Diritto, Lavoro, Temi, Interventi

Mentre il Governo, con l’assist del CNEL1 era impegnato con le opposizioni2 in uno scontro sul salario minimo, la Cassazione con sei sentenze gemelle pubblicate nel corso del mese di ottobre di quest’anno, ha definitivamente sancito l’inadeguatezza delle retribuzioni previste dalle tabelle salariali dei lavoratori dei servizi fiduciari ai quali ha pertanto riconosciuto il diritto a rivendicare un maggior salario indicando i criteri da rispettare per garantire una paga adeguata e dignitosa3, conforme al parametro costituzionale.

Le decisioni accertano l’inadeguatezza delle retribuzioni previste dal contratto collettivo per i lavoratori di un intero comparto che coinvolge migliaia di addetti, i cosiddetti vigilanti non armati, regolati da un protocollo aggiunto al CCNL dei servizi di vigilanza privata.

La vicenda conclude un contenzioso che trae origine dal rinnovo del febbraio 2013 del CCNL per i dipendenti da istituti e imprese di vigilanza privata all’interno del quale, il sindacato, nel tentativo di regolare e fare emergere un settore storicamente caratterizzato da lavoro precario e irregolare, ha aggiunto la sezione dei servizi fiduciari che prevedeva 6 livelli contrattuali con retribuzioni già allora ritenute critiche.

La retribuzione del livello di ingresso prevedeva, infatti, un salario di 797,14 € lordi mensili per 13 mensilità pari a una paga oraria lorda di 4,6 € orari che incrementava, a 5,14 €, nel livello intermedio per il quale si stabiliva un importo mensile di 890,00 €.

L’intento delle parti sociali era chiaramente enunciato dalla nota apposta alle tabelle salariali nelle quali le organizzazioni stipulanti si davano reciprocamente atto che la disciplina contrattuale “così come introdotta in sede di prima istituzione, risente dell’esigenza di favorire l’emersione dello specifico settore, fatto salvo il comune intendimento di concordare le opportune rivalutazioni in sede di prossimi rinnovi contrattuali”.

I parametri retributivi orari, inferiori ai minimali INPS, determinano, tuttavia, il paradossale effetto di decurtare il già limitato potere di acquisto dei lavoratori con una detrazione contributiva applicata persino su valori che neppure concretamente percepivano.

Tale condizione salariale costringeva i lavoratori a prestare attività integrando la retribuzione base mensile con significative prestazioni di lavoro straordinario che incidevano in alcuni casi anche sul 40% del salario inibendo ogni possibile forma di azione rivendicativa.

Scaduto il contratto nel 2015, le aziende del settore, lungi dal prevedere “le opportune rivalutazioni”, approfittando della limitata resistenza dei lavoratori rispetto alle tradizionali forme di lotta sindacale, hanno opposto una pervicace opposizione a riconoscere un adeguato incremento salariale così costringendo le organizzazioni sindacali ad una estenuante trattativa di rinnovo che si è protratta per anni senza significativi avanzamenti.

In questo contesto, già nel 2016 alcune isolate pronunce del Tribunale di Milano avevano ritenuto i minimi tabellari contrari al parametro costituzionale4.

La crisi scaturita dal Covid-19 e le ricadute inflattive che hanno caratterizzato il biennio 2021/2022 hanno reso drammatica la condizione dei lavoratori i cui salari sono stati erosi da una inflazione che, nel tempo, ha falcidiato il potere di acquisito di oltre il 20%.

Un’ora di lavoro di un addetto ai servizi di vigilanza nel 2023 non consentiva in alcune città come Milano neppure di acquistare una colazione.

Questa intollerabile situazione e lo stallo della trattativa di rinnovo ha quindi determinato le organizzazioni sindacali a promuovere ricorsi giudiziari con i quali vedere integrata la retribuzione considerando i parametri previsti per il 2° livello del CCNL Multiservizi previo riconoscimento dell’inadeguatezza delle tabelle salariali scadute dell’Allegato dei servizi fiduciari.

