Interventi

Siamo ad un nuovo passaggio importante della storia repubblicana. Difficile immaginare come si modificherà il sistema politico e delle alleanze da qui alle prossime elezioni.

Il governo Draghi, al di là persino della volontà soggettiva dell’ex governatore della Banca d’Italia, ha fatto detonare il sistema partitico italiano. Scomposizione a destra, scissione e riposizionamento dei pentastellati, cambio al vertice nel Pd, scissione in Leu. E stiamo solo alle prime battute. Un governo che determinerà un riequilibrio complessivo delle forze politiche, sociali e imprenditoriali del Paese e del sistema delle alleanze. Nato nel fuoco dell’emergenza ha però assunto sin da subito il profilo normalizzatore di legislatura. In fondo l’idea dei “descamisado” giallorossi al comando non era mai andata giù alle élite nazionali, ai media, ai commentatori che tutte le sere ci spiegano il mondo nei talk pettinati tutti alla medesima maniera. Soprattutto in previsione della spesa delle risorse del Recovery.

Un governo a due velocità, con quella che conta saldamente nelle mani della tecnostruttura. Un governo con propensione più atlantica che europea.

Le motivazioni d’urgenza che ne hanno motivato la nascita sono evidenti. Cionondimeno è sempre bene ricordare a noi stessi la dimensione enorme dell’anomalia che si è prodotta. In nessuna parte del mondo, in nessun Paese europeo, la destra nazionalista, razzista, patriarcale, omofoba governa con le forze progressiste europeiste. Una anomalia propria del sistema politico italiano che ha prima sterilizzato l’alternativa e ora messo in un angolo persino l’alternanza. Era il 2011 quando il Presidente Napolitano di fatto impedì le elezioni e la possibile nascita di un governo con una sinistra forte al suo interno. Sel in quel momento era quotata intorno al 10% in tutti i sondaggi.

Anche questa volta l’unità nazionale, la retorica da salvezza del Paese, la cosiddetta impossibilità delle elezioni a causa della pandemia – mentre si vota in mezza Europa – hanno determinato un ulteriore strappo nel già fragile sistema politico italiano.

La sinistra è in difficoltà in tutta Europa, ma il livello di crisi profonda che attraversa il nostro campo non ha eguali. Ci sono Paesi in cui esistono e hanno consenso elettorale tutte e tre le forme possibili della sinistra di alternativa: quella socialdemocratica, quella più radicale e quella ecologista. Possono esserci Paesi in cui esiste una sola forma delle tre possibili. Esiste solo un Paese in cui non esiste nessuna delle tre forme indicate o se esistono non hanno il consenso che serve per incidere e cambiare le cose, dal governo o dall’opposizione poco importa. Quel Paese è l’Italia.

Il Pd è un ibrido che non ha mai sciolto fino in fondo la sua collocazione valoriale. Un pendolo in continuo movimento da un segretario all’altro. Il Pd da dieci anni governa senza avere i numeri, e per farlo si è alleato con tutti. Da Monti ad Alfano, da Grillo a Salvini. E se per dieci anni governi sviluppando la narrazione del partito della nazione, del partito Stato, inevitabilmente cresce un gruppo dirigente che non sa percepirsi fuori dalla responsabilità di governo. L’emergenza nazionale, la necessità, il presidio degli snodi di potere hanno mangiato le virtù, i valori e buona parte di una base militante ridotta all’osso. Sostituita prevalentemente da filiere, comitati elettorali e correnti in cui, generalmente, non vige né libertà né autonomia. Nonostante la presenza di tantissimi bravi compagni il Pd appare un luogo sequestrato, impermeabile al cambiamento. Questo certificano le parole di Zingaretti. Ora tocca a Letta, speriamo riesca a smontare e rifare il campo democratico, speriamo riesca là dove ha fallito chi lo ha preceduto. Soprattutto Letta sta dimostrando di avere il piglio giusto e la voglia di provarci per davvero, ribadendo la centralità della coalizione progressista.

In questo senso l’aver ancorato il Movimento 5 Stelle al campo progressista è un fatto politico di assoluto rilievo. Portano un vento di rinnovamento su innovazione digitale, transizione ecologica, democrazia partecipata, beni comuni. Al netto dei rigurgiti giustizialisti, ci sono molti terreni di battaglia politica comune e approcci culturali condivisibili.

Da ultimo appare evidente la necessità di dare vita ad un nuovo soggetto politico di sinistra, ecologista, femminista, antinazionalista capace di ricomporre la diaspora degli ultimi anni. Senza mosse del cavallo, leader salvifici, piuttosto reimparando lo stare insieme, la forza del collettivo e la potenza dei pensieri lunghi.

Un’organizzazione capace di produrre cultura politica e modalità organizzative rinnovate. Narrazione, linguaggi, empatia, forte sistema valoriale, generi, generazioni, democrazia integrale.

Un asse fondato su autonomia e unità del campo. Unità contro l’ideologia di destra che permea il senso comune di larghi strati delle classi popolari. Autonomia dell’elaborazione teorica e nella ricerca del consenso popolare. Scegliendo la politica come prassi della trasformazione sociale, non il governo per il governo e neanche la testimonianza moralistica di una alterità invisibile ad occhio nudo.

Un soggetto politico, insomma, con una identità chiara, inserito stabilmente nella nuova coalizione eco-progressista. Servirebbe questo scatto, da qui alle amministrative, servirebbe mettere da parte il destino dei singoli per una ambizione più grande, quella di un nuovo progetto a cui compartecipare con generosità.

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Un commento a “Unità e autonomia, il passaggio stretto della Sinistra”

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