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Transizione energetica. Tra geopolitica e portafoglio

Gli interessi strategici ed economici degli Stati e di importanti settori economici ostacolano il percorso di transizione energetica in Europa. La retorica populistica si sposa a quella di interesse nazionale, e la crisi climatica assume prospettive sempre più cineree.

Nell’ultimo periodo abbiamo assistito al pesante aggravarsi della crisi climatica. Questa estate si sono raggiunte temperature estreme (i mesi di luglio, agosto e settembre sono stati i più caldi di sempre e presumibilmente lo sarà l’intero anno 2023), sono scoppiati incendi molto vasti e molto difficili da domare in tutti i continenti, sono cadute qua e là delle piogge devastanti con conseguenti alluvioni, mentre altrove si sono manifestati gravi episodi di siccità.

Ora si pensava che questi fatti avrebbero comunque potuto avere un risvolto positivo, quello cioè di spingere, con le loro drammatiche evidenze, i governi e le opinioni pubbliche dei vari paesi ad accelerare gli sforzi per ridurre le emissioni inquinati e a investire anche molto sul risparmio energetico. Ma dobbiamo ad oggi constatare che si sta invece verificando esattamente il contrario. In Europa in particolare stiamo assistendo così a una generale ritirata, con diversi pretesti, sul fronte delle iniziative politiche a favore del clima; e questo con l’evidente appoggio da parte di una consistente parte dell’opinione pubblica, mentre diversi partiti politici nel mondo sostengono persino che non esiste alcuna emergenza climatica. In questo momento solo la voce del Papa sembra levarsi per richiamarci alla drammaticità della situazione.

La Gran Bretagna

In Gran Bretagna l’attuale primo ministro, il conservatore Rishi Sunak, che si trova a dover affrontare le elezioni politiche nel 2024 con dei sondaggi molto favorevoli ai laburisti, cerca ora di migliorare le chanches di affermazione del suo partito attaccandosi in negativo ai temi ambientali, pensando così di catturare qualche consenso in più nell’elettorato.

Il 20 settembre il primo ministro ha annunciato che il suo Governo aveva cancellato il precedente impegno di permettere la produzione e la vendita di vetture solo elettriche dal 2030 in poi, spostando la data in avanti di cinque anni; e ha anche rinunciato, tra l’altro, alla precedente proibizione all’installazione di caldaie a gas a partire dalla stessa data. Le decarbonizzazione si deve fare a un ritmo ragionevole, ha dichiarato alla stampa. Sempre Sunak, secondo alcune indiscrezioni, potrebbe poi annunciare presto delle altre misure di tipo analogo. Comunque i sondaggi, anche dopo tali annunci, continuano a dargli molto largamente torto. Peraltro non ci aspettiamo molto di diverso dalla possibile vittoria laburista.

Gli allevamenti bovini

Mentre gli allevamenti, specialmente bovini, e la produzione animale accelerano la rottura climatica e causano danni devastanti alla natura e alla salute delle persone, i governi appaiono molto riluttanti, se non ostili, ad affrontare seriamente la questione. Ma chi prova a sollevarla si trova poi a mal partito.

Così in Spagna il ministro del Consumo, Alberto Garzón, aveva lanciato nel 2021 una campagna volta a indurre la popolazione a ridurre il consumo di carne, ricordando, tra l’altro, che la produzione di un solo chilo del prezioso alimento richiede ben 15.000 litri di acqua, elemento sempre più scarso in un periodo di siccità come questo (Comito, 2023); ma è stato subito sommerso di critiche e di accuse da parte di altri membri del Governo, compreso il Primo ministro, nonché ovviamente dalle associazioni degli allevatori. Intanto il ministro francese dell’agricoltura dimostrava tutta la sua ostilità a frenare il consumo della carne bovina nel suo paese e mosse analoghe ha portato avanti il governo italiano, con il pieno appoggio della Coldiretti.

In Olanda il Governo, operando controcorrente, ha varato nel settembre del 2021 un piano drastico, decidendo di ridurre di un terzo il numero dei capi di bestiame del paese. L’idea ha suscitato una vera rivolta nel paese; si è persino creato un partito in difesa della carne, che alle elezioni successive è arrivato al secondo posto. Il salvataggio del pianeta trova così un’aperta ostilità non solo da parte di quasi tutti i governi, ma anche da quella di ampi strati della stessa popolazione. Quos Deus vult perdere, dementat.

Anche l’Irlanda ha varato dei provvedimenti in qualche modo analoghi a quelli dell’Olanda e attendiamo con trepidazione gli sviluppi delle vicende nel paese.

L’Italia e la Francia

Certo in Europa è la destra che cavalca l’opposizione alle misure contro il cambiamento climatico, ma gli altri raggruppamenti politici sono spesso dei difensori molto tiepidi di tali misure.

Così in Italia, certamente un paese oggi all’avanguardia nella lotta contro le leggi a favore del clima, il Governo Meloni ha portato intanto avanti in tutti i modi possibili l’opposizione al limite dell’anno 2035 per la produzione e vendita in UE delle vetture con motore termico; e ha contrastato, dobbiamo dire con successo, anche le ventilate misure previste a suo tempo nel progetto di Euro7 (si veda meglio più avanti). Esso si è dichiarato contrario anche a un altro progetto dell’UE, quello che prevedrebbe la riduzione dei consumi energetici degli edifici; e ancora è contrario a bandire gli scaldabagni a gas, nonché al ridimensionamento dei consumi della carne e a quella degli allevamenti bovini. Anche in Germania la destra si è rivoltata contro l’introduzione del divieto delle caldaie a gas, con un largo appoggio dell’opinione pubblica, anche se la misura è stata poi approvata dal Parlamento, ma con qualche limitazione rispetto al progetto originale.

