Articolo pubblicato su “Ravenna Notizie” il 18.06.2024.

Pochi giorni prima delle elezioni europee abbiamo incontrato, a Ravenna, Maria Luisa Boccia per il suo libro Tempi di Guerra. Riflessioni di una femminista (Manifesto Libri 2023). L’incontro era promosso dalla Casa delle Donne di Ravenna e dalla Associazione Femminile Maschile Plurale. L’alluvione dello scorso anno ci obbligò a rinviare l’incontro. Abbiamo ora ripreso in mano il libro per incontrare Maria Luisa, nello spazio bellissimo e luminoso del Fem Garden di Via dei Fossi.

Nel frattempo, a due passi da noi, non solo in Ucraina, sono caduti soprattutto militari – quasi un milione, fra russi e ucraini – ma anche molti civili, in numero spaventoso. Ora, dal 7 ottobre scorso, anche in Palestina, sono caduti non solo militari, ma soprattutto civili, in un massacro senza fine e senza senso, che non ha riguardo per nessuno, bambini compresi, che muoiono non solo sotto le macerie, ma anche di fame, o perché le incubatrici non funzionano, o perché le medicine della Croce Rossa vengono bloccate dalle forze militari di Netanyahu. Si sta uccidendo un popolo, a partire dai piccoli, per bruciarlo in erba.

Non condivido l’attenzione ossessiva all’uso del termine genocidio. In Palestina è o no in atto un genocidio? Il negarlo è forse, per qualcuno, mettere il cuore in pace? Perché questa ossessione non è scattata a suo tempo nello svolgersi del macello all’ultimo sangue fra Tutsi e Hutu? Sono cose africane che ci riguardavano molto meno? Ma Israele è cosa nostra, una avanguardia occidentale in terra orientale. Terra democratica. Come potrebbe, e proprio Israele, questa terra democratica, compiere genocidio? Quasi tutti coloro che la abitano discendono da persone scampate al peggiore genocidio della storia recente. È vero, e mi ripeto.

Il popolo palestinese è ingombrante, ma non per ragioni genetiche. Perché vive in un territorio che si vuole sgomberare. Se, all’improvviso, i palestinesi facessero fagotto con le loro poverissime cose, e svanissero altrove, sicuramente non sarebbero inseguiti e eliminati. Gli israeliani – in buon numero – dietro di loro farebbero festa. Molti palestinesi non sono più nella loro terra. Anche loro, nei decenni passati, hanno sentito il sale della diaspora. Ma molti restano, si riproducono, nonostante l’inferno in cui vivono. Come fa il mondo a reggere lo sguardo, di fronte a tutto questo?

Nonostante il cruento spettacolo che ci sovrasta – si corre il pericolo di allentare il pensiero critico, di fronte a ciò che ci sconvolge –, la nostra comune riflessione e dialogo ha avuto, al Fem Garden, il sapore delle cose inusuali, perché tali sono state le parole scambiate, parole che raramente arrivano all’attenzione dei media. E che quasi mai hanno avuto corso nelle storia. Quasi. Un quasi che vale la pena ricordare, come vedremo.

Siamo partite dagli interrogativi e spunti di Barbara Domenichini. Che ha ricordato quanto sia lontana l’Italia dall’art. 11 della nostra Costituzione. E che l’Europa, nel 2012, ha ricevuto il Nobel per la Pace, mentre Macron, ora, ipotizza di inviare non solo armi, ma uomini armati francesi in Ucraina. Che cosa è successo? Come si è arrivati fin qui? Ho pensato. Le elezioni europee per Macron sono state un disastro. C’è un nesso con la sua avventuriera posizione? E un premio Nobel, a chi demerita, può essere ritirato? L’Europa non lo merita più. Per la pace non ha fatto tutto quello che poteva e doveva.

Maria Luisa Boccia ha condotto una riflessione densamente filosofica – Maria Luisa è una filosofa – e del tutto chiara. Ucraina e Medio Oriente hanno precedenti. La guerra è tornata da tempo in Europa, seppure non all’interno della UE. E con motivazioni inedite, allorquando la NATO, per ribadire i sui “giusti” valori, si mosse contro la Serbia. Una guerra etica e umanitaria, una non guerra. Un ossimoro. La guerra sopprime umani, per vincere. Umanitaria la soppressione di umani? La guerra nasce con la storia umana. La novità è il giustificarla definendola, in positivo, umanitaria. Ho pensato che, in effetti, c’è un certo imbarazzo, di questi tempi, a pronunciare la parola guerra. Putin, quel “galantuomo” – erede di Lenin o di uno Zar di tutte le Russie? – dice che con il 23 febbraio del 2022 ha avviato una operazione militare speciale, come se avesse mandato l’esercito a guarire un territorio ferito da un terremoto, da uno tsunami.

