Democrazia, Politica, Temi, Interventi

Intervento tenuto all’iniziativa “La Via Maestra. Per un’Italia capace di futuro, per un’Europa giusta e solidale”, svoltasi a Napoli il 25 maggio 2024. Una versione più breve del testo è stata pubblicata su “il manifesto” del 28.05.2024.

Vorrei anzitutto tranquillizzare chi ci guarda la lontano, tutti coloro che ci accusano di essere prevenuti nei confronti di questa particolare maggioranza per ragioni puramente ideologiche, e ci rimproverano di essere inutilmente “allarmisti”. Vorrei rassicurarli: noi ragioniamo solo sui fatti, che sono già tutti evidenti. Nessuno credo pensa che siamo alla viglia di un colpo di Stato, piuttosto stiamo “semplicemente” assistendo a una lenta erosione della nostra democrazia costituzionale.

Questo non mi sembra possa essere negato. Non solo per quel che tra un attimo ricorderò, ma anche perché è orgogliosamente rivendicato dall’attuale maggioranza. In fondo, è stato enunciato nel modo più autorevole il proposito di farla finita con la nostra troppo lenta democrazia parlamentare – “democrazia interloquente” è stata con sprezzo definita – per giungere a una contrapposta e auspicata “democrazia decidente”. L’identità al posto della rappresentanza plurale, la decisione fondata sul nulla invece della faticosa ricerca del compromesso parlamentare. Bisogna prendere sul serio questa rivendicazione esplicita di mutare volto al tipo di democrazia, cambiare quella democrazia che è stato posta a fondamento della nostra Repubblica.

D’altronde che non sia una vuota promessa è dimostrato dai fatti. Ricordiamone alcuni.

Abbiamo assistito a ingiustificate e brutali aggressioni da parte delle forze dell’ordine a pacifici manifestanti, minorenni inclusi, che esprimevano una civile protesta e opinioni del tutto legittime, senza arrecare alcun pericolo per la sicurezza e incolumità pubblica. In contrasto, dunque, con la libertà di riunirsi pacificamente e senz’armi secondo quanto pretende l’articolo 17 della nostra Costituzione.

Abbiamo visto censure mosse nei confronti di intellettuali per ostacolare la diffusione delle loro libere opinioni; sono state promosse denunce da parte di esponenti del Governo per critiche e giudizi mossi al loro operato; assistiamo alla sistematica occupazione di tutti gli spazi di informazione e comunicazione pubblica; abbiamo visto la presidente del Consiglio, altri ministri e alte cariche della Repubblica, intervenire per contrastare la stampa – a volte intere testate giornalistiche – non per contestare fatti, ma per delegittimare il pluralismo, le opinioni o le inchieste svolte. Tutte azioni in contrasto con lo spirito oltre che la lettera dell’articolo 21 della nostra Costituzione che assicura la libera manifestazione del pensiero e il pluralismo dell’informazione.

Abbiamo visto utilizzare l’arma della precettazione con una disinvoltura mai prima immaginata, dimentichi del diritto soggettivo “perfetto” di sciopero di cui all’art. 40 della nostra Costituzione

Anche le incapacità di affrontare questioni politiche di assai complessa natura mostrano una distanza abissale dalle logiche e dai valori della nostra Costituzione. Così, l’incapacità nel governare il fenomeno strutturale delle migrazioni sta facendo venir meno ogni politica di accoglienza e ogni garanzia dei diritti inviolabili che devono essere assicurati a tutte le persone, stranieri compresi. La situazione dei centri di permanenza e rimpatrio è drammatica e disumana: dovrebbero essere chiusi. Mentre la politica si preoccupa solo di nasconderla alla vista e di trasferire altrove (magari in Albania), rimanendo impotenti di fronte ad un fenomeno, le migrazioni, che non si sa come risolvere se non aumentando inutilmente le pene e individuando nuovi improbabili reati.

Ciò che non abbiamo visto è, invece, la volontà di difendere e riaffermare la natura antifascista della nostra Costituzione di fronte a manifestazioni di esaltazione del passato regime; è stata in realtà chiaramene espressa un’insofferenza davanti a richieste di presa di distanza dal fascismo.

Ora, l’aggressione ai fondamenti della nostra democrazia costituzionale sta assumendo la veste formale delle riforme legislative e costituzionali. Un attacco al cuore della Costituzione attraverso stravolgimenti istituzionali dagli esiti che risulterebbero definitivi.

L’introduzione del c.d. “premierato elettivo”, finirebbe per stravolgere gli equilibri costituzionali, producendo un’inevitabile torsione autoritativa al sistema democratico; la disgregante autonomia differenziata, acuirà le già rilevanti disparità nella garanzia dei diritti tra i territori; la progettata separazione delle carriere, genererà una compromissione dell’indipendenza della magistratura, con il rischio di un potenziale assoggettamento del pubblico ministero al controllo della politica.

Abbiamo fatto tante volte l’analisi critica di ognuna delle disposizioni che si vogliono introdurre, dal punto di vista tecnico, politico e costituzionale. Sono riforme, specie quella del premierato, tanto pericolose per la democrazia quanto pasticciate. A conferma dello scarso interesse per lo Stato di diritto costituzionale e i suoi equilibri dell’attuale maggioranza. Non ho ora e qui il tempo per ricordarlo. Mi limito allora a rilevare due cose.

La prima è che la nostra costituzione viene ormai concepita come una torta da fare a fette: a ciascun partner di governo viene data una sua parte per sfamare il proprio elettorato. Altro che la costituzione di tutti: quel “patto consociativo” che unisce un popolo nella sua diversità. È vero che abbiamo già visto in passato riforme della costituzione approvate solo da maggioranze risicate (e mai errore più grave fu fatto anche dalle forze progressiste), ma almeno ci ha pensato il popolo della Costituzione – nel 2006 e nel 2016 – a rimettere le cose a loro posto. Ora siamo giunti alla costituzione riformata per volontà di un singolo partito, speriamo nella saggezza del popolo della Costituzione, che sappia ancora farsi valere, quando giungerà il momento.

Una seconda cosa vorrei dire, nella speranza che si possa evitare il peggio. Da questa piazza vorrei fare un appello alle nostre istituzioni, ai nostri parlamentari, a chi ci governa.

Permettetemi di rivolgere una domanda diretta – come si usa di questi tempi fare – ai nostri parlamentari di tutti i partiti, ma soprattutto a quelli di maggioranza, che si apprestano a discutere e decidere sulla riforma del premierato. Caro parlamentare, vorrei chiederti se preferisci assoggettarti a una servitù volontaria, a un capo da cui dipenderà la tua vita e la tua autonomia politica – un capo eletto senza contrappesi con una maggioranza al traino, che dispone del potere di scioglimento del Parlamento, cui affidare assieme al nostro anche il tuo futuro – oppure se vuoi provare a tornare a essere un rappresentante della nazione che esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato come prescrive la nostra Costituzione?

Nel secondo caso, dammi retta caro parlamentare, lascia perdere il premierato e prova a riscattarti, sii coraggioso. In fondo basterebbe poco. Sarebbe sufficiente mettere le mani sui regolamenti parlamentari perché tu possa riprendere la parola: riappropriati della discussione, limita la decretazione d’urgenza, riprenditi il potere legislativo che ti è stato indebitamente sottratto, ma che la Costituzione ti assegna. In fondo dipende solo da te. Non ci sarà nessun Dio (nessun Capo) a salvare il parlamento, ma solo tu potrai salvarti e con te la democrazia parlamentare. Noi ti sosterremmo per quanto potremmo in quest’opera di grande innovazione contro la regressione annunciata.

Da ultimo, vorrei rivolgermi anche ai c.d. “governatori” per chiedere: ma veramente, caro presidente di regione, aspiri ad appropriarti di tanto potere – di tutto il potere possibile – a scapito dei diritti dei tuoi concittadini, di quelli che vivono in altre parti del territorio della nostra Repubblica (magari – perché no – tuoi corregionali?), innescando una lotta di tutti contro tutti, tra le diverse regioni e tra i territori della Repubblica? Ma veramente pensi che tra i tuoi compiti, tra i tuoi problemi, rientri anche quello relativo – chessò – alla produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia? Caro governatore, ma non pensi che dovresti smentire l’immagine di “uomo di potere”, anche tu piccolo “capo assoluto”, assetato di potere, così come troppo spesso vieni dipinto, e molte vicende, anche recenti, della peggiore cronaca sembrano voler mostrare? Non sarebbe meglio se ti preoccupassi di ben amministrare una società complessa nel rispetto dei principi costituzionali definiti dall’art. 5, che promuove sì le autonomie ma per assicurare una più solida unità e indivisibilità della Repubblica; dall’art. 118, che attribuisce sì le più ampie funzioni amministrative, ma affinché queste siano esercitate non per via esclusiva, bensì per assicurare la solidarietà territoriale, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza; dall’art. 119, che permette sì l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa, ma non prima di aver rimosso gli squilibri economici e sociali che attraversano il paese, promuovendo la coesione e la solidarietà sociale. Perché, caro presidente, non provi a dimostrare che l’autonomia regionale, può essere declinata in una chiave solidarista, per il concorrere al benessere nazionale in concerto con le altre regioni e tutti i cittadini della Repubblica? È questo il modello di regionalismo della nostra costituzione, ancora tutto da attuare. Noi siamo dalla parte della Costituzione e per la sua attuazione. E tu?

Noi siamo per cambiare lo stato delle cose e interrompere finalmente il lungo regresso, dando attuazione a una rivoluzione, quella promessa che non è mai stata realizzata. La Costituzione come moto del cambiamento.

Come ha scritto Liliana Segre: le Costituzioni devono essere rispettate e “occorrerebbe impegnarsi per attuare la Costituzione esistente”, non stravolgerla. Questa è la nostra via maestra. La vostra qual è?

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