Il Presidente Zelensky per non celebrare il 9 maggio la vittoria sul nazifascismo in contemporanea con Mosca ha deciso di celebrare al suo posto la Festa dell’Europa alla presenza della Presidente della Commissione von der Leyen, annunciando l’intenzione di proporre al Parlamento un cambio di data per quella ricorrenza, anticipandola all’8 maggio.

Nel frattempo la celebrazione per quest’anno è stata di fatto sospesa.

La Presidente von der Leyen forse avrebbe potuto spiegare che i due eventi non erano affatto incompatibili, anzi la coincidenza della data della firma dell’atto definitivo di resa della Germania nazista avvenuto a Berlino il 9 maggio 1945 e la dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, avrebbe reso ancor più forte il legame storico e simbolico tra i due eventi.

Che la storia, soprattutto dal 1989 in poi, sia diventata uno strumento da utilizzare nella lotta politica è ben documentato nel libro dello storico Guido Crainz “Ombre d’Europa-nazionalismi, memorie, usi politici della storia”.

Anche in questo caso l’annuncio dell’anticipazione eventuale di un giorno della ricorrenza è servita a provocare la reazione russa che puntualmente ne è seguita.

Tuttavia se molto si può manomettere per i propri fini – e il Presidente Putin non è stato da meno nello scegliere i riferimenti storici e simbolici più utili alla sua narrazione, spaziando dal Principe Vladimir, fondatore della Rus’, allo zarismo, al pensiero del controrivoluzionario Il’in espulso da Lenin nel 1922 fino a ricollegarsi allo stalinismo – vi sono alcune verità incontrovertibili e tra queste quella che ai tempi a cui ci riferiamo l’Ucraina era parte dell’Unione sovietica e, quindi, della stessa storia.

Si possono quindi cambiare le date ma non gli eventi per come si sono svolti.

Quando nel giugno 1941 le truppe tedesche aggredirono l’URSS quest’ultima pagò la sua impreparazione anche a causa della fallace illusione che il patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop, siglato solo due anni prima, l’avrebbe tenuta al riparo almeno per più tempo.

L’Ucraina si ritrovò nella guerra come uno dei territori più esposti e pagò un prezzo enorme con circa quattro milioni di morti e un milione e seicentomila ebrei trucidati.

Nello sterminio di Babijar – consumato tra il 29 e 30 settembre del 1941 (in quei soli due giorni vennero gettati nello strapiombo nei pressi di Kiev 35.000 ebrei) e che continuò fino al 1944 – furono trucidati circa 90.000 persone tra civili ucraini, soldati dell’Armata Rossa (non va dimenticato che era composta per il 23% da ucraini), zingari, calciatori della Dinamo Kiev che avevano osato vincere la partita contro i calciatori dell’armata tedesca. Per converso, le testimonianze descrivono un particolare accanimento dei collaborazionisti ucraini che superarono in ferocia perfino i nazisti.

Testimonianza di tutto ciò è nel bellissimo e tragico libro di Anatolij Kuznecov, dissidente russo, ucraino di nascita, che riparò a Londra nel 1968 e che, suo malgrado, fu testimone di quegli eventi e li trascrisse in un diario. Il libro inizia con il nonno del protagonista che all’arrivo dei tedeschi esclama: “Dio sia lodato! È finito questo regime di pezzenti”.

Il giovane Kuznecov fu talmente scosso da quegli eventi e, soprattutto, dall’odore e dal fumo che bruciò per settimane per il rogo di quei corpi che i tedeschi in ritirata volevano far sparire, che andò a cercare il grande poeta Evtušenko, il quale si recò sul posto e, in seguito, scrisse la bellissima poesia “Non c’è un monumento a Bebij Jar”. In seguito, invece, il monumento ci fu e, durante il primo attacco russo a Kiev, nel febbraio 2022, venne colpito proprio dall’aviazione russa.

Tutto ciò ha del paradossale e dimostra l’insensatezza della guerra, di questa guerra.

La politica, al posto di costruire con l’ausilio della cultura e dell’istruzione memorie condivise, trova troppo spesso più utile ai propri fini lucrare sulla storia mettendo sempre più a rischio la convivenza, in questo caso in Europa.

Mi auguro che l’assillo dell’Ucraina di differenziarsi dalla Russia non comporti un indebolimento nella condanna del nazismo o la messa in causa del contributo decisivo che l’insieme delle Repubbliche che all’epoca formavano l’Unione sovietica dettero alla liberazione dell’intera Europa.

A questo proposito abbiamo assistito, nell’occasione del ricordo della fine della Seconda guerra mondiale, al voto di una risoluzione del Parlamento europeo nel 2019 che equiparava nazismo e comunismo in nome di una condanna generale dei totalitarismi, con il risultato di indebolire il giudizio sul nazismo e sui suoi crimini che devono rimanere ed essere tramandati come eventi imparagonabili e assoluti.

Giudizio del tutto fuori posto, poi, in riferimento alle cause e agli esiti della Seconda guerra mondiale.

La destra e i partiti nazionalisti fanno spesso ricorso a un uso politico della storia che sostituisce l’esercizio ben più impegnativo di fare i conti con la storia e ciò rischia di mettere in seria causa la tenuta e, soprattutto, lo stesso destino dell’Unione europea.

Nella prospettiva delle elezioni europee del prossimo anno questi temi devono far parte del dibattito pubblico e fermare questa guerra deve poter divenire la priorità politica dell’Europa, almeno nei programmi delle forze di sinistra e progressiste.

Tutto ciò è reso ancora più urgente dalle derive belliciste che hanno portato il Parlamento europeo, proprio nel giorno dell’Europa e del ricordo della fine della Seconda guerra mondiale, a dare il via libera alla procedura d’urgenza per votare nella prossima sessione plenaria un provvedimento che consenta l’uso dei fondi europei di coesione e del PNRR per l’industria degli armamenti al fine di rendere illimitata la fornitura bellica all’Ucraina.

Ciò vuol dire che verrà nominato un comitato con l’obiettivo di mettere a punto un provvedimento impossibile da modificare e che godrà di una procedura accelerata.

Tutto ciò è stato votato con la schiacciante maggioranza di 518 voti favorevoli, 59 contrari e 31 astenuti.

Contrari soltanto i Parlamentari della sinistra GUE, il Movimento 5 Stelle, e qualche posizione personale come quella di Smeriglio e di Bartolo (quest’ultimo non ha partecipato al voto).

La procedura d’urgenza fu assunta soltanto durante la pandemia, questo fa capire come la guerra, anche se non si ha il coraggio di chiamarla tale, sta stravolgendo sia le politiche europee (armi al posto dell’ambiente e delle politiche sociali) che le procedure, nel senso di un pericoloso restringimento degli spazi democratici a cominciare dal ruolo del Parlamento.

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Un commento a “Una brutta storia”

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