Israele non è in guerra, dice di difendersi da azioni terroristiche. Hamas non si dice in guerra, dice di farsi giustizia. Invece, diciamolo chiaro, la guerra è tornata e anche noi siamo in guerra. Siamo in una parte di mondo che è in guerra contro un’altra parte di mondo. È tornata la normalità della logica amico/nemico. Noi abbiamo nemici. I nemici si combattono con le armi – compresa l’atomica? – e vinca il più forte. Esiste un solo ordine possibile. O questo ordine, o disordine. Maria Luisa vede nella guerra del Kosovo una macroscopica mutazione. Che ha reso evidente quello che un tempo avremmo definito un paradosso. La sinistra si è rinchiusa nel recinto dell’Occidente e in questo recinto continua a stare.

Rifletto. Ci fu un tempo, ormai lontano, in cui la sinistra europea si sentiva e si definiva pacifista e internazionalista. Lo fu “per sempre”? La prima guerra mondiale – la vera madre di tutte le guerre contemporanee – vide la sinistra socialista europea andare a pezzi. I socialisti francesi si armarono contro i tedeschi, i socialisti tedeschi si armarono contro i francesi. I socialisti italiani, con i russi, dissero di no. Sicuramente è accaduto che socialisti si siano uccisi fra di loro. Se avessi detto questo a mia madre – mi sono trattenuta, in più di una occasione – sarebbe svenuta dall’orrore e dal dolore. Socialisti che uccidono socialisti? Impossibile. Quindi, internazionalismo e pacifismo non hanno retto, in Europa, alla prova della storia. Come spiegare allora la guerra, se le categorie politiche consuete non consentono nette distinzioni?

Credo che la spiegazione della guerra – l’unica alla mia portata, altrimenti andrei a tentoni in un buio pesto e senza speranza – vada cercata nella cultura e nel pensiero che ne hanno cercato e, a mio avviso, trovato, la radice, una radice che è viva già all’origine del tempo storico. La storia umana ha visto vincente, nei primordi, il patriarca che tutto vuole controllare e possedere. Già Freud aveva intravisto questa radice attivarsi all’origine della umana avventura, e, in Totem e Tabù, spiega come i maschi giovani, a un certo punto, stanchi dei maschi adulti che tutto volevano per sé, in particolare le femmine, fecero guerra ai padri, e li uccisero. Altro da fare non videro, fecero la stessa cosa che i padri facevano e aprirono alla guerra la strada che fin qui continua a essere battuta. Ed è un dato universale che attraversa tutte le epoche e le culture. Fare guerra è normale.

Dopo la seconda guerra mondiale ci fu, in Occidente e in Europa, un momento che sembrò – a chi la guerra l’aveva patita non volendola – più di una tregua. Si sperò e si scrisse, in alcune Costituzioni come la nostra, che la guerra andava ripudiata. Si diede vita all’ONU, che ha il compito – avrebbe avuto il compito – di prevenire le guerre. Quindi, si pensò – alcune personalità, alcune forze politiche – che la guerra era il modo peggiore di condurre la vita dell’umanità e di risolvere i conflitti.

Ora torna lo scandalo – è l’unico termine a mia disposizione – della normalità della guerra che diventa, addirittura, umanitaria, o obbediente alla logica amico nemico. Occhio per occhio, dente per dente. Anzi, ben di più. Avete ucciso un paio di migliaia di persone della mia gente? Allora, vi abbattiamo tutti. Che dire? Maria Luisa Boccia dice con chiarezza che questa è la disfatta della politica. L’ONU, che doveva essere una, per quanto tardiva, obbedienza a Immanuel Kant, per avvicinarci alla pace perpetua, è una scatola vuota e, quando riesce a spiccicare parola, è inascoltata. Quindi, l’unico sollievo per noi possibile è uscire in modo radicale dalla gabbia bellicista del patriarcato.

