Massimo Pavarini ha più volte magistralmente sostenuto come la pena carceraria si collochi in quella che lui definiva “la sfera del non-diritto” (Pavarini, 2006). Tra le ragioni di questa affermazione vi è il fatto che il carcere nella sua dimensione materiale è produzione aggiuntiva e artificiale di handicap (Gallo, Ruggiero, 1989), ovvero è produzione di sofferenza come privazione e limitazioni di diritti e di aspettative.
Quanto accaduto durante il 2024 nelle carceri italiane sembra rispecchiare in maniera plastica le considerazioni appena richiamate. Abbiamo provato a descriverlo nel XXI Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione, nel quale abbiamo analizzato quanto emerso dalle oltre 100 visite alle carceri per adulti e per minori realizzate dagli Osservatori di Antigone.
Il primo dato da cui partire è sicuramente il sovraffollamento in aumento. Per quanto riguarda il sistema degli adulti, le persone detenute crescono, infatti, di circa 300 unità ogni due mesi. Il tasso di sovraffollamento ufficiale è pari al 121,8%, ma quello reale, che tiene conto anche dei posti non disponibili per inagibilità o ristrutturazione, arriva al 133%. Si pensi che solo 36 carceri su 189 non sono sovraffollate; 58 carceri, inoltre, hanno un tasso di sovraffollamento superiore al 150%. Milano San Vittore è l’istituto più sovraffollato d’Italia (220%), seguito da Foggia (212%) e Lucca (205%).
Per quanto riguarda le caratteristiche della popolazione detenuta, i dati più significativi sono i seguenti: si mantiene pressoché stabile rispetto all’anno precedente la popolazione detenuta di origine straniera, la quale rappresenta il 31,6% della popolazione detenuta complessiva. Tuttavia, è opportuno segnalare che la popolazione straniera in carcere è stabilmente in calo dal 2017, anno in cui le persone straniere rappresentavano oltre il 37% della popolazione penitenziaria totale. I detenuti stranieri sono più giovani rispetto agli italiani e le nazionalità più rappresentate sono il Marocco (21,9% sul totale), seguito da Romania (10,9%), Tunisia (10,9%), Albania (9,7%) e Nigeria (5,3%). Un terzo della popolazione detenuta straniera è in custodia cautelare. Contrariamente alla retorica dominante e populista, tendenzialmente però le persone straniere scontano pene meno lunghe e commettono reati meno gravi rispetto agli italiani.
Le donne rappresentano, invece, il 4,3% della popolazione detenuta totale e circa un terzo è costituito da donne di origine straniera. Solo il 20% delle donne private della libertà è collocato in un istituto interamente femminile; la stragrande maggioranza si trova in sezioni femminili in istituti a prevalenza maschile. Rispetto alle persone detenute appartenenti al collettivo LGBTQIA+, purtroppo i dati più aggiornati risalgono al 4 ottobre 2023 e sono relativi solamente alle donne trans – in tutto 70, 64 delle quali collocate in sezioni omogenee negli istituti di Rebibbia NC, Napoli Secondigliano, Como, Belluno, Reggio Emilia e Ivrea – e 66 gli uomini omosessuali (la metà dei quali detenuta presso le uniche tre sezioni omogenee omosex a Napoli Poggioreale, Foggia e Verbania). Non ci sono, invece, dati disponibili in relazione alle donne lesbiche e agli uomini trans, in quanto, non rilevando esigenze di sicurezza, l’amministrazione penitenziaria non ritiene necessaria una loro separazione in spazi appositi, ricorrendo in entrambi i casi alla collocazione in sezioni comuni in carcere femminili. Si tratta di un esempio di come troppo spesso il carcere prenda in considerazione le singole soggettività solamente quando queste rappresentano un problema in termini di sicurezza e mantenimento dell’ordine all’interno dell’istituto.
Rispetto al personale penitenziario, la media nazionale di persone detenute in carico a ciascun funzionario è di 64,8. Nonostante i 234 nuovi funzionari entrati in servizio nel 2024, a causa dei pensionamenti e delle dimissioni, il numero degli educatori, secondo le schede del Ministero della Giustizia, appare peggiorato rispetto al 2023. Tuttavia, vi sono istituti in cui il rapporto numerico educatori/detenuti in carico è molto più sproporzionato. Paradigmatico è l’esempio della Casa circondariale di Verona – che presenta un tasso di sovraffollamento pari al 183%, oltre a un numero elevato di suicidi – dove vi è un educatore per 153,5 detenuti.
Per quanto riguarda il personale di polizia penitenziaria, manca il 16% delle unità previste in pianta organica. Il rapporto agente-detenuti è pari a 2 detenuti per ogni agente, a fronte di una previsione di un agente ogni 1,5 detenuti. Tra le regioni italiane questo rapporto varia fra l’1,2 e il 2,5 detenuti per ogni agente e suggerisce una distribuzione disomogenea del personale. A tale proposito, durante le visite condotte dagli osservatori e le osservatrici di Antigone, è emerso con frequenza il forte stress a cui è sottoposto tutto il personale penitenziario. In particolare gli agenti di polizia penitenziaria, in alcuni istituti, confermano di dover sostenere turni massacranti e spesso di trovarsi a gestire intere sezioni da soli, non riuscendo quindi a prendere in carico le richieste che provengono da una popolazione penitenziaria sempre più in sofferenza e sempre più numerosa.
Negli ultimi due anni la problematica del sovraffollamento, in maniera inedita, ha cominciato a riguardare anche gli istituti di pena per minorenni (IPM). Erano 611 (di cui 27 ragazze) al 30 aprile 2025 i giovani detenuti nelle carceri minorili italiane. I giovani detenuti stranieri – quasi l’80% provenienti dal Nord Africa, quasi sempre minori non accompagnati – costituiscono il 49,9% del totale delle presenze. Alla fine del 2022 le presenze erano 381 e alla fine del 2024 raggiungevano le 587 unità, con una crescita del 54% in due anni. Crescita che sarebbe ancora maggiore se non fosse per la facilitazione introdotta dal Decreto Caivano a trasferire in chiave punitiva gli ultra-diciottenni del circuito minorile a carceri per adulti, con la conseguenza di interrompere bruscamente il percorso educativo del ragazzo e di affaticarne enormemente il recupero. Ulteriore effetto del Decreto Caivano è rappresentato dal fatto che il 65% dei ragazzi in carcere sono in custodia cautelare. Davanti alle presenze crescenti, ancora una volta a causa del Decreto Caivano, e alle tensioni crescenti che si sono registrate nell’ultimo periodo nelle carceri minorili, una delle soluzioni su cui ha puntato il Governo è proprio la configurazione di un carcere minorile imprigionato in un carcere per adulti, precisamente la sezione giovani adulti all’interno della Casa di reclusione “Dozza” di Bologna.
Se per far fronte al problema del sovraffollamento negli IPM il Governo ha deliberato anche l’apertura di quattro nuovi istituti rispettivamente a L’Aquila, Rovigo, Lecce, Santa Maria Capua Vetere, rispetto al sistema penitenziario per gli adulti le soluzioni sembrano andare in due direzioni. Da un lato, sono stati stanziati 32 milioni di euro per creare 384 posti letto, divisi in 16 blocchi detentivi di calcestruzzo prefabbricato da destinare a nove istituti penitenziari distribuiti su tutta la penisola. I moduli ospiteranno quattro detenuti in camere di una superficie complessiva di circa 30 mq. Tenendo conto degli spazi occupati da bagno, letti a castello, tavolo fisso e arredi di sicurezza, lo spazio abitabile netto residuo risulta essere di circa 20,5 mq complessivi, ossia poco più di 5 mq a persona. Rispetto agli standard con cui in Italia si calcola la capienza regolamentare degli istituti, questi prefabbricati nascono, quindi, già sovraffollati.
Dall’altro, le iniziative mirate a ridurre il sovraffollamento sembrano strizzare l’occhio a ipotesi di privatizzazione penitenziaria. Il cosiddetto “Decreto carceri” dell’agosto 2024 ha istituito un elenco di strutture residenziali idonee all’accoglienza e al reinserimento sociale. Mentre appare lodevole l’intenzione di facilitare l’accesso a misure alternative a quei detenuti che non dispongono di un domicilio adeguato, appaiono tuttavia ambigue le modalità in cui ciò si prevede, affidando a soggetti privati non solo l’accoglienza ma anche il reinserimento sociale. Si cita esplicitamente il regime di detenzione domiciliare, una forma di detenzione a tutti gli effetti, sebbene in privata dimora. Quando la privata dimora appartiene a un soggetto privato che riceve fondi pubblici per la reintegrazione sociale del condannato il risultato, come ha sottolineato Susanna Marietti, somiglia molto a un carcere privato.
Le proposte di Antigone, invece, vanno in “direzione ostinata e contraria” a quelle formulate dal Governo. In primo luogo, si fa notare che applicando un atto generale di clemenza di soli 24 mesi nei confronti dei circa 17.000 detenuti che devono scontare un residuo pena inferiore ai due anni, sarebbe possibile migliorare sia le condizioni di detenzione delle persone detenute, che quelle lavorative per gli operatori. In secondo luogo, i consigli di disciplina in ciascun istituto potrebbero riunirsi in forma straordinaria e sollecitare provvedimenti collettivi di grazia e di concessione di misure alternative per tutti coloro che hanno da scontare meno di due anni. Infine, appare quanto mai urgente prevedere un divieto di carcerazione, salvo casi eccezionali, se non c’è un posto regolamentare in carcere.
Se interventi di questo tipo non verranno implementati a stretto giro, la situazione all’interno delle carceri italiane è destinata, tragicamente, a peggiorare. Con l’arrivo dell’estate e del caldo è tristemente noto come in carcere aumenti il numero dei suicidi, che sono stati 91 in tutto il 2024 a cui si aggiungono i 37 avvenuti fino al 12 giugno 2025. Lo scorso 29 maggio, durante la presentazione del Rapporto di Antigone che, non a caso, abbiamo intitolato “Senza Respiro”, il Direttore Generale dell’area detenuti e trattamento del Dap, Ernesto Napolillo, ha criticato l’utilizzo dei dati sui suicidi in carcere pubblicati da Ristretti Orizzonti, una realtà di lunga data operativa presso il carcere di Padova. Egli ha ribadito con forza che i dati da considerare sono quelli pubblicati dall’ufficio statistiche del DAP, gli unici scientifici. Come ben ha sottolineato Stefano Anastasia non è opportuno confondere il concetto di scientificità con quello di ufficialità, altrimenti l’unico sapere scientifico potrebbe essere solamente quello istituzionale. Il consigliere Napolillo si è soffermato sulla discrasia delle fonti, non dedicando altrettanto tempo ad analizzare la drammaticità della situazione per cui la pena carceraria è diventata così insostenibile al punto tale che in molti decidono di togliersi la vita (anche se è bene ricordare che il gesto suicidario è sempre un gesto complesso determinato da più concause).
Il fatto che in carcere ci si tolga la vita 25 volte in più rispetto che fuori da esso denota il disagio profondo prodotto dalla carcerazione e l’estrema rilevanza che ha ancora la dimensione corporale all’interno della penalità. Quanto appena detto si evince anche dal fenomeno dell’autolesionismo in carcere e anche dal numero dei tentati suicidi.
Secondo i dati dell’Osservatorio di Antigone, la media degli atti autolesivi ogni 100 detenuti è passata dal 18,1 nel 2022 al 21 nel 20231. La Casa circondariale di San Vittore, non a caso l’istituto più sovraffollato d’Italia, è anche il carcere in cui si sono registrate più condotte autolesive: 119,7 ogni 100 detenuti. Secondo quanto si apprende dai dati pubblicati dal Garante nazionale, la sofferenza delle persone detenute che più di frequente sfocia in atti di violenza auto-diretta è più acuta nelle grandi case circondariali. Oltre a San Vittore, tra i primi cinque istituti in cui nel 2024 il fenomeno dell’autolesionismo si è verificato maggiormente, troviamo anche le Case circondariali di Sollicciano e Secondigliano. La stessa cosa accade per quanto riguarda i tentati suicidi (al posto di Secondigliano, in questo caso, vi è l’altro grande circondariale di Napoli, ovvero Poggioreale). Se guardiamo anche ai dati rilevati dall’Osservatorio di Antigone, la media dei tentati suicidi ogni 100 detenuti nel 2023 purtroppo supera ampiamente il dato corrispondente del 2022, passando dal 2,4 al 2,9. Anche in questo caso, la tendenza in aumento si evince dai dati pubblicati dal Garante nazionale, secondo i quali nel 2024 l’autolesionismo è aumentato del 4,1% rispetto al 2023, mentre i tentati suicidi sono cresciuti addirittura del 9,3%.
Dall’attività di monitoraggio svolta dagli osservatori di Antigone, è rilevabile anche una connessione tra l’entità del fenomeno autolesionistico e la presenza di persone detenute con problemi psichici; presso la Casa di lavoro di Vasto, dove il 90% dei detenuti è affetto da disturbi psichiatrici, il dato sull’autolesionismo è pari a 61,76 ogni 100 detenuti, quello dei tentati suicidi è pari a 20 ogni 100 detenuti. Secondo i risultati dell’osservazione condotta da Antigone nel 2024, inoltre, il 44,25% delle persone detenute fa uso di sedativi o ipnotici, il 20,4% utilizza stabilizzanti dell’umore, antipsicotici e antidepressivi. Le diagnosi gravi sono, invece, il 13,7% di media, a testimonianza di come la somministrazioni di psicofarmaci riguardi molte più persone rispetto a quelle che presentano una diagnosi psichiatrica. Da ciò si evince come lo psicofarmaco rappresenti uno strumento di governo del carcere contemporaneo, dai significati che vanno oltre lo spettro strettamente sanitario.
La gestione “muscolare” delle tensioni e del disagio penitenziario, che oggi sembra essere quella reputata più efficace, prevede anche l’applicazione della custodia chiusa nella maggioranza degli spazi penitenziari. A fine aprile 2025, il 60,6% dei detenuti era sottoposto a custodia chiusa; di questi il 44,4% è rappresentato da detenuti collocati nelle sezioni ordinarie di media sicurezza. Infatti, con la circolare pubblicata dal DAP il 18 luglio del 2022, la quotidianità detentiva all’interno delle sezioni ordinarie di Media sicurezza è cambiata radicalmente. Per le persone detenute in tali reparti è preclusa la deambulazione sul corridoio di sezione, imponendo loro di trascorrere il tempo chiuso in cella, a meno che, oltre alle ore d’aria (quattro secondo l’art. 10 o.p.) non possano accedere ad attività di tipo trattamentale. Lo spirito della circolare sembra scontrarsi però con la realtà della scarsità di risorse investite nel trattamento sia quanto a operatori (del tutto deficitario allo stato attuale il numero degli educatori, come si è detto sopra) sia quanto all’opportunità di partecipare ad attività trattamentali. Nelle sezioni ordinarie le persone detenute ivi allocate vedono pertanto fortemente limitata la libertà di movimento al di fuori delle celle, essendo sottoposte a un modello di governo della sezione basato sulla custodia chiusa.
Lo scorso 27 aprile 2025 il DAP ha ribadito l’imprescindibilità della custodia chiusa anche nelle sezioni di Alta sicurezza, nelle quali è collocato circa il 15% della popolazione penitenziaria totale. Tale circolare ribadisce che “l’apertura delle celle detentive nei circuiti AS assumerà sempre e comunque la connotazione di mezzo e non di fine, con la logica conseguenza che tutti gli operatori penitenziari dovranno porre ogni sforzo esigibile per evitare che le celle rimangano aperte […] e pertanto le camere detentive e i locali comuni in cui si effettua la socialità dovranno rimanere chiusi”. In realtà la custodia chiusa per il circuito AS era già stata ribadita con la circolare 3663/6113 del 23 ottobre del 2015, ma nella prassi le Direzioni avevano un margine di adattamento del dettato formale. Con questa nuova circolare il DAP torna a insistere, peraltro utilizzando un linguaggio particolarmente inquietante, sul fatto che i detenuti in AS non possono avere alcuna libertà di movimento all’interno della sezione, con l’obiettivo di evitare la “supremazia criminale” di questi.
Rispetto alle chiusure, non si può non tener conto del fatto che oltre i due terzi dei suicidi avvenuti nel 2024 e nei primi cinque mesi del 2025 si è verificata in una sezione a custodia chiusa; in particolare, sono almeno 20 i suicidi avvenuti in una cella di isolamento, dove troppo spesso gli osservatori e le osservatrici di Antigone non vi hanno trovato persone destinatarie di un provvedimento disciplinare di isolamento – fattispecie più tipica e formalmente legittima di isolamento – bensì soggetti che per varie ragioni erano stati etichettati dall’istituzione penitenziaria come cause (anche potenziali) di turbativa dell’ordine interno.
Oggi alle chiusure, al fine di reprimere le tensioni in ambito penitenziario, si aggiunge un ulteriore strumento repressivo; il reato di rivolta penitenziaria introdotto con il Decreto sicurezza, il quale prevede pene altissime, superiori nel massimo edittale anche ai maltrattamenti in famiglia, punendo anche condotte di resistenza passiva dei detenuti. Soltanto nel 2024 si sono verificati circa 1.500 episodi di protesta collettiva non violenta nelle carceri, e supponendo che in media 4 detenuti partecipino a ogni episodio, si arriva a 6.000 detenuti coinvolti. Supponiamo ancora che questi vengano condannati a una media di 4 anni di carcere ciascuno, arriveremo a circa 24.000 anni aggiuntivi di carcere contro persone, già detenute, alle quali sarà peraltro escluso l’accesso a misure alternative.
Come interpretare quindi il quadro fin qui delineato? La situazione attuale in cui versa il carcere italiano, dove l’aumento dei provvedimenti di isolamento, della custodia chiusa, degli eventi critici e del sovraffollamento appare essere relazionato, può essere letta come un effetto della crisi della legittimazione dell’istituzione penitenziaria (cfr. Beetham, 1991). Principale oggetto della crisi potrebbe essere la strategia punitivo premiale su cui si articola il nostro sistema penitenziario di matrice correzionalista, che si regge sul meccanismo premi e punizioni (cfr. Pitch, 1975). A causa di molteplici concause che hanno portato alla riduzione drastica delle opportunità – in primis il sovraffollamento – si riducono drasticamente i premi; ciò che tristemente ora rimane sono solo le punizioni.
Riferimenti bibliografici:
Beetham D. (1991), The Legitimation of Power, London, Macmillan.
Gallo E., Ruggiero V. (1989), Il carcere immateriale. La detenzione come fabbrica di handicap, Milano, Sonda editore.
Pavarini M. (2006), La “lotta per i diritti dei detenuti” tra riduzionismo e abolizionismo carcerari, in Antigone, Quadrimestrale di critica del sistema penale e penitenziario, 1 (1), pp. 82-96.
Pitch T. (1975), La devianza, Firenze, La nuova Italia.
Nota
1 Le schede dell’Osservatorio di Antigone contengono il riferimento all’anno precedente rispetto al momento della visita per tutti gli eventi critici, compresi quindi gli atti di autolesionismo e i tentati suicidi. Ciò ha lo scopo di rendere comparabili e aggregabili i dati raccolti durante le visite svolte in momenti diversi dell’anno, che altrimenti non lo sarebbero.
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