In Francia, paese che si è sempre mostrato come paladino dell’ambiente, il Governo aveva qualche tempo fa messo a punto e tradotto in legge un progetto per frenare l’artificializzazione dei suoli e la cementificazione dei terreni agricoli, mentre spingeva anche a favore di misure volte all’isolamento termico degli edifici. Ma di recente si va assistendo a una forte offensiva delle destre (Conesa ed altri, 2023), dei Repubblicani da una parte, che pure avevano approvato tali disposizioni, del partito della Le Pen dall’altra. Ma anche nei ranghi governativi si assiste a qualche oscillazione. Così il ministro dell’Economia, Bruno La Maire, ha dichiarato di essere contrario ad “un’ecologia punitiva”.

L’UE

Ma concentriamoci a questo punto sui programmi della UE. Come scrive Le Monde (Malingre, 2023), negli ultimi due anni le istituzioni europee avevano compiuto una vera maratona legislativa per mettere insieme quello che è stato chiamato “il patto verde”, piano organico che prevedeva delle misure che apparivano mirate a rispettare gli accordi di Parigi sul clima. Esse dovevano permettere, tra l’altro, di ridurre del 55% le emissioni di CO2 entro il 2035 rispetto a quelle del 1990 e di collocarsi sulla giusta strada per arrivare alla neutralità carbone nel 2050. Ma negli ultimi mesi gli appelli di alto livello per una pausa sulla messa in opera del patto verde, sullo sfondo delle elezioni europee, si sono moltiplicati, da Macron, al Primo ministro belga, al Partito popolare europeo e ai capi di governo di centro-destra.

Facciamo a questo punto un solo esempio sulla deriva europea già citata.

Le norme cosiddette Euro7, destinate a limitare le emissioni di inquinanti dei motori termici a partire dal 2027 ancora prima della loro proibizione definitiva nel 2035, che erano state messe a punto a suo tempo a Bruxelles, non saranno più rigide come era stato previsto nelle intenzioni iniziali, a causa dell’opposizione dei costruttori, in particolare francesi, ma anche di diversi Stati membri, compresa l’Italia, che hanno avuto la meglio sulla partita; la cosa ha portato ad un rilevante annacquamento del progetto. I limiti di emissioni inquinanti, che nello schema iniziale dovevano essere ristretti, saranno invece mantenuti come previsto nella vecchia direttiva Euro6.

Conclusioni

La posizione dell’Europa, o meglio della UE, non appare oggi molto confortevole su diversi piani. Su quello strettamente industriale e delle tecnologie essa si trova ad arrancare dietro ai due dominatori del gioco, Cina e Stati Uniti senza grandi speranze di un rattrapage, neanche alla lontana; sino a ieri essa poteva almeno sostenere di essere all’avanguardia a livello mondiale sul terreno delle normative anti-inquinamento, ma gli sviluppi recenti sopra ricordati ci portano a considerare che ormai anche su questo punto si arretra in misura rilevante.

Se ci si chiede il perché di tale frenata, dobbiamo intanto ricordare che le grandi società operanti nel settore delle energie fossili, dall’alto dei loro enormi profitti (5 miliardi di dollari alla settimana negli ultimi 30 anni, come ha calcolato qualcuno), sono in grado di corrompere potenzialmente qualsiasi politico. Ma bisogna inoltre considerare che gli stessi politici temono le conseguenze elettorali di tali misure (le elezioni europee sono alle porte), per di più in un contesto di alti livelli di inflazione, di aumento dei tassi di interesse, di guerra in Ucraina. L’incidenza economica delle azioni a favore del clima può essere pesante su molte categorie e in particolare sulle classi popolari e dovrebbero essere quindi governate in maniera adeguata. Per altro verso, come scrive The Economist (The Economist, 2023), l’entusiasmo per le iniziative a favore dell’ambiente svanisce in un lampo nel momento che ci si sente minacciati nel portafoglio dalle misure proposte.

Incidentalmente, nelle ultime settimane, il gruppo dirigente della UE, sempre pronto agli ordini che vengono dagli Stati Uniti, minaccia di prendersela con le auto elettriche cinesi, avendo aperto un’inchiesta sulle presunte pratiche di concorrenza sleale dei produttori di quel paese. Ma allo stato dei fatti è solo dalla Cina che possono venire le auto e le tecnologie elettriche a basso prezzo, tali da permettere alle classi medie e popolari di comprare una vettura elettrica a prezzi moderati. L’iniziativa della von der Leyen e soci plausibilmente non porterà alla fine da nessuna parte per vari motivi, ma forse l’obiettivo dell’azione è solo quello di cercare di avvelenare ulteriormente i rapporti dell’UE con il paese asiatico.

Testi citati nell’articolo

– Comito V., Come cambia l’industria, Futura ed., Roma, 2023.

– Conesa E. ed altri, «A droite, la tentation du populisme antiécologique» Le Monde, 4 ottobre 2023

– Malingre V., «Europe: la mécanique du Pact vert se grippe», Le Monde, 30 settembre 2023.

The Economist, «Germany, energie-wander», 23 settembre 2023.ù

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