Maria Luisa ricorda Carla Lonzi, che ha indicato la strada per uscire dalla gabbia dentro il quale le donne sono recluse. Esiste un soggetto imprevisto nella storia. È appena comparso. Sono le donne che escono dalla gabbia. Sono il soggetto che, se diviene cosciente di sé, e non oggetto appendice del maschio che ti definisce e ti affida ruoli, e solo quelli, ma che liberamente si autodefinisce, rifiuta, in primis, la logica bellicosa del patriarca. “Il soggetto imprevisto non vuole prendere il posto del patriarca, non vuole mettersi al suo posto, piuttosto «rappresenta l’abbandono della cultura della presa del potere»”. Il femminismo non sa che farsene del potere, dice Carla Lonzi. Per Hannah Arendt gli imprevisti sono i fatti che a volte speriamo che accadano per cambiare il corso di ciò che ci opprime. Non sappiamo quando e come accadono. Ma è certo che accadono. Le donne femministe sono veramente state un imprevisto. Sia chiaro. Sono un imprevisto della storia le donne che condividono il pensiero di Carla Lonzi e che vivono di conseguenza. Non tutte le donne. Neppure se partoriscono.

Non sempre è facile distinguere fra il fare politica, lo sporcarsi le mani con le indispensabili mediazioni per risolvere conflitti, per raggiungere un positivo possibile, e un trovarsi in contiguità o dentro il potere, e poi lì ambientarsi, quasi con piacere. Il potere è una sirena affascinante. Non è necessariamente violento o costrittivo, ma spesso lo è. Ma non è facile comprendere che il potere non è sinonimo di politica, che la politica è riconoscere e non demonizzare l’alterità dell’“altro da sé”. Per procedere nella storia e nella vita – procedere come spostamento e non ripetizione – è necessario domandare, rispondere, e ancora domandare. Il contrario della guerra. È il mettersi in relazione, parlando. Non è necessario amare l’altro, ma chiedersi quali siano le sue ragioni. Questo è necessario, ed è la strada indicata da Hannah Arendt, che non era femminista, ma che il pensiero femminista ha inserito in un proprio Olimpo filosofico. Parlare da soli, senza dare e chiedere ascolto? È l’anteprima di ogni guerra. Se si coltiva la relazione solo con chi è identico a sé, si perde l’uso della parola, e del pensiero. La parola tace e si passa alle armi.

Il rifiuto radicale della guerra non è comparso solo con il femminismo. La parola di Gesù, per come ci è stata tramandata, allude a una pace radicale. La guerra che Gesù fa – non porto la pace, porto la guerra – è ai costumi violenti, al possesso, all’ipocrisia. Lo fa con l’esempio e la parola, senza armi. Molti suoi seguaci, o sedicenti tali, nel corso del tempo hanno fatto il contrario. Francesco – non è un caso che, al suo comparire, si sia pensato che Gesù era tornato – prese il Vangelo alla lettera e nel 1219, nel pieno della V Crociata, andò a far visita al Sultano, per convincerlo che non esiste il nemico ma solo il fratello da amare. Le fonti francescane, in merito a questa visita, non sono del tutto chiare sul come e il perché di questo viaggio avventuroso e temerario. Questa indeterminatezza mi autorizza ad una ipotesi.

Francesco andò per vedere “il nemico” da vicino e per parlargli, spinto anche da pacifica curiosità. Chi sei? Cosa pensi? Ora ti dico cosa penso io. E tu? Questi dovrebbero essere i preliminari di ogni operazione di pace. Altro che si vis pacem para bellum. Non stupiamoci allora se Papa Francesco – coerente con il nome che porta – sta cercando il dialogo sia con Zelensky che con Putin. Dopo Francesco – di Assisi – passano più di due secoli e compare una altro cristiano, un filosofo, Erasmo da Rotterdam, che nel 1517 scrive Il Lamento della pace. Protagonista del libro è la Pace, che parla in prima persona. Nello stesso anno ha inizio la rivoluzione luterana. Un anno cruciale, quindi. La rivoluzione luterana, il primato della coscienza che porta alla disobbedienza al papato romano, così poco cristiano, ha successo in molte parti d’Europa. La Pace di Erasmo finalmente parla, si fa protagonista, ma non ha successo. È una rivoluzione nel pensiero, nella mente di un uomo d’eccezione, ma è incompiuta nel mondo. Cosa dice la Pace? Non parla di nemici da amare – utopia – ma afferma con chiarezza assoluta che la guerra non ha senso, è irrazionale, è inutile, non serve a nessuno. Un non senso, un assurdo con cui l’umanità si balocca fin dall’inizio. Si balocca, gioca. Ma Erasmo dice anche che la guerra piace solo a chi non l’ha vissuta. Questo, purtroppo, la storia lo smentisce, dall’Iliade ai giorni nostri. Ma anche questo è un assurdo e un irrazionale non senso, attorno al quale ruota la storia del mondo.