Gli esiti di tale contenzioso, in gran parte positivi, tuttavia vedevano una parte della magistratura restia a “mettere mano” sui parametri retributivi di un contratto collettivo sottoscritto da organizzazioni di storica rappresentanza.

Alcune decisioni ritenevano quindi la materia salariale “riservata” all’autonomia collettiva mentre altre affermavano che il valore complessivo percepito dal lavoratore anche per effetto del ricorso al lavoro straordinario rendeva adeguato il salario.

I ricorsi giudiziari demandati all’iniziativa dei singoli lavoratori, seppur in gran parte favorevoli erano, tuttavia, per la limitata incidenza, inadeguati a risolvere lo stallo della trattativa in corso.

La grave condizione salariale di lavoratori divenuti nel tempo il simbolo del cosiddetti working poor ha quindi spinto la FILCAMS CGIL e la FISASCAT CISL a promuovere forme di lotta atipiche avvalendosi persino di una azione collettiva inibitoria5, più impropriamente nota come class action, presentata nel 2023 innanzi al Tribunale di Milano al fine di inibire con efficacia generalizzata le tabelle salariali ormai scadute6.

La Procura di Milano, nel giugno 2023 su denuncia delle organizzazioni sindacali sottoponeva infine alla misura preventiva di commissariamento giudiziale le aziende leader del settore accusate del reato di sfruttamento ex art. 602 bis c.p. all’esito di una complessa indagine dalla quale emergeva un diffuso sistema di lavoratori sottopagati caratterizzato da minacce o misure organizzative costrittive che frustrava sul nascere ogni forma di protesta.

Nelle more di questo rapido susseguirsi di eventi le organizzazioni sindacali stipulavano il 31 maggio 2023 un controverso rinnovo del CCNL che “consolidava” i livelli retributivi di fatto applicati nel mercato, comunque inferiori ai parametri indicati dalle sentenze, innescando un potenziale conflitto con la magistratura per evitare il quale l’accordo prevedeva una fase di ulteriori incontri di approfondimento ai fini del recupero delle spunte inflattive.

Con le sentenze richiamate la Cassazione si inserisce dunque con il proprio autorevole intervento nel vivo del dibattito sul salario minimo sancendo, in un dialogo a distanza, principi cardine che vanno ben oltre la vicenda dei servizi fiduciari in quanto devono essere tenuti presenti da tutti gli “attori” tenuti a garantire il diritto a una retribuzione adeguata e sufficiente.

L’intervento è di fondamentale importanza nell’attuale sistema contrattuale nel quale la mancata attuazione dell’art. 39 Cost. ha determinato una giungla salariale caratterizzata da oltre 1.000 contratti con perimetri sovrapposti, siglati da organizzazioni spesso di inesistente rappresentatività, che tuttavia determinano un effetto di dumping alterando le regole di un mercato del lavoro sempre più destrutturato che consente a una impresa di scegliere il contratto collettivo meno oneroso senza preoccuparsi della rappresentatività del soggetto che lo ha sottoscritto.

In questo desolante panorama la Cassazione ha finalmente indicato la linea del Piave che nessuna retribuzione può attraversare, stabilendo regole chiare che, responsabilizzando le parti sociali, riconoscono al giudice un ruolo di garante della giusta retribuzione.

L’individuazione del salario minimo impone infatti – secondo la Suprema Corte – al di là del dibattito su un ammontare fissato per legge o per contratto collettivo un doppio giudizio valutativo al quale non può sottrarsi né il Legislatore né il contratto collettivo, a prescindere dalla rappresentatività del soggetto che lo sottoscrive.

La valutazione sulla adeguatezza dei livelli retributivi demanda al Giudice una analisi che impone una verifica del potere di acquisto di una qualunque retribuzione rispetto ai costi che ogni lavoratore deve sostenere per potere sopravvivere con il suo normale orario di lavoro.

L’eventuale giudizio di equivalenza del salario con l’ammontare delle spese necessarie per vivere non consente, tuttavia, di ritenere la retribuzione conforme al parametro costituzionale in quanto tale soglia vitale non permette l’emancipazione sociale dal bisogno né assicura al lavoratore il diritto alla partecipazione attiva nella società.

La retribuzione deve quindi garantire un anche il “diritto al benessere” che rappresenta la vera soglia che assicura quella dignità salariale che permette al lavoratore, anche nei profili meno professionalizzati, di esprimere la propria personalità e identità.

Questo elemento centrale della funzione della retribuzione viene chiaramente evidenziato dalle sentenze della Corte di Cassazione che, richiamando il considerando n. 28 della Direttiva UE 2022/2041 del 19 ottobre 2022 sul salario minimo, evidenziano che la retribuzione deve garantire un livello di vita che «oltre alle necessità materiali quali cibo, vestiario e alloggio” assicuri l’esigenza sociale “di partecipare ad attività culturali, educative e sociali”».

L’applicazione di questi semplici regole consente agevolmente di affermare che le retribuzioni delle tabelle salariali stabilite per i servizi fiduciari, nel prevedere a malapena 5 euro lordi l’ora, non superano il test della “doppia soglia” affermata dalla Cassazione.

Non è possibile in questa rapida disamina affrontare tutti gli aspetti del complesso tema del dibattito che vede impegnata questa Legislatura su contrapposte posizioni sul salario minimo ma è certo che la necessità di regole chiare e trasparenti valide per tutti impone giocoforza una regolamentazione della rappresentatività dei soggetti che concorrono a stabilire le norme di un mercato del lavoro sempre più frammentato e diviso.

È intollerabile, tuttavia, in una società civile fondata sul lavoro che lavoratori che svolgono una stessa attività percepiscano a parità di lavoro salari profondamente diversi che in alcuni casi divergono anche del 30% generando una condizione di povertà e intollerabili diseguaglianze sociali.

Qualunque sia il modello che il Legislatore vorrà implementare, non potrà ormai prescindere dalle regole di adeguatezza e sufficienza stabilite dalla Cassazione che per trovare una concreta applicazione dovranno anche accompagnarsi a una indifferibile riforma che selezioni, sulla base di oggettivi criteri di rappresentatività, i soggetti sindacali ai quali necessariamente deve essere demandata la regolamentazione delle condizioni di lavoro.

Note

1 Vedasi il documento approvato dall’assemblea del CNEL il 12 ottobre “Elementi di riflessione sul salario minimo” con il voto contrario di CGIL, USB e UIL e la significativa astensione di Legacoop, consegnato alla Presidente del Consiglio.

2 Si rinvia alla proposta di legge Conte, Fratoianni Richetti, Schlein ed altri presentata il 4 luglio 2023, atti Camera dei Deputati n. 1275.

3 Si tratta di un gruppo di sentenze della Suprema Corte decise il 2 ottobre 2023 n. 27711, 2713 e 27769, Pres. Raimondi e relatore Riverso, seguite da tre sentenze depositate il 10 ottobre 2023 n. 28320, 28321 e 28323, Pres. Raimondi e relatore Panariello.

4 Tribunale Milano, Est. Mariani, 30 giugno 2016 n. 1977.

5 È significativo che anche il disegno di legge presentato nel corso della Legislatura dalle opposizioni preveda all’art. 6 un meccanismo di repressione delle forme elusive di applicazione della legge.

6 Il giudizio si è concluso il 19 ottobre 2023 con un accordo nel quale le organizzazioni sindacali FILCAMS CGIL e FISASCAT CISL assumono l’impegno assieme alla principale azienda del settore di ritenere il parametro retributivo di € 1.250,00 come indice di riferimento ai fini dell’adeguamento inflattivo dei minimali di categoria.

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