Interventi

Questo articolo è la parte iniziale di un saggio pubblicato su transform!italia.

Domenica 3 aprile si tengono elezioni politiche generali in Ungheria e Viktor Orbán cerca di ottenere il quarto mandato consecutivo (il quinto in totale, dopo essere stato al governo anche dal 1998 al 2002), dopo 12 anni di ininterrotto potere.

Orbán ha costruito legami particolarmente stretti con Putin negli ultimi dieci anni (come anche con la Cina), fino ad esserne considerato il maggiore alleato nell’Unione Europea. Il 1° febbraio era stato a Mosca per incontrare Putin e l’invasione russa dell’Ucraina – che per giorni la TV di Stato ha continuato a definire un’operazione militare russa e non una guerra – avrebbe potuto rivelarsi molto imbarazzante per lui, ma già da prima dell’aggressione russa e in vista delle elezioni ha assunto una posizione cauta e pragmatica sulla crisi ucraina. Una posizione che apparentemente è stata ben accolta dagli elettori del partito al governo Fidesz, in alcuni sondaggi dato in ascesa al 50%. L’azienda di sondaggi Median sostiene che tra gli elettori di Fidesz, il 37% crede che l’invasione russa dell’Ucraina sia ingiustificata, mentre il 43% che sia giustificata. Su tutto l’elettorato, le rispettive percentuali sono del 55% e del 28%.

Orbán ha condannato l’invasione russa, evitando critiche personali a Putin, ha cercato di opporsi alle sanzioni contro la Russia, sostenendo che avrebbero potuto causare l’arresto delle importazioni di energia. L’Ungheria ottiene il 95% del gas metano che utilizza dalla Russia e per questo si oppone al divieto di importazione di gas e petrolio russo (in questo insieme a Germania, Bulgaria, Italia e altri Stati membri dell’UE). Poco prima dell’invasione dell’Ucraina, Orbán ha definito il 2021 l’anno di maggior successo nelle relazioni tra Budapest e Mosca, grazie alle importazioni ungheresi del vaccino russo Sputnik contro il CoVid-19 e ad un nuovo accordo di fornitura a lungo termine di gas firmato il 15 ottobre4. Ma, ora la guerra della Russia contro l’Ucraina minaccia comunque uno delle più grandi promesse di Orbán agli elettori: gas e riscaldamento a buon mercato.

Orbán ha impostato la campagna elettorale come una scelta tra la pace e la stabilità che solo il suo partito Fidesz sarebbe in grado di offrire, con l’obiettivo di evitare che il prezzo della guerra sia pagato dagli ungheresi (e anche dalla numerosa minoranza ungherese – composta da alcune centinaia di migliaia di persone – presente nella regione della Transcarpazia in Ucraina occidentale), e un’opposizione da lui definita di sinistra (in realtà formata da un’alleanza di sei partiti assai eterogenei), che secondo lui trascinerebbe l’Ungheria nel conflitto. “Non permetteremo alla sinistra di trascinare l’Ungheria in questa guerra. Non permetteremo alla sinistra di fare dell’Ungheria un obiettivo militare, di prendere di mira gli ungheresi in patria e in Transcarpazia“, ha affermato Orbán in un suo discorso sul palco davanti al Parlamento ai partecipanti alla Processione per la Pace.

In vista delle elezioni politiche, i partiti dell’opposizione al governo-regime di Orbán hanno siglato un patto per presentarsi insieme. Il fronte Uniti per l’Ungheria viene ora dato al 32% da un sondaggio di Median, condotto a fine marzo dal sito web Hvg.hu, mentre Fidesz al 40%, con circa il 20% degli elettori ancora indecisi5. Il fronte comprende il nazionalista Jobbik, i liberali, i verdi, la Coalizione Democratica di centro-sinistra, i socialdemocratici. Ha già consentito di strappare a Fidesz l’amministrazione di Budapest, ora guidata da Gergely Karácsony, leader del partito verde Dialogo per l’Ungheria, e di altre grandi città ungheresi nel 2019. La presenza di un partito come Jobbik ha suscitato non poche perplessità dati i suoi trascorsi di formazione politica apertamente neofascista e antisemita. È vero che il partito negli ultimi anni Jobbik è stato scavalcato a destra da Fidesz (con le sue campagne antisemite, nazional-populiste autoritarie, e xenofobe contro i rifugiati non europei), per cui ha cercato di ricollocarsi su posizione di centro-destra maggiormente mainstream, perdendo le frange più estreme, ma resta una formazione politica quanto meno ambigua. La sua presenza è però considerata indispensabile per poter contare di accumulare i voti necessari a battere il partito di Orbán, che mantiene un forte consenso (ma non la maggioranza assoluta) soprattutto grazie al voto delle zone rurali. In un testo dal titolo “Garanzie per un cambio di epoca”, i sei partiti hanno elencato 13 punti che sperano consentiranno loro di sconfiggere Fidesz e di garantire “che nessuno in Ungheria possa minare il sistema democratico e lo stato di diritto” con “l’adesione a poteri illimitati”. Sebbene siano discordanti sulla tassazione, sono d’accordo su quattro principi fondamentali: democrazia, stato di diritto, economia di mercato e integrazione europea.

