Interventi
Il Taxi è un servizio obsoleto. È destinato ad essere travolto da una rivoluzione degli stili di vita e dell’organizzazione della mobilità. La motorizzazione di massa del Novecento si è basata sull’uso proprietario dell’automobile; è stato il paradigma che ha plasmato le menti delle persone, il paesaggio e lo spazio pubblico, le produzioni industriali. Il nuovo secolo si annuncia più intelligente del precedente, almeno nell’utilizzazione non proprietaria dell’automobile come servizio di mobilità. La nuova mentalità è già maturata nei giovani che guardano ormai con ironia all’ossessione dei genitori per lo status symbol delle quattro ruote.
Quando sarà compiuto il processo, l’attuale modalità di servizio verrà ricordata con la nostalgia di un tempo passato. Il taxi viene storicamente dopo la carrozza a cavalli, ma esso stesso sembrerà come la carrozza a cavalli quando sarà sostituito dai servizi innovativi.
L’esperienza di servizio pubblico maturata dai tassisti – in gran parte di buona qualità, nonostante i casi isolati raccontati dalle cronache – è una risorsa preziosa per progettare il futuro della mobilità urbana. Occorre quindi governare la riconversione produttiva del servizio, con la necessaria gradualità e la tutela degli operatori, ma anche con la lungimiranza indispensabile per cogliere le opportunità dei nuovi stili di vita e della diffusione delle nuove tecnologie.
Mio malgrado, sono stato tra i primi amministratori ad affrontare il problema ormai vent’anni fa. Non c’erano le tecnologie di oggi, e non potevo influire sulla legislazione, quindi optai per una semplice innovazione amministrativa volta a rendere possibili gli sconti sulle tariffe e a liberalizzare i turni. Tentai di aumentare le automobili in circolazione offrendo la possibilità di usarle per un tempo maggiore a beneficio degli stessi titolari di licenza. Risposero con un’interminabile protesta a piazza Venezia. Negli anni successivi sono state rilasciate nuove licenze sottraendo quindi una fetta di mercato ai vecchi titolari.
Oggi, quando salgo su un taxi, capita spesso di sentirmi dire che hanno sbagliato a rifiutare la mia proposta, molti hanno capito solo dopo venti anni che era più vantaggiosa per loro. Ricordo la vicenda solo per dare un paio consigli ai riformatori di oggi. La categoria dei tassisti a volte prende posizione contro i propri interessi. I singoli comprendono bene i vantaggi, ma le rappresentanze sindacali e soprattutto le centrali radio, si oppongono a prescindere perché tutelano prima di tutto il proprio potere sui lavoratori dei taxi, basato sulla difesa del vecchio monopolio. Inoltre la risposta della categoria è tipicamente molto piatta, esprimendo la stessa intensità di protesta sia per le piccole modifiche sia per le grandi innovazioni. Tanto vale tentare una grande riforma, invece di attardarsi su piccoli cambiamenti che comunque provocherebbero il medesimo contenzioso.
L’impegno preso dal Ministro Del Rio è l’occasione per approvare una legge coerente e lungimirante. Il settore è stato devastato nell’ultimo decennio da norme improvvisate e settoriali, che hanno sempre rinviato la soluzione dei problemi strutturali. Dal 2008 a oggi il Parlamento su iniziativa del governo ha legiferato in materia ben dodici volte, senza mai risolvere la questione. Nel recente referendum volevano convincerci che la lentezza parlamentare impedisce al governo di decidere. Invece, è proprio l’eccesso di leggi che spesso maschera la mancanza di idee.
Sarebbe davvero un peccato se si continuasse con i pannicelli caldi. Di seguito propongo una riforma ambiziosa suddivisa in due fasi: la prima istituirebbe un nuovo servizio, che chiamerò qui di seguito – e in via provvisoria – TaxiPlus. Tale servizio ha la funzione di preparare gli utenti e gli operatori alla seconda fase, caratterizzata dal pieno dispiegamento dei nuovi Servizi per la Mobilità (SeMo).
