Era facile prevedere che il ritorno di Trump alla Casa Bianca avrebbe portato a un boom nel mondo immateriale delle criptovalute, se non altro per arricchimento personale. Infatti, né Ponzi né Madoff né alcun altro dei grandi truffatori finanziari è mai riuscito a incassare quanto ha accumulato Trump e famiglia in soli tre mesi. Dopo il 5 novembre, mentre l’elettorato si abbandonava al pianto o al gaudio, il presidente rieletto badava al concreto. Dopo anni di fallimenti e grane giudiziarie era giunto il momento di reagire, protetto dall’immunità concessa graziosamente dalla Corte Suprema, che gli ha consentito di proclamare: “I have the absolute right to PARDON myself”. E di aggiungere: “E poi, perché dovrei perdonarmi se non ho fatto nulla di male?”. Si sentiva emulo di Luigi XIV: “L’Etat c’est moi”.

Tempo fa Trump aveva definito le criptovalute uno “scam”, una truffa; ma l’estate scorsa aveva cambiato idea, proclamando che sotto il suo mandato il Tesoro avrebbe creato una “riserva strategica”, in gran parte di Bitcoin, per un valore di 500 miliardi di dollari. Secondo un suo ragionamento (criptico quanto una criptovaluta), costituire una riserva strategica di monete virtuali, come si fa con l’oro, ridurrebbe di molto il debito nazionale, oggi salito alla paurosa cifra di 36.000 miliardi di dollari. Grazie a quel proclama estivo, il valore dei Bitcoin e di altre monete digitali in commercio (ce ne sono decine su cui puntare) è salito vertiginosamente, facendo guadagnare chi aveva investito su quelle giuste. Per avere un’idea dei profitti prendo l’esempio da un mio conoscente, che un anno fa ne aveva comprate per 50.000 dollari: oggi valgono 270.000 dollari e la tendenza resta in salita. Il suo busillis – psicologico più che finanziario – è trovare il “coraggio” di vendere tutto ora, incassando cinque volte la posta, oppure procrastinare ancora, ipnotizzato dal trend favorevole. Finché l’intrinseca volatilità di quel mercato non faccia ripiombare il suo investimento al di sotto del valore iniziale. Senza alcuna rete di sicurezza, purtroppo.

Ma il colpo grosso di Trump & Co. è stato ben altro. Alle 21:00 del 17 gennaio (non a caso un venerdì, tre giorni prima dell’insediamento) il neo-presidente ha annunciato l’introduzione di una propria criptomoneta, battezzata modestamente $Trump. Un numero incalcolabile di investitori piccoli e grandi – entusiasti anche se in genere inesperti – ne ha acquistato subito per milioni di dollari, arricchendo enormemente la World Liberty Financial, la società creata apposta dalla famiglia per gestire la compravendita di criptovalute. In due giorni il valore totale delle $Trump in circolazione superava i 50 miliardi di dollari. Poi, il 19 gennaio, è apparso su X un annuncio di Melania Trump: ho appena lanciato una mia valuta digitale, di fatto in concorrenza con la $Trump, il cui valore è calato subito del 60%. Era una mossa di sgonfiamento, che ha lasciato almeno centomila investitori a secco (di denaro e forse anche di entusiasmo per il loro amato presidente). Poco importa. Oggi la famiglia Trump detiene un pacchetto di criptovalute di oltre 23 miliardi di dollari. Lo gestirà con discrezione David Sacks, un finanziere di ventura nominato ufficialmente commissario federale al settore: in pratica il croupier alla roulette – forse truccata – della moneta virtuale.

C’era però un ultimo ostacolo da superare per dare via libera alla deregulation. Si chiamava Gary Gensler. Già apprezzato da Obama, che l’aveva incaricato di rimediare agli azzardi dei futures, nel 2021 Biden l’aveva premiato alla dirigenza apicale della SEC (Securities and Exchange Commission), l’agenzia di protezione degli investitori. Dove aveva già avviato un centinaio di azioni normative nei confronti delle criptovalute, proprio per evitare che il settore diventasse un casinò senza regole. Il finale era prevedibile: il 20 gennaio Gary Gensler se ne è andato, giusto in tempo per evitare di essere cacciato da Trump, intenzionato a disfare le regole faticosamente introdotte da Obama e Biden.

Possibile che questo macroscopico conflitto d’interessi non abbia sollevato l’attenzione internazionale? Non ci si rende conto che questo casinò può generare un’altra crisi come nel 2008? Sembra di no, essendo stato oscurato da altre iniziative teatrali e aggressive lanciate dalla Casa Bianca. E l’opposizione? Senza più leader di rilievo, i democratici sono rimasti paralizzati dalla vittoria del tycoon, e in particolare del suo agitatore, Elon Musk, che come Kaa, il pitone delle rocce, ipnotizza con le sue spire e il suo sguardo il Bandar-log, il popolo delle scimmie, nel Libro della Giungla.

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