Interventi

La storia delle politiche sociali e delle istituzioni di welfare in Italia è una storia avvincente, che si intreccia con quasi un secolo di avvenimenti politici, di lotte e riforme sociali, di sviluppo economico del nostro paese. A ripercorrerla in un recente volume pubblicato da “il Mulino” sono due storiche italiane, Chiara Giorgi e Ilaria Pavan, che ne ricostruiscono l’evoluzione e lo sviluppo dalla prima guerra mondiale alla fine del secolo scorso. È un libro, e anche un manuale, fondamentale, che dovrebbe essere sempre al seguito di chi si occupa di welfare e politiche sociali. Ci sono tantissime informazioni: la ricostruzione delle vicende delle politiche sociali italiane è fatta con un grandissimo rigore storico e metodologico.

Lo Stato sociale è in qualche modo un termometro della civiltà di un paese: ne misura il grado di rispetto e di promozione del benessere dei cittadini, l’evoluzione delle sue istituzioni politiche, la dimensione sociale di un’economia, il benessere diffuso, il livello di trasformazioni sociali. Nella vulgata del dibattito politico e sociologico del dopoguerra – e nella visione più alta – lo Stato sociale viene individuato nell’organicità, nella comprensività di istituzioni e politiche sociali dentro una visione più generale dell’economia, della politica, della democrazia. Dopo i white papers di Beveridge, le politiche del governo laburista di Attlee del secondo dopoguerra furono capaci di legare economia, politica e società dentro un disegno riformatore: la riforma delle assicurazioni sociali e la politica per la piena occupazione, il servizio sanitario pubblico e la riforma dell’istruzione, le nazionalizzazioni di servizi fondamentali per l’economia e le politiche urbanistiche, ecc. Lo stesso si può dire per alcuni dei paesi scandinavi.

Lo stato sociale, finchè ha funzionato il patto fiscale, è stato il più potente fattore di redistribuzione del reddito tra le classi sociali. Nel corso del tempo questa formula ha inglobato tutto (dallo Stato assistenziale a quello paternalistico e caritatevole) e più in generale ha scandito l’analisi delle politiche e delle istituzioni sociali, a prescindere o meno dalla vision e dalla organicità delle misure e degli interventi dentro un quadro più generale.

Nel bel lavoro di Giorgi e di Pavan si ripercorre l’evoluzione delle politiche sociali e delle istituzioni di welfare che il nostro paese si è dato dalla prima guerra mondiale, passando da un primo livello frammentario e parziale (quello del primo dopoguerra e del fascismo) ad un quadro sempre più vasto e ad una filosofia delle politiche sociali più universalistica e legata alla promozione dei diritti sociali. Non è un caso che il secondo dopoguerra in Italia – a partire dagli anni ’60 e poi pienamente negli anni ’70 – abbia abbracciato un sistema di welfare (rimasto comunque segnato da tratti familistici, corporativi, frammentari e diseguali) nella direzione dell’universalità dei diritti. L’Italia in quegli anni si avvicinava sempre di più agli standard delle politiche sociali degli altri paesi in un contesto di crescita economica, di secolarizzazione della società italiana, di radicali trasformazioni (inurbamento, migrazioni, crisi della famiglia allargata), di lotte sociali e operaie, e di ruolo crescente dello Stato: la vicenda delle partecipazioni statali, della regolazione (o almeno del tentativo) delle politiche urbanistiche e della nazionalizzazione dell’energia elettrica stanno a dimostrarlo. Utilissimo e pregevole è il V capitolo del libro sulla vicenda del Servizio sanitario nazionale: vicenda paradigmatica di una riforma, attraversata da contraddizioni e successivi passi indietro, ma fondamentale e ancora oggi esemplare, come si è visto in questo ultimo anno di emergenza per la pandemia.

Il percorso dello Stato sociale non è mai terminato nel nostro paese. Negli ultimi trent’anni si è iniziato a parlare (non solo in Italia) di welfare mix e di welfare di comunità, è cambiata la filosofia e la geografia di cosa significhi pubblico nelle politiche e nei servizi. Non solo lo Stato, ma anche organizzazioni sociali (private) del terzo settore che producono beni e servizi pubblici (e beni relazionali, anche questi fondamentali per la crescita del paese) e che agiscono con la logica del pubblico (universalità e gratuità). La diversificazione e la frammentarietà dei servizi, l’emersione di nuovi bisogni, le trasformazioni sociali e – appunto – i cambiamenti nell’organizzazione delle politiche che producono beni e servizi pubblici pongono nuovi interrogativi, inedite sfide.

Le ultime pagine del volume di Giorgi e Pavan (in particolare il VI capitolo: L’epilogo di un modello) sono utilissime da leggere, in quanto forniscono la bussola di queste e di altre sfide relative al welfare nel nostro paese: non più una spesa, ma una risorsa (e una riposta a un diritto), parte sempre più integrante di un modello di sviluppo e di politica economica, dove la ricerca più ampia del benessere dei cittadini e la soddisfazione dei loro bisogni sono orientati dai principi costituzionali di eguaglianza e di solidarietà.

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