Sulla base di questi appunti presenterò un disegno di legge. Sarebbero preziosi tutti i contributi critici, le osservazioni e i suggerimenti. Ne farei tesoro per la stesura finale della proposta.

TAXIPLUS
Il nuovo servizio andrebbe realizzato mediante l’unificazione giuridica delle attuali licenze di Taxi e di Noleggio con Conducente (NCC). Viene superata la vecchia distinzione basata su due vincoli che ormai appaiono inutili e dannosi: a) il tassista risponde a una chiamata indifferenziata e non può essere scelto dall’utente; b) il conducente NCC è costretto a tornare in garage per poter rispondere a una chiamata, con una procedura irrazionale e inefficace sia per gli utenti sia per gli operatori. L’assurdità di questi vincoli è confermata dalla sempre più frequente elusione ad opera degli stessi titolari di entrambe le licenze.
Viene eliminato anche un terzo vincolo (c), che relega il servizio pubblico nell’ambito della chiamata esclusivamente individuale. Proprio questa restrizione è travolta dalle nuove tecnologie, le quali rendono possibile l’aggregazione della domanda di più persone che si spostano nello stesso bacino.
Il Taxiplus, quindi, sarebbe un nuovo servizio che supera i tre vincoli suddetti: l’utente è libero di scegliere l’operatore oppure di attivare una chiamata indifferenziata; il conducente non deve tornare in garage, risponde alle chiamate negli spazi pubblici oppure mediante strumenti tecnologici; l’offerta è rivolta non solo a richieste individuali ma anche a gruppi di utenti che si muovono con relativa flessibilità nella medesima direzione anche per segmenti di viaggio. Soprattutto questa modalità multipla, da realizzare con mezzi più capienti di un’ordinaria automobile, consente un salto di qualità del servizio a prezzi più bassi e aiuta la diffusione in una fascia di utenza molto più ampia.
Le tariffe del nuovo servizio sono di tre tipi: a chiamata individuale con una tariffa pubblica massima che può essere anche ridotta o scontata; a prenotazione o ad abbonamento a prezzo concordato più basso o più alto della tariffa in relazione a eventuali servizi aggiuntivi; a tariffa multipla più bassa che suddivide il costo in un gruppo di utenti.
I turni di lavoro sono definiti dalle amministrazioni non più come limite massimo ma come minimo per assicurare gli obblighi di servizio; gli operatori possono aumentare il tempo di lavoro per rispondere alle fluttuazioni giornaliere e stagionali della domanda; nel caso di superamento dell’orario massimo di guida, definito per ragioni di sicurezza e di tutela della salute degli autisti, è necessario il ricorso a un collaboratore, con le modalità previste dalle norme vigenti.
L’unificazione giuridica assume le norme migliori tra quelle presenti in un servizio e assenti nell’altro, come previsto in parte dalla utilissima segnalazione dell’Antitrust al Parlamento. Il Taxiplus prende da NCC la possibilità di intestare le licenze anche alle società e dal Taxi l’obbligo di servizio nei confronti delle richieste degli utenti. Per entrambi poi cade il vincolo della proprietà del mezzo e viene autorizzato l’uso del noleggio.
Invece, rispetto ai vecchi servizi cambia la scala territoriale e la competenza amministrativa. Come previsto dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti, sono le Regioni a definire i bacini di servizio e a individuare i livelli di governo del servizio: Città Metropolitana, Provincia o Unioni di Comuni ecc, – al fine di evitare che i piccoli comuni possano inflazionare il sistema e anche per ampliare l’offerta degli attuali tassisti nella dimensione extra urbana.
Le licenze non possono essere più vendute, ma vengono restituite al Comune quando l’operatore va in pensione o cessa l’attività, e i posti vacanti vengono messi a bando. Finisce così una rendita di posizione per troppo tempo connessa impropriamente a un servizio pubblico.
