti è decisivo per una azione davvero orientata a ridare al lavoro dignità e sicurezza. Senza contare che spesso questa catena è quella stessa dove vengono orribilmente sfruttati gli immigrati, tanto più ricattabili quanto più irregolari. Sappiamo bene che la manomissione dell’articolo 18 serviva esclusivamente a ripristinare il potere assoluto del datore di lavoro in azienda, non aveva nessuna relazione con l’occupazione o con l’attrazione di investimenti esteri (come si favoleggiava all’epoca del renzismo di moda) e rispondeva a quella ideologia che ha rappresentato la base dell’attuale regressione democratica in tutto l’Occidente, partendo – non a caso – dagli USA di Reagan.

Chi ci governa questi referendum li teme. E cercherà di batterli non con un chiaro confronto politico, ma usando l’arma della disinformazione e confidando nell’astensionismo. Quello stesso che gli permette di governare con una maggioranza pressoché assoluta “forte” di neanche il 25% dei voti degli italiani, ora usato per bloccare un fondamentale strumento di democrazia diretta, che permette alle persone di decidere in prima persona di questioni che riguardano la loro vita e quella del proprio Paese.

I referendum sono, allo stesso tempo, una grande sfida per il rilancio della nostra democrazia, sempre più incapace di rispondere ai bisogni di fasce larghe della popolazione che, di conseguenza, si allontanano da essa. A questo enorme impegno per restituire voce ai diritti civili e sociali pensiamo debbano partecipare con convinzione non solo il sindacato e le altre forze promotrici, ma anche il meglio della cultura del nostro Paese, il cui ruolo per costruire un nuovo senso comune, per ricostruire un nuovo umanesimo è da sempre essenziale.

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