Un altro umano di sesso maschile fu pacifista assoluto. Giacomo Matteotti, ben prima di Benedetto XV, disse che la guerra, come tutte le guerre, è una inutile strage. E non sceglieva una parte contro l’altra, l’Italia contro l’Austria. I popoli vinti si prepareranno subito per la rivincita. Matteotti vide in anteprima la piega che avrebbe preso la Germania, poco meno di dieci anni dopo la sua morte. La logica della guerra è questa. Chi perde cerca la rivincita e chi vince, vuole stravincere. Ha senso tutto questo? Nessun senso. L’amore di patria? Altiero Spinelli vide come facilmente la patria diventa la Nazione che primeggia, costi quel che costi, sulle altre Nazioni. Il nazionalismo è la causa prima delle guerre moderne. Continuare per questa strada non ha alcun senso.

Il primo passo verso un unico pacifico Governo mondiale è la Federazione degli Stati europei. Ma i più importanti pacifisti contemporanei, da Tolstoj a Gandhi, da Martin Luther King al nostro Aldo Capitini, non si avvicinano alla analisi femminista, che ha inizio con Virginia Woolf, che già alla fine degli anni Venti vide lo stretto nesso fra patriarcato, bellicismo e il fascismo di Mussolini. Maria Luisa Boccia ci ha ricordato quello che è forse l’ultimo saggio scritto da Virginia, nell’agosto del 1940, mentre bombardamenti tedeschi colpivano Londra. Un passo del saggio, tradotto da Nadia Fusini, dice: “Cerchiamo di portare alla coscienza l’inconscio hitlerismo che tutti ci opprime. È il desiderio di aggressione; il desiderio di dominare e schiavizzare. Perfino nel buio delle tenebre lo si può vedere chiaramente. Vediamo vetrine di negozi che brillano, e donne che guardano, donne truccate, donne vestite di tutto punto ‒ donne con le labbra rosse, le unghie rosse. Sono schiave che cercano di fare schiavi. Se potessimo liberarci dalla schiavitù, libereremmo anche gli uomini dalla tirannia. Gli Hitler sono generati dagli schiavi. Altro che dialettica servo padrone, o amico nemico. Anche le donne possono essere schiave che diventano padrone. Restano nella gabbia del patriarcato. Uscirne è possibile. Anche i maschi possono uscirne diventando, come le donne, soggetto autocosciente, che vuole liberarsi del patriarcato. Soggetti imprevisti stanno arrivando. Credo. Spero.

Uscire dalla logica noi/loro, dall’automatismo degli schieramenti, dal delittuoso e monotono ping – pong. Al tuo colpo rispondo con un altro colpo, possibilmente più devastante del tuo. Pensieri di pace ci sono stati, nella storia. Ma il pensiero più convincente, è, a mio avviso, quello femminista, perché trova una radice prima e perché si colloca fuori dal non senso. Siamo – noi femministe della scuola di Virginia Woolf – senza schieramenti automatici, dalla parte di chi, in tutti fronti, anche quelli contrapposti, rifiuta di stare in guerra. I pacifisti russi che scelgono l’obiezione di coscienza, i pacifisti ucraini che abbandonano il paese per non combattere o anche non pacifisti che abbandonano il paese perché non vogliono morire. Le Donne in Nero, israeliane e palestinesi, che procedono insieme. Importante è la loro presenza negli spazi pubblici. I nostri corpi parlano un linguaggio diverso da quello dei corpi armati.

Durante il dialogo con Maria Luisa Boccia, Ionne Guerrini, delle Donne in Nero di Ravenna, ricorda che il loro lavoro si colloca fuori da schieramenti e ricerca invece piani diversi. È la politica dei corpi disarmati nello spazio pubblico. È la politica della Casa delle Donne di Ravenna che, dall’inizio dell’anno, ad ogni femminicidio fa immediatamente seguire un presidio in Piazza del Popolo, con letture e, nel momento del commiato, una lettura di fondamentale importanza. In ordine cronologico, il nome di ogni donna uccisa da un uomo perché voleva essere libera e fuori dalla gabbia del patriarca. Perché ogni donna, con il suo nome, ci racconta la sua storia. Non è un numero, è una vita. Quella, singolare, unica.

In alcuni momenti, di fronte a chi guerreggia, ho un moto reattivo istintivo, irriflesso. Ma come vi permettete? Come potete giocare con le vite altrui? Vergognatevi, fermatevi! È un moto di inutile disprezzo, che non colpisce nessuno. Invece, il più delle volte, ripenso a un libro del 2011 di Franco Cassano, dal titolo e dai contenuti inusuali L’Umiltà del male. In quell’anno, il 2011, molti eventi avevano già fortemente indebolito la presunta superiorità di un Occidente che si sentiva maestro del mondo. Ma tanto ancora doveva accadere, prima di arrivare al nostro presente. Il male è fra noi, è in noi. È in basso, dove noi siamo. Non aveva sicuramente letto, Cassano, il passo di Virginia Woolf citato, perché da poco tempo ne siamo a conoscenza. Il male è in basso, è fra di noi. Ci sono donne – non solo uomini – innamorate di Vannacci. Un generale di mestiere bellicoso. Cerchiamo di capire il perché. Capire, perché sono inutili i miei anatemi. Capire. Cercare di sentire l’odore che emana chi la guerra la vuole o la ammira. Inutile arricciare il naso.

“Noi donne non abbiamo una patria”. Così afferma Virginia Woolf in Le tre ghinee, un libro contro la guerra che stava arrivando – ne annusava l’aria –, uscito nel 1938. Che dire del nostro presidente del Consiglio, tutto vestito di rosa, che a suo tempo ha partorito? Il presidente chiama la patria Nazione, e cosa non farebbe per lei, per la Nazione. Un patriarcato, ma vestito di rosa. Un imprevisto. Ma anche gli uomini in scarpe rosse, che mettono il loro corpo nello spazio pubblico, dicendo che non sono come gli uomini che fanno violenza alle donne; e gli uomini della Associazione Maschile Plurale sono un imprevisto. Non vogliono essere come gli uomini che uccidono le donne, e stanno lavorando con il pensiero, in relazione fra di loro, perché vogliono capire e imparare dal femminismo che anche la loro vita sarebbe migliore, senza violenza, senza guerra. Guerra, il male assoluto.

Quale Europa è uscita dalle urne del 9 giugno? Vedo un avviluppo di ossimori. Forze di destra che non vogliono dare armi all’Ucraina, perché la guerra deve finire, dicono, hanno avuto un notevole incremento di voti. Le Pen e AfD pacifisti? La storia ci dimostra che la destra non è mai stata pacifista. Quindi? Ipotesi. Non vogliamo spendere soldi e tempo per mettere ordine in casa degli altri. Ognuno faccia ordine in casa sua. Certo, la nostra legge e il nostro ordine sono i migliori. La ricetta. Punteggiare il mondo di tante gabbie patriarcali.

Macron, che vuole inviare anche soldati francesi in Ucraina, ha avuto voti ai minimi termini e chiama a duello Le Pen che, tutta contenta, si prepara allo scontro. Il male è veramente umile, da humus, terra, in basso. Un tempo era in alto, si pensava. Ora, dilaga. Non credo che la guerra sia un fenomeno eterno e che si debba così teorizzare una metafisica della guerra, come invece dice James Hillman nel suo libro Un terribile amore per la guerra, lettura che mi gettò in un profondo sconforto. Pratiche ed esempi concreti che “smontano” le ragioni della guerra esistono. Altri esempi possono dilagare, in alto, in basso e possono farsi umili, in competizione con il male e la guerra.

Il futuro – sarà un futuro lontano? – vedrà se e come la Pace, protagonista, vivrà in alto, in basso, ovunque.

Un commento a “Un futuro senza guerra”

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