Nella transizione al nuovo servizio bisogna tutelare le condizioni di vita e di lavoro degli attuali tassisti. È pienamente giustificato un sostegno pubblico, come riconosciuto dall’Antitrust, che consenta alla categoria di prepararsi a una radicale riconversione dell’organizzazione del lavoro, e ci sono dei precedenti nella legislazione sul commercio. Così come lo Stato ha pagato la cassa integrazione per gli operai delle case automobilistiche in fase di ristrutturazione è giusto prevedere un aiuto per gli operatori del vecchio servizio Taxi. Entrambi i processi sono determinati dalla medesima mutazione dell’uso non più solo proprietario dell’automobile, la quale diminuisce la domanda per i costruttori di automobili e implica una nuova organizzazione della mobilità urbana.
Il sostegno può essere un indennizzo del mancato TFR in rapporto al periodo lavorativo – da finanziare con le entrate delle licenze messe a bando e con le autorizzazioni dei nuovi servizi della seconda fase – oppure la concessione di una seconda licenza del tipo Taxiplus. Il tassista più anziano probabilmente preferirà una sorta di liquidazione che compensa l’impossibilità di vendere la vecchia licenza; quello più giovane invece potrà utilizzare il nuovo titolo con un socio per prepararsi alla sfida della trasformazione del servizio.
L’insieme delle innovazioni suddette – soprattutto la modalità multipla e l’abbassamento delle tariffe – dovrebbero innescare un forte aumento della domanda e una qualificazione dell’offerta. In un contesto espansivo si potrebbe superare l’attuale conflittualità tra il vecchio monopolio e i nuovi operatori: con le regole del Taxiplus le imprese possono gestire il servizio, ma devono utilizzare i titolari delle licenze, le quali aumenteranno in seguito ai nuovi bandi e al raddoppio accordato per la fine del monopolio. I tassisti più intraprendenti, almeno nella prima fase, sono messi in grado di concordare condizioni vantaggiose con le società private che entrano nel sistema, e anche di diventare essi stessi protagonisti di nuove imprese. L’innovazione, quindi, offre agli attuali operatori una conveniente alternativa: una sorta di tutela pensionistica oppure un’occasione di riconversione professionale e produttiva.
La transizione “sostenibile” dal monopolio al mercato può essere accelerata affrontando la questione strutturale ben più importante del trasporto di linea (TPL). Qui una parte delle reti è gestita dagli autobus su percorsi rigidi a bassa frequenza in presenza di scarsa domanda, ed è la più inefficiente e inefficace dell’intero servizio pubblico, perché costringe gli utenti a tempi di attesa fino a un’ora e scarica costi elevatissimi sulle aziende. Questa domanda debole potrebbe essere gestita dal Taxiplus, offrendo un servizio a chiamata che abbatterebbe i tempi di attesa e ridurrebbe i costi delle aziende del 75%, secondo uno studio del Comune di Roma. Le tecnologie consentono ormai una piena integrazione del servizio a chiamata con le linee fisse degli autobus e delle reti su ferro, come si vede nelle esperienze più avanzate in alcune città.
I bacini gestiti dal Taxiplus farebbero parte a pieno titolo del servizio pubblico, e ci vorrebbe anche un’adeguata comunicazione per rendere consapevoli i cittadini. L’utente pagherebbe normalmente il biglietto o l’abbonamento ai mezzi pubblici e il Comune riconoscerebbe agli operatori un prezzo dell’ordine di grandezza del rimanente 25% rispetto ai costi attuali. Ci sarebbero vantaggi per tutti. A parità di finanziamenti, le aziende potrebbero utilizzare la quota del 75% risparmiata per potenziare le linee portanti, ottenendo una salto di qualità del servizio. D’altro canto, quella che si chiama “domanda debole” per il trasporto di linea, costituirebbe un forte impulso allo sviluppo dei nuovi servizi multipli, offrendo ampie opportunità sia ai tassisti sia alle nuove imprese. Il vecchio Taxi sarebbe ricordato, appunto, come la carrozza usata da lor signori. Al suo posto ci sarebbe il Taxiplus, utilizzato da tutti i cittadini come parte integrante della rete del trasporto pubblico.

SERVIZI DI MOBILITÀ
L’uso non proprietario dell’automobile apre lo spazio a una grande varietà di servizi. E l’innovazione tecnologica renderà ancora più ricca e mutevole l’offerta. Le potenzialità sono già evidenti nelle esperienze in corso nelle città: car-sharing, bike-sharing, car-pooling, mobility manager, servizi a chiamata. Tuttavia si tratta ancora di fenomeni di nicchia che non modificano le dinamiche strutturali della mobilità. È necessario un salto di scala dell’innovazione per influire sui grandi numeri degli spostamenti e migliorare le condizioni della mobilità, dello spazio pubblico e dell’inquinamento.
Oggi gli spostamenti in taxi costituiscono in percentuale lo zero virgola qualcosa del totale, una componente quasi trascurabile. Occupa le prime pagine dei giornali solo perché è la modalità della classe dirigente, ma è di scarsa importanza per gli usi popolari. Se l’innovazione rimane dentro la logica del Taxiplus si può ipotizzare un raddoppio o una triplicazione degli spostamenti, arrivando all’uno per cento o anche più, fino al tre-cinque per cento, servendo la domanda debole del TPL. Certo, sarebbe un balzo eccezionale, ma ancora insufficiente a modificare strutturalmente il traffico.
Per migliorare la vita urbana, la mobilità con mezzi non proprietari deve raggiungere quote a due cifre; deve avvicinarsi alla componente del trasporto pubblico e insieme a questa superare la quota del trasporto con auto proprietaria. Per ottenere salti di scala di questa dimensione occorre una forza produttiva e innovativa di gran lunga superiore a quella degli attuali titolari di licenza. Non sono sufficienti operatori singoli che lavorano in proprio. Servono imprenditori che non producono direttamente il servizio ma organizzano i produttori, che aggregano la domanda degli utenti con adeguate tecnologie, che sanno fare marketing sociale per agevolare la crescita di nuovi stili di vita urbana. Per creare un moderno mercato della mobilità occorrono i soggetti imprenditoriali del nuovo secolo.
Quando si attua la prima fase si deve anche fissare la data di partenza della seconda fase di riforma. Essa consiste nell’istituzione dei Servizi di Mobilità (SeMo), intesi come offerte di spostamenti mediante l’automobile o altri mezzi meccanizzati con o senza conducente. All’interno dell’offerta si distinguono due modalità con diverso trattamento giuridico: a) i Servizi di Mobilità con Trasporto (SeMoTra) che offrono servizi di trasporto a chiamata su percorsi flessibili non di linea; b) i Servizi di Mobilità in Condivisione (SeMoCo) che agevolano l’uso non esclusivamente proprietario dell’automobile o di mezzi a due ruote, come ad esempio car-sharing, bike-sharing, car-pooling ecc.
La gestione dei SeMoTra verrebbe affidata a società private, cooperative, imprese sociali e ai titolari di licenza Taxi, NCC e Taxiplus. Le modalità di offerta non sono prescritte rigidamente dalla normativa poiché si lasciano agli operatori ampi margini di innovazione organizzativa in relazione alle opportunità tecnologiche. Ad esempio, le sperimentazioni sull’automobile senza autista, se dovessero approdare a soluzioni convincenti e sicure, potrebbero essere inserite nell’ambito dei SeMoTra.
Cambia anche la forma giuridica: non più un “servizio pubblico”, ma un “servizio di interesse pubblico”. Il titolo abilitante non è più una licenza, ma una autorizzazione amministrativa rilasciata a richiesta degli operatori, sulla base di un “progetto di mobilità” che definisce le modalità del servizio e le relative tariffe. L’autorizzazione vincola l’operatore al rispetto di apposite Carte dei diritti degli utenti – secondo i principi definiti dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti – e alla tutela dei diritti dei lavoratori secondo le leggi vigenti e i contratti collettivi.
L’autorizzazione è conferita ai soggetti privati a fronte di un onere commisurato al numero di lavoratori sprovvisti di licenza. Questa entrata, in aggiunta a quella dei bandi delle nuove licenze Taxiplus, alimentano un fondo di solidarietà finalizzato a finanziare il contributo ai tassisti che vanno in pensione o lasciano il servizio. I nuovi soggetti imprenditoriali sono quindi incentivati a coinvolgere gli operatori che nella prima fase avevano ottenuto le licenze Taxiplus in quanto avevano rinunciato al contributo di fine servizio. Quanto più funziona questo incentivo alla riconversione professionale della categoria dei tassisti, tanto più i Comuni potranno risparmiare i sussidi di pensionamento e di fine attività.
