Interventi

Comunicato stampa diramato da tutte le associazioni facenti parte della rete di organizzazione dell’evento del 5 novembre.

“Una campagna elettorale in cui è mancato il dibattito sulle priorità del Paese e sui problemi reali da affrontare. Dove non c’è stato confronto con le realtà sociali e con i cittadini e le cittadine. Senza ascolto e discussione sulle proposte in grado di migliorare la condizione materiale ed esistenziale della maggioranza della popolazione che continua a impoverirsi e a vivere una condizione di costante insicurezza sociale, minacciata da crisi climatica, rincari, precarietà e guerra”.

A denunciarlo più di 600 associazioni, reti sociali, comitati, cooperative e sindacati impegnate nella costruzione del percorso verso la mobilitazione del 5 novembre Non per noi ma per tutte e tutti.

Mentre Eurostat parla di un italiano su quattro in povertà e l’Istituto Di Vittorio denuncia come siano ancora in crescita i numeri delle disuguaglianze, dell’esclusione sociale, del lavoro povero e della povertà educativa, alla politica mancano proposte concrete, con impegni e cronoprogrammi chiari ed efficaci, su come sconfiggere le disuguaglianze e le mafie, affrontare, adattarsi e mitigare gli effetti della crisi climatica e mettere fine alle guerre che minacciano il futuro di tutti e tutte. C’è bisogno di garantire diritti, aumentare gli spazi della partecipazione e la qualità della democrazia ma la politica sembra andare in direzione opposta.

“I programmi di questa campagna elettorale sono lontani dalle vite reali delle persone”, afferma Silvia Paoluzzi dell’esecutivo nazionale Unione Inquilini. E aggiunge: “non esiste una programmazione di politiche abitative che possa dare risposte agli inquilini schiacciati da un susseguirsi di crisi sulle quali non si è riusciti a intervenire neppure con le risorse del PNRR. Ancora una volta vediamo sfilare una classe dirigente che non risponde alle 150 mila famiglie con sentenza di sfratto e alle 500 mila in attesa di un alloggio popolare che oggi rischiano la povertà assoluta.”

“Manca totalmente l’attenzione per le politiche sociali”, sostiene Nicola Teresi, Vicepresidente di Emmaus Italia. “Non si parla di equità, giustizia sociale, né di povertà. C’è bisogno di una riforma del welfare che rimetta al centro i diritti e coinvolga il Terzo settore rafforzando pratiche rigenerative e welfare di comunità sui territori; di nuovi strumenti di contrasto alla povertà educativa che oggi pone migliaia di persone ai margini della società.” Continua Antonino Martino, Presidente dell’Associazione Spazio solidale: “C’è bisogno di una misura di sostegno al reddito che sia uno strumento per garantire il diritto alla vita e allo sviluppo della persona e non un’elemosina per punire e controllare chi vive in povertà. Sicuramente il Reddito di Cittadinanza va migliorato e per farlo basterebbe applicare quanto previsto nei Social Pillar Europei e le indicazioni della Commissione parlamentare appositamente istituita. Durante la campagna elettorale si è parlato invece di diritto al reddito solo per esprimere la volontà di eliminarlo o stravolgerlo negativamente. In un paese con 5,6 milioni di persone in povertà assoluta è inaccettabile”.

Come afferma Michele De Palma, segretario generale della Fiom-Cgil nazionale “la drammatica situazione di crisi economica e di guerra che, anche nei luoghi di lavoro, sta determinando un violento attacco ai diritti, al salario e alla dignità delle persone ci offre la consapevolezza che nella lotta contro le disuguaglianze e le povertà è necessario coalizzare le forze sociali in un percorso comune. Chiediamo al Governo passi in avanti sui temi delle politiche industriali, della riconversione ecologica, del salario, della lotta alla precarietà, della sicurezza del lavoro, e della democrazia”.

“Le diseguaglianze aumentate negli ultimi anni hanno molte cause, la principale è senz’altro quella legata all’abbattimento di diritti e tutele nel lavoro”, sostiene Michele Azzola, segretario generale CGIL Roma e Lazio. E aggiunge: “Venti anni di riforme che hanno prodotto precarietà, part time involontario, appalti al massimo ribasso hanno creato la condizioni per cui lavorare non è più sufficiente a garantire una vita libera e dignitosa. La prima leva su cui agire è questa, rintroducendo, in linea con l’Europa, il contratto a tempo indeterminato come condizione normale e agendo sul sistema delle imprese e su quello fiscale per aumentare sensibilmente gli stipendi di chi lavora”.

Restituire diritti e potere a chi lavora è condizione prioritaria per ridurre le disuguaglianze”, continua Andrea Morniroli, co-coordinatore, Forum Disuguaglianze e Diversità. “Per questo occorre un salario dignitoso per tutti e tutte per consentire a migliaia di lavoratori e lavoratrici di considerare il lavoro un diritto e non un dono. Si deve tornare a investire sul welfare, sulle politiche per eliminare le povertà, sull’educazione e sulla scuola come presupposti dello sviluppo giusto”.

“Da sempre il femminismo rappresenta una lotta radicale per scardinare dal contesto sociale e culturale le disuguaglianze e le ingiustizie che rendono possibile la subordinazione delle donne e la violenza contro di loro” afferma Maura Cossutta, Presidente della Casa Internazionale delle Donne. E aggiunge: “c’è ancora un gran bisogno di lottare contro il maschilismo, il sessismo, il razzismo, il classismo, l’omofobia, la guerra e affermare i principi dell’autodeterminazione e della libertà femminile ma nei programmi elettorali tutto questo non trova riscontro. Non abbiamo bisogno di esponenti della politica che tentano di autoeleggersi portavoce del femminismo del nuovo millennio, ma di una politica trasformativa dei parametri su cui si basa la nostra società (patriarcale e colonialista) e la classe politica dirigente che la riproduce”.

“La politica invece di affrontare le priorità del Paese ripropone la “secessione dei ricchi” mascherata da Autonomia Differenziata. Un attacco frontale alla Costituzione e all’unità della Repubblica. La creazione di 21 staterelli non farà altro che aumentare ulteriormente le disuguaglianze già esistenti (soprattutto tra Nord e Sud) e ridurre i diritti, rendendoli privilegi per pochi”, sostiene Marina Boscaino, Portavoce dei Comitati contro l’AD. E aggiunge il prof. Gaetano Azzariti, presidente dell’Ass. Salviamo la Costituzione: “Se alla cosiddetta Autonomia Differenziata si sommasse il progetto di introdurre il Presidenzialismo in Italia, come proposto da diverse forze politiche in campagna elettorale, si decreterebbe la morte della Costituzione del ‘48 figlia della Resistenza e la nascita di un nuovo regime costituzionale. Questo regionalismo ha già fallito con la pandemia e il nostro Parlamento vive già un problema di grave marginalizzazione e di perdita di rappresentatività dei suoi membri.”

“Il dibattito politico è stato ridotto a uno show televisivo e a una reclame pubblicitaria sui social in cui gli esponenti dei principali poli si insultano l’un l’altra salvo poi governare insieme, creando l’emergenza da amministrare nell’emergenza, senza una visione di futuro del Paese e del Pianeta”, sostiene Paola Guazzo del comitato scientifico della rete Trasform! Italia. “I prossimi mesi – prosegue Federico Dolce – portavoce nazionale DiEM25 in Italia – ci porteranno il conto di una situazione estremamente critica in Europa. La guerra in Ucraina e le sanzioni ci mettono di fronte a scelte epocali che, se compiute senza lungimiranza, porteranno povertà e crisi sociale come mai prima in tutto il continente”.

Come ci ricorda Alice Basiglini di Baobab Experience “in Italia ci sarebbe molto da fare per rimediare ai disastri compiuti negli anni rispetto alle politiche migratorie e l’accoglienza ma in campagna elettorale o non si parla di migrazione o se ne parla solo in termini securitari e di decoro pubblico. È Urgente mettere fine a l’esternalizzazione delle frontiere e ai respingimenti su procura che hanno fatto del Mediterraneo un cimitero a cielo aperto, a partire dal Memorandum Italia-Libia; modificare l’art. 12 del Testo Unico sull’Immigrazione, escludendo le persone solidali dall’applicabilità del reato di favoreggiamento di immigrazione clandestina; rivedere i termini per la formalizzazione della domanda di protezione e l’assegnazione del centro, privilegiando l’accoglienza diffusa; investire in servizi e politiche di autodeterminazione individuale in modo da prevenire l’emarginazione sociale”.

Salvatore Cacciola, Presidente Rete Fattorie Sociali Sicilia e dell’Associazione nazionale BioAS, denuncia come durante la campagna elettorale non vi sia stato nessun segnale di attenzione verso l’agricoltura sociale. “Non abbiamo imparato nulla dalla pandemia. Si è persa l’occasione di riconvertire una parte della nostra economia. Gli investimenti pubblici del PNRR sono più focalizzati sulla costruzione di nuove cattedrali nel deserto che sulla creazione di lavoro dignitosi per gli operatori e le operatrici sanitari e sociali”. Continua Francesca Danese, Portavoce del Forum Terzo Settore Lazio affermando che “per realizzare una reale integrazione sociosanitaria è necessario che la Missione 5 e 6 del PNRR siano collegate. La politica continua a pensare l’ambito sanitario e quello sociale come due mondi separati ma commette un errore. C’è bisogno di politiche in grado di ridisegnare i servizi e le pratiche di cura a 360°, senza scaricarne il peso sulle donne”.

La lotta alle mafie è scomparsa dal dibattito, così come quella per la giustizia sociale. “Dobbiamo investire sulle politiche sociali e sulla riforma del welfare se vogliamo sconfiggere disuguaglianze, welfare mafioso e povertà educativa”, denuncia Giuseppe De Marzo, responsabile per le politiche sociali di Libera e coordinatore nazionale della Rete dei Numeri Pari. “Il silenzio della politica cresce insieme alla zona grigia e alla borghesia mafiosa”.

Ma il rischio più grande denunciato da centinaia di realtà sociali è quello di sprecare la grande opportunità dei fondi del NGEU, messi a disposizione dall’UE per promuovere equità sociale e sostenibilità ambientale e cambiare finalmente il modello di sviluppo, ormai insostenibile e responsabile delle crisi. Questi gli obiettivi per rispondere alle centinaia di migliaia di morti nel Paese a causa del Covid ed ai rischi del collasso climatico. Il PNRR del Governo Draghi sta invece utilizzando fondi pubblici, che dovremo in larga parte restituire, non per la riconversione ecologica ma per obiettivi opposti. I soldi vengono spesi per il gas, il carbone e le armi invece che per la riconversione del modello produttivo, per il lavoro, la salute pubblica e la messa in sicurezza del territorio. L’unico effetto del PNRR rischia di essere quello di far crescere gli osceni profitti delle multinazionali, esponendo il Paese a ulteriori rischi climatici, sanitari e sociali, lasciandolo con maggiori disuguaglianze e debiti. Sul PNRR è completamente mancata la coprogrammazione e la coprogettazione imposta dall’art.3 del codice del partenariato europeo, ribadita dalla sentenza 131 del 2020 della CC.

Denunciano tutte le realtà impegnate a costruire la mobilitazione contro disuguaglianze e povertà del prossimo 5 novembre: “Com’è possibile che pur conoscendo gli effetti del collasso climatico e l’impatto dell’aumento delle disuguaglianze la classe dirigente politica non abbia investito in tutti questi anni sulle rinnovabili, sulla riconversione industriale e sulle politiche sociali? E perché i soldi del PNRR non sono stati utilizzati per questo e i media non denunciano questo scandalo? Cambiare modello produttivo è l’unica strada per costruire posti di lavoro e difendere la salute pubblica. Questa classe dirigente politica non ha nessuna visione che migliori il nostro presente, in grado allo stesso tempo di farci vedere con fiducia al futuro”.

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