Le sei formazioni politiche hanno deciso di presentare un elenco unico di candidati in ciascuna delle 106 circoscrizioni del Paese, nonché un unico candidato per il posto di primo ministro, il centrista cattolico (padre di 7 figli) Peter Márki-Zay, fondatore del movimento civico L’Ungheria di Tutti e sindaco di Hódmezővásárhely, piccola città dell’Ungheria meridionale (che fino alla sua elezione nel 2018 risultava essere una roccaforte del Fidesz), che è stato scelto attraverso il meccanismo delle primarie (fra i due turni hanno votato oltre 850 mila persone). I precedenti tentativi di spodestare Orbán sono stati guidati principalmente da un’élite liberal/progressista delle grandi città, ma ora l’alleanza ideologicamente diversificata spera di sfruttare la crescente insoddisfazione per il primo ministro nel suo cuore rurale conservatore.

Márki-Zay ha promesso una gestione politica basata sulla solidarietà sociale al posto dell’incitamento all’odio tipico del governo Orbán, e una vita politica fondata sull’onestà e sulla trasparenza (“ripristinare lo stato di diritto“). Gli altri punti del suo programma riguardano la modifica della legge elettorale che, così com’è concepita attualmente favorisce Fidesz, una nuova costituzione, un sistema fiscale progressivo di tassazione e di riduzione dell’IVA sui prodotti alimentari di base, l’eliminazione della legge “omofoba” anti-LGBT e l’introduzione del matrimonio tra persone dello stesso sesso, l’adesione alla nuova Procura europea e l’entrata dell’Ungheria nell’eurozona appena possibile.

Nei suoi comizi Orbán ha detto: “Dobbiamo difendere i nostri interessi… Dobbiamo stare fuori da questa guerra“. Nessun ungherese può mettersi “tra l’incudine ucraina e il martello russo“. “L‘Ungheria è al confine dei mondi, qui non capiamo le guerre e non si combattono nel nostro interesse, e chi vince, lo perdiamo. L’Europa centrale è solo una scacchiera per le grandi potenze mondiali e l’Ungheria è solo una pedina su di essa. Se i loro obiettivi lo richiedono, ci sacrificheranno“, ha aggiunto.

Ha respinto le due richieste che il presidente ucraino, Volodmyr Zelensky, ha avanzato a lui personalmente e all’Ungheria in un pressante appello (“devi decidere con chi stai“): l’estensione delle sanzioni al settore energetico, di fatto bloccando il blocco di acquisto di gas e petrolio russi da parte dell’Unione Europea dato che serve l’unanimità per l’approvazione, e la consegna di armi a Kiev (ma non ha bloccato i finanziamenti dell’UE per l’acquisto delle armi per l’Ucraina), a differenza degli altri Stati della NATO confinanti con l’Ucraina (Polonia, Romania e Slovacchia), creando una crisi interna nel Gruppo di Visegrad6, già da tempo diviso al suo interno sul piano politico-ideologico (con la Repubblica Ceca e la Slovacchia che guardano alle altre democrazie liberali europee, mentre Ungheria e Polonia vanno nella direzione opposta). “La sicurezza del popolo ungherese è molto importante per noi, quindi non si può parlare di dispiegare truppe o equipaggiamento militare in Ucraina, ovviamente forniremo aiuti umanitari“, aveva detto Orbán il 24 febbraio. I manifesti elettorali affissi sui cartelloni pubblicitari intorno a Budapest sono quasi esclusivamente quelli di Fidesz e la maggior parte promettono di “proteggere la pