Internazionale, Politica, Temi, Interventi

Articolo pubblicato per la rubrica “Divano” su “il manifesto” del 24.11.2023.

Continua, e sembra inarrestabile, una condizione di guerra guerreggiata che infiamma una dorsale che dal corso del Dnjepr, da Kiev a Odessa, giunge al Mar Nero, allarma la sua sponda caucasica sul versante georgiano, colpisce l’Armenia, allerta Iraq, Iran, Siria, Libano e Giordania (che circondano Israele) per esplodere, lungo le rive del Giordano e fino al Mar Rosso, con moltiplicate violenze, nei martoriati territori che sono il teatro delle antiche narrazioni bibliche, lievito spirituale di ebrei, cristiani e musulmani.

Guerre che i mezzi della informazione globale e permanente riprendono nel loro svolgimento giornaliero e ne trasmettono la cronaca in diretta a quanti che non ne sono direttamente coinvolti, creando qui, noi seduti in poltrona, uno sconvolgente rapporto tra partecipazione emotiva, testimonianza oculare e un altrove lontano che può risultare non dissimile dalle infinite immagini di morte e violenza che occupano le fiction. Tanto da esser percepite e convogliate, quelle immagini, in una ‘zona ambigua’ in cui realtà e finzione in noi si mescolano. La zona nella quale ci troviamo a vivere dove, in un crescendo epocale e pervasivo, vengono mutando le consuete relazioni di spazio e di tempo, il vicino e il lontano come il prima e il dopo, e dunque le cognizioni del reversibile e dell’irrevocabile, così come i connotati del vero e del falso.

A questa stregua, mi pare si possano facilmente constatare atteggiamenti assai diversi, quali son tenuti di fronte alle guerre in atto, a seconda delle generazioni. Al proposito, considero la mia generazione a confronto di chi ha oggi tra i quindici e i trent’anni. Non so come percepiscano costoro e come (e se) reagiscano alle quotidiane notizie e immagini di uccisioni e di devastazioni che, ad ogni ora del giorno, ricevono.

Chi scrive questa nota è un vecchio.

Quando sono nato, nel novembre del 1945, la guerra in Italia era finita. Nell’aprile di quell’anno cruciale, il giorno 29, francesi e alleati si congiungevano in Piemonte. Il 2 maggio cessarono le ostilità. Il 2 settembre, formalmente, ebbe fine la Seconda guerra mondiale con la capitolazione giapponese firmata nella baia di Tokyo, a bordo della corazzata della Marina degli Stati Uniti d’America Missouri.

Eppure, se debbo parlare della mia generazione, non posso prescindere dalla guerra. Perché la guerra guerreggiata distrugge e la distruzione permane ben al di là degli atti formali che sospendono le ostilità. E la distruzione avvenuta resta, è perfino il segno interno alla ricostruzione, alle opere cosiddette di pace. E, con un medesimo sigillo, negli animi la guerra lascia così il suo solco.

È negli animi che la guerra deposita la scoria combusta più stabile e compatta, una cortina di dolori, lutti, annientamenti: produce scarti e scompensi immedicabili nella tenuta di ciascuno che dalla guerra sia stato attraversato.

Squilibri riposti e fragilità molteplici tali da compromettere, talvolta, fin nelle emozioni e nei comportamenti, equilibri e coerenze. Se è, ed è, negli animi che si produce l’incisione più tagliente e l’abrasione più lancinante, allora si dovrà constatare una permanenza della guerra in Europa e consolidata tanto da segnare l’orizzonte della sua cultura, nella produzione fantastica o immaginaria. La mia generazione ha ascoltato fanciulla episodi e fatti di guerra vissuti. Negli accenti delle voci maschili e femminili dei familiari e con i loro occhi ha visto luoghi e volti di quegli anni terribili. Intendo dire che le menti e le passioni, in mezzo alle quali la mia generazione venne al mondo, erano scosse dalla guerra appena sospesa. Siamo, ciascuno, il risultato di dipendenze e retaggi alimentati da gli adulti che ci crescono. Essi ci consegnano se stessi più che non sappiano e noi ne riceviamo il portato più che non sappiamo.

Questo posso accennare riguardo alla repulsa della guerra che mi è stata insegnata e che oggi muove ogni mio giudizio sulle guerre che crescono dattorno. Mi sarebbe di conforto conversare su questi temi con chi ha tra i quindici e i trenta anni, mentre ogni giorno le armi uccidono e distruggono.

Un commento a “Vecchi e giovani di fronte alla guerra”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *