Idee

tocciCaro professor Giavazzi, se tornasse Luigi Einaudi non farebbe l’apologia di un testo composto di 171 norme, che diventeranno più di 500 con le deleghe e richiederanno 1000 regolamenti attuativi e ben 35 decreti del governo. Si domanderebbe che fine hanno fatto i liberali italiani. Perché non si ribellano a questa legislazione asfissiante e burocratica? In tutti i paesi europei sono aperti dibattiti sulle riforme universitarie ma riguardano i contenuti, cioè le strategie della ricerca, la proiezione internazionale, la condizione degli studenti. Non si ha notizia di nessun governo che pretenda di riformare l’università con un alluvione normativa. E’ davvero un passo avanti? A me pare un passo nella direzione sbagliata. Non sempre riesce di buscar el levante por el ponente. La burocrazia è il contrario della valutazione. Se si impone per legge che tutti gli atenei debbano fare le stesse cose allo stesso modo – a prescindere dalla dimensione, dalle discipline e dal mix tra ricerca e didattica – rimane ben poco da valutare. La riforma al contrario doveva eliminare leggi esistenti, promuovere le differenze e le innovazioni, sollecitare la competizione tra atenei. Tutti gli emendamenti del Pd andavano in questa direzione proponendo una legislazione mite. L’impianto del ddl, invece, è in evidente contrasto con il principio del merito. D’altronde la Gelmini concluderà il mandato senza aver fornito neppure un numero sulla produttività scientifica degli atenei. L’Anvur è in grave ritardo – Lei è indulgente con l’ inefficienza ministeriale – e i primi risultati arriveranno non prima del 2012. Nel frattempo si è bloccato l’organismo ministeriale di valutazione, il Civr, che pure aveva ben operato in passato. Per le così dette valutazioni si utilizzano dati vecchi di dieci anni fa, è meglio non farlo sapere all’estero, ci prenderebbero per matti. Il fondo per il merito è stato istituito nel 2004, non è un’invenzione della Gelmini, e non ha mai impensierito nessuno perché appunto non è ripartito sulla base di dati competitivi. Per rassicurare i rettori, la ministro ha confermato in un decreto la ripartizione storica dei finanziamenti con un’oscillazione di due-tre punti, ma nei comunicati stampa dice che il 10% è riservato al merito. Infine, in questi giorni si appresta a trasformare il Cepu in università non statale con lo stesso rango della Bocconi. E’ la meritocrazia delle chiacchiere. I concorsi sono sostituiti da un’abilitazione nazionale senza limiti numerici e quindi rischia di diventare un pennacchio che non si nega a nessuno. La vera comparazione tra i candidati si tornerà a farla negli atenei con esiti non molto diversi da oggi, ma col raddoppio delle procedure. Inoltre, non si tiene conto del fabbisogno, cioè se servono 100 professori ci possono essere 1000 abilitati. Le conseguenze le abbiamo già viste negli anni ottanta con le abilitazioni nella scuola che hanno prodotto i duecentomila precari di oggi. Quando avremo anche nell’università elenchi di venti-trenta mila abilitati che non riescono a diventare professori l’università andrà in confusione e la tentazione di ope-legis diventerà irresistibile. I membri esterni nei cda possono essere una banalità o un pericolo. Tutto dipende da chi li nomina, ma questo non è detto pur in un testo tanto prolisso. Se la nomina è interna sarà il rettore a scegliere una persona di fiducia e quindi a rafforzare il proprio ruolo. Niente di male, ma Lei un anno fa scrisse sul Corriere che la riforma serviva a ridimensionare i rettori. Se poi la nomina è esterna i posti dei cda attireranno i notabili politici sul territorio. La probabilità di ripetere con gli atenei la vicenda della Asl è molto forte. Ci sono poi tante esperienze positive di partenariato tra atenei e territori, imprese e enti locali, ma questi soggetti hanno condiviso dei progetti, senza chiedere posti nei cda. Sulla tenure track, come spesso accade, la parola inglese serve a coprire la conservazione di un’usanza molto italiana. Se il giovane ricercatore mantiene le promesse dopo otto anni dovrebbe essere assunto definitivamente. Ciò richiede che l’ateneo possa programmare le risorse nel lungo periodo, ma siamo arrivati a dicembre e il ministero non ha neppure stanziato i fondi del 2010! E le risorse sono calanti, non ci si metta pure Lei a negare l’evidenza: nel 2008 il FFO era di 7467 e il prossimo anno sarà di 6947 con una diminuzione del 5.7%, che si scarica sulla ricerca e sui servizi didattici. Poi la tenure-track convive con i vecchi assegni e ovviamente con i dottorati, per un tempo di attesa di quindici anni prima di diventare professore. Il premio Nobel della fisica, Kostantin Novoselov, ha 36 anni e con la legge Gelmini non sarebbe andato neppure in cattedra. Insomma, tutto cambia perché nulla cambi. Allora tutto negativo? Qualcuno dice che comunque il ddl è ispirato a principi positivi come il merito. E’ vero. Infatti, molti commenti di oggi riprendono quasi alla lettera gli argomenti spesi a sostegno della legge Moratti, anche allora presentata come la riforma epocale della meritocrazia. Le analisi ci dicono che le degenerazioni dei corsi e delle sedi sono cominciate proprio mentre si discuteva quella legge, passata come acqua fresca sui difetti dell’accademia. E certo neppure il nostro governo di centrosinistra riuscì a cambiare rotta. Può reggere un sistema che nell’arco di pochi anni assiste al fallimento di due riforme epocali? Si può star male per assenza di riforme, ma si può morire anche per troppe riforme sbagliate.

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