Se il pieno dispiegamento dei SeMo riuscisse a creare nuova occupazione si potrebbero assorbire in tempi ragionevoli i costi del vecchio monopolio delle licenze. A regime, quando si risolverà questo problema, l’onere dell’autorizzazione potrebbe essere ridotto o almeno in parte finalizzato agli investimenti per la nuova politica della mobilità. Alcuni studi mostrano che se la domanda cresce significativamente il contributo di solidarietà non impedisce la crescita dei nuovi operatori. Una conferma viene dalla disponibilità annunciata da Uber a contribuireper l’indennizzo dei titolari delle vecchie licenze. D’altro canto se l’onere non venisse attribuito alle nuove imprese e di conseguenza agli utenti dei nuovi servizi, finirebbe per ricadere tramite la leva fiscale su tutti i cittadini.
I SeMoCo sono servizi di mobilità condivisa proposti ai cittadini da parte di soggetti pubblici o privati senza alcuna autorizzazione amministrativa. Il corrispettivo economico non può comprendere il costo del conducente, ma soltanto i servizi mirati alla condivisione dei mezzi. I Comuni possono stipulare convenzioni con gli operatori, a seguito di bandi pubblici, al fine di definire gli standard di servizio e di erogare incentivi anche economici che promuovano la diffusione delle innovazioni nelle aree periferiche.
Le politiche pubbliche promuovono l’accesso per ampie fasce della popolazione: sostegno ai mobility manager come promotori dei nuovi servizi nei luoghi di lavoro, di studio e di tempo libero; ingresso riservato in forma di ZTL nei luoghi di massimo ingorgo; assegnazione di posteggi nelle aree di migliore accessibilità delle stazioni e degli aeroporti, al fine di favorire l’integrazione con i trasporti pubblici; realizzazione di apposite stazioni SEMO con personale addetto ad assistere i cittadini che hanno poca dimestichezza con le piattaforme digitali.
Tra i SeMoCo il servizio che più di altri può contribuire al salto di scala dell’innovazione è il car-pooling. Esso costituisce infatti la migliore espressione della tendenza all’uso non proprietario dell’automobile. Oggi è ancora un’attività sperimentale, ma se si affermasse nei comportamenti collettivi potrebbe diminuire sensibilmente i flussi di traffico. Basta volgere lo sguardo a una strada urbana bloccata nell’ingorgo quotidiano e immaginare che il numero delle automobili si ridurrebbe di due-tre volte se non avessero un solo passeggero.
Anche in questo servizio occorre determinare l’innesco del salto di scala. Come per il Taxiplus si è individuato nella gestione della domanda debole del TPL, qui si può attivare con coraggiose politiche di road pricing. Si tratta di cambiare i fattori di convenienza tra l’uso individuale e quello condiviso dell’automobile. Solo se l’area consolidata della città o le sue principali arterie sono sottoposte a una tariffazione in accesso o nella sosta con esclusione delle automobili che portano almeno tre passeggeri, si ottiene uno sviluppo su grandi numeri del car-pooling. La tecnologia ormai consente di risolvere il problema della certificazione dell’uso multiplo del mezzo; ci sono già alcune app in grado di misurare i passeggeri a bordo e la durata del percorso condiviso.
La nuova disciplina dei SeMo risolve il contenzioso con l’offerta del tipo Uber e contribuisce a chiarire le sue ambiguità. La soluzione Uberblack che utilizza gli attuali NCC è perfettamente compatibile con la nuova disciplina; anzi, le licenze Taxiplus concesse ai tassisti aumentano gli operatori disponibili e possono stimolare la società americana a proporre un servizio più popolare a utenza multipla. La versione UberPop, di contro, basata sul lavoro occasionale degli autisti, sarebbe in contrasto con la nuova disciplina, la quale una volta legiferata renderebbe ancora più cogenti i motivi che hanno portato la Magistratura a interrompere il servizio.
Sarebbe però un danno se quella multinazionale o altre imprese innovative rinunciassero a investire sulla mobilità alternativa nel nostro Paese. Con le nuove regole potrebbero farlo scegliendo tra due soluzioni. Se scelgono di offrire un servizio di trasporto, possono utilizzare la normativa dei SeMoTra, ottenendo un’autorizzazione amministrativa e impegnandosi al rispetto dei diritti degli utenti e dei lavoratori. Se, invece, propongono una vera condivisione di mobilità, ricadono nella disciplina dei SeMoCo, i quali non prevedono alcun corrispettivo economico per il servizio di trasporto, ma solo per l’uso della piattaforma tecnologica che organizza la relazione tra gli utenti.
Non è accettabile che una ben definita prestazione di lavoro come quella del conducente venga camuffata come un “lavoretto” occasionale. Nessuno impedisce alle nuove imprese di produrre il servizio utilizzando una delle tante forme di lavoro flessibile, che certo non mancano oggi nella legislazione italiana, anzi sono perfino eccessive. Se l’invenzione di un nuovo servizio diventasse l’alibi per non rispettare le leggi sul lavoro e sul fisco, sarebbe un peggioramento della vita collettiva. Ogni sedicente impresa innovativa riscriverebbe a suo piacimento il diritto del lavoro.
Il dibattito attuale è dominato da due rendite di posizione che convergono nel frenare lo sviluppo della nuova mobilità urbana. C’è la rendita del monopolio degli attuali tassisti. C’è però anche la rendita dell’innovazione che viene strumentalizzata per cancellare i diritti del lavoro.
Se il servizio di trasporto viene erogato su base imprenditoriale e con un corrispettivo economico non può essere un “lavoratore non professionista” a produrlo. È singolare che anche l’Antitrust accetti il “principio di incompetenza” per un’attività di interesse pubblico con effetti rilevanti sulla sicurezza stradale, nell’ordine pubblico e sui diritti degli utenti. Di questo passo lo stesso “principio” potrà essere invocato per i servizi sanitari, per le opere di ingegneria e per le funzioni giuridiche; la competenza non sarà più necessaria neppure per le Autorità di garanzia della concorrenza.
Ma non è solo una questione di diritti, c’è un equivoco sugli obiettivi della riforma. L’ideologia dei “lavoretti” limita nell’ambito del bricolage un settore economico che invece può sviluppare un ampio mercato di nuovi consumi. Per modificare i grandi numeri del traffico occorrono imprese che curano la qualità del lavoro e aiutano milioni di cittadini ad abbandonare il mito della proprietà dell’automobile. È l’occasione imperdibile per migliorare la qualità della vita urbana creando tanti posti di lavoro dignitosi.
La nuova disciplina consente una piena valorizzazione dei servizi di condivisione della mobilità SeMoCo, poiché ne riconosce la peculiare logica di funzionamento, senza confonderli, come accade purtroppo nel dibattito pubblico, con i servizi di trasporto (SeMoTra). La condivisione, infatti, può essere agevolata da servizi imprenditoriali innovativi senza perdere il carattere volontario e informale della relazione tra le persone e con l’ambiente. Il car-sharing sarà tanto più fruibile se a proporlo saranno imprese efficienti e credibili. Lo sviluppo su grande scala del car-pooling amplierà il mercato per le imprese specializzate nell’offerta in rete di servizi di condivisione dei mezzi, su base volontaria e senza pagamento del trasporto. Le piattaforme tecnologiche forniranno il supporto logistico alle diverse travel communities che si costituiranno secondo i variegati interessi culturali, sportivi, professionali, lavorativi o di stili di vita.
La vera “economia della condivisione” crea profitto migliorando la qualità delle reti sociali. Il business consiste nel vendere servizi di comunicazione che contribuiscono a generare nuove esperienze di relazione tra le persone. Se è davvero sharing la relazione deve rimanere volontaria e solidale. Altrimenti sharing è solo un neologismo che serve a coprire una vecchia gerarchia chiamata più prosaicamente “sfruttamento del lavoro”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *