Articolo pubblicato sul sito del ForumDD come approfondimento al primo numero della newsletter “Quale Europa. Cronache per capire, discutere, scegliere”.

L’appoggio ostentato e praticato delle grandi aziende digitali USA alla presidenza Trump, così come, tra i primi atti della nuova amministrazione, la messa in discussione degli strumenti di attuazione del Data Privacy Framework che regola il trasferimento in USA dei dati digitali dei cittadini europei, hanno messo se possibile ancora maggiormente in evidenza la necessità per l’Europa di infrastrutture digitali autonome dalle grandi aziende digitali non europee, in particolare da quelle di proprietà USA.

A questo obiettivo ci si riferisce quando si parla di “sovranità digitale” dell’Europa.

Termine che suscita fondate cautele. “Il concetto di sovranità digitale, che estende la tradizionale nozione di sovranità statale al dominio virtuale, si scontra con la complessa realtà di un cyberspazio intrinsecamente globale e interconnesso. A differenza dei confini fisici chiaramente delimitati, internet si configura come un ambiente fluido e condiviso, dove i flussi di dati attraversano costantemente le giurisdizioni nazionali. Questa fluidità mette in discussione la possibilità stessa di definire un “territorio” virtuale su cui uno Stato possa esercitare un controllo esclusivo. L’illusione di un controllo unilaterale è ulteriormente indebolita dalla dipendenza delle infrastrutture digitali critiche da attori globali, come evidenziato dalla centralità di poche aziende tecnologiche, prevalentemente statunitensi, nel panorama digitale. In questo contesto, la sovranità digitale si configura come un concetto sfumato e multidimensionale.” (Paolo De Rosa,La sovranità digitale: tra aspirazione e realtà in un mondo interconnessodocumento di lavoro del ForumDD).

Con piena consapevolezza della multidimensionalità dell’obiettivo, e delle grandi difficoltà per il suo effettivo conseguimento, ma con convinta determinazione ad assumere la sovranità digitale come condizione strategica ineludibile per lo sviluppo dell’Europa, il 13 febbraio 2025 viene pubblicato il rapporto “Eurostack. A European Alternative for Digital Sovereignty”.

Il rapporto è commissionato dalla Fondazione Bertelsmann ed è stato realizzato dalla Fondazione Mercator con il coordinamento di Francesca Bria. Presentato al Parlamento europeo si propone esplicitamente non tanto come un rapporto tecnologico ma come il quadro di riferimento di una effettiva e praticabile politica industriale europea per il conseguimento della “sovranità digitale”.

Eurostack descrive con chiarezza e accuratezza tutte le componenti che contribuiscono alla sovranità digitale, le loro reciproche interdipendenze, il potere che ogni componente può esercitare sugli altri, le implicazioni geopolitiche che ne derivano.

Dalle materie prime, di cui fanno parte le “terre rare”, alle risorse energetiche necessarie. Dai microchip, con la loro filiera di produzione, alle reti di connessione, incluse quelle satellitari. Dalle infrastrutture per i servizi cloud, con i loro data center, ai dispositivi per l’internet delle cose e delle persone. Per arrivare poi, negli strati più alti della pila (lo “stack”), al software (piattaforme e applicazioni), alla accumulazione e gestione dei dati, e ai più recenti sistemi di intelligenza artificiale.

Ma il rapporto non si limita a questa descrizione, che già di per sé rappresenta un utile modello di riferimento per ogni discussione politica “informata” sul tema delle infrastrutture digitali. Per ogni componente descrive la natura e l’entità della dipendenza da soggetti non europei, che in alcuni casi raggiunge percentuali del 90%. Ma, allo stesso tempo, censisce e mappa le esperienze di eccellenza, pubbliche e private, presenti in Europa, non nascondendo le fragilità dovute alla piccola dimensione o le difficoltà che hanno fortemente rallentato l’attuazione progetti di collaborazione che avevano suscitato grandi aspettative (come nel caso del progetto GAIAX per le infrastrutture cloud).

Individuando quanto già presente EuroStack è in grado di mostrare quali sono i componenti infrastrutturali sui quali una effettiva autonomia strategica è conseguibile più rapidamente, quali hanno necessità di maggiori investimenti e tempi più lunghi, quali infine richiedono nel medio periodo una gestione pragmatica delle inevitabili dipendenze da attori non europei.

Ma, come sappiamo, in Europa esistono già da tempo politiche e iniziative volte allo sviluppo delle tecnologie digitali, alcune delle quali hanno permesso la realizzazione proprio delle esperienze di eccellenza che sono state descritte.

Il rapporto EuroStack censisce strategie, quadri normativi, piani e strumenti di finanziamento e mostra il possibile abbinamento con i componenti del modello di riferimento, distinguendo tra iniziative che limitano il loro effetto a un singolo componente, e quelle che hanno effetti su cluster di componenti tra loro interdipendenti.

Ricavando da questo censimento sia indicazioni per un potenziamento/riorientamento di ciò che già esiste, sia la necessità di strumenti del tutto nuovi. Tra questi in ambito finanziario la creazione di un “Fondo europeo per la sovranità tecnologica”.

Il valore politico e l’importanza della proposta EuroStack sta nell’opporsi alla integrazione verticale imposta dalle più grandi aziende digitali che, anche in concorrenza tra loro, sfruttano la posizione dominante in un livello (ad esempio il patrimonio di dati già accumulato, o i servizi cloud) per “catturare” gli altri livelli interdipendenti dello stack. Ad esempio, acquisendo strumenti per la produzione di energia (centrali nucleari di nuova generazione) o, verso i livelli alti dello stock, realizzando o acquisendo sistemi proprietari di intelligenza artificiale.

Alla integrazione verticale predatoria e già operante delle grandi aziende, EuroStack oppone una integrazione armonica realizzata tramite strumenti di politica industriale e orientata da quadri di riferimento valoriali e sociali. Non a caso negli organismi di governance del progetto si include la società civile e in alcune pagine del rapporto si auspica la partecipazione dei lavoratori alla realizzazione dei processi di innovazione, in particolare quelli che riguardano la realizzazione di sistemi di intelligenza artificiale.

EuroStack non contraddice il rapporto Draghi, che, come analizzato criticamente dal ForumDD, usa come riferimento l’esempio delle grandi imprese USA e auspica la crescita analoga di campioni Europei a partire dalla eccellenze già esistenti.

Non si accoda però alla critica di Draghi alla eccessiva regolamentazione europea.

EuroStack non solo assume positivamente l’approccio europeo alla digitalizzazione attento ai diritti delle persone e il quadro normativo che ne è derivato. Ma denuncia la sua crescente difficoltà di attuazione come ulteriore necessità di sovranità europea sull’intera pila. Non si può pretendere di regolare ciò su cui non si può esercitare alcun controllo.

Se la proposta di politiche industriali di EuroStack coinvolge necessariamente tutti i livelli, per tener conto delle loro interdipendenze, ve ne sono alcuni che più degli altri possono caratterizzare una visione “europea” e, in quanto tali, orientare l’integrazione fra i diversi strati dello “stack”. Si tratta in particolare del livello che riguarda i “dati”, e la loro utilità sociale e non solo economica, dove alla copiosa produzione normativa può corrispondere anche la capacità di gestione e la disponibilità di strumenti software adeguati, come nello sviluppo di “Common European Data Space” in ambiti politicamente rilevanti come la sanità, l’energia, l’agricoltura. Ma anche nelle esperienze di gestione autonoma di dati territoriali di alcune grandi città europee, e nella realizzazione di “gemelli digitali” che promuovano decisioni informate e pianificazione collaborativa.

Queste esperienze non risolvono completamente i problemi di dipendenza degli altri strati dello stack, ma possono orientare utilmente la direzione ‘tecnologica’ del loro superamento.

Ma è proprio la natura di questo orientamento la questione politica che EuroStack può suggerire, ma non può risolvere, e che può condizionarne la realizzazione in modo significativo.

La proposta di politica industriale, e soprattutto l’impianto analitico del rapporto EuroStack, consentono infatti un salto di qualità nella discussione su come conseguire una effettiva sovranità digitale europea.

Ma occorre un orientamento politico che ne caratterizzi l’urgenza, ne orienti la definizione, ne giustifichi economicamente la realizzazione.

Oggi, con l’attuale governo politico dell’Europa, questo orientamento è esplicitamente determinato dall’urgenza e dall’intensità del riarmo, e dalla sua stretta interdipendenza con lo sviluppo delle tecnologie digitali.

Leggiamo ad esempio nella “Relazione annuale 2024 sulla politica di sicurezza e difesa comune” approvata dal Parlamento europeo il 2 aprile:

“l’integrazione dell’intelligenza artificiale nel settore della sicurezza e della difesa, comprese le tecnologie legate agli armamenti, incide sulle operazioni militari consentendo ai sistemi autonomi, all’analisi predittiva e alle capacità decisionali migliorate di svolgere un ruolo significativo sui campi di battaglia”.

E più avanti:

“[Il Parlamento europeo] sottolinea l’importante ruolo svolto nel settore della difesa dalle tecnologie di rottura emergenti, quali l’intelligenza artificiale, il calcolo quantistico, il cloud computing e la robotica; sottolinea che per sviluppare e sfruttare tali tecnologie nel settore della difesa sono necessari ulteriori investimenti e ricerche coordinati dall’UE, cosicché i fornitori di attrezzature di difesa dell’Unione possano rimanere all’avanguardia nell’innovazione”.

Insomma la sovranità digitale europea diventa una delle condizioni che consentono la sovranità militare europea. E le politiche di riarmo “l’urgenza” che può mobilitare le risorse necessarie alla realizzazione di EuroStack.

Ma le conseguenze di questa torsione e accelerazione verso la militarizzazione del digitale si ripercuoteranno anche sul digitale in ambito civile.

Leggiamo ancora:

“[Il Parlamento europeo] sottolinea la necessità di una maggiore intraprendenza dell’UE nel sostenere investimenti nelle tecnologie a duplice uso, applicabili sia in contesti civili che militari, come mezzo per rafforzare la resilienza dell’UE rispetto alle minacce ibride ed emergenti; evidenzia che è necessario sostenere, in particolare, la sperimentazione di prototipi di nuovi prodotti e concentrarsi sulle nuove tecnologie in stretta collaborazione con gli esperti ucraini in ambito tecnologico e della difesa”.

Il “duplice uso” civile e militare, utilizzato spesso come argomento per giustificare le collaborazioni di ricerca di alcune università italiane con aziende che forniscono tecnologie militari, si rivela come utilizzo in ambito civile di tecnologie digitali sperimentate in teatri di guerra, trasferendo in ambito civile, ad esempio nell’attuazione delle cosiddette politiche di sicurezza, la loro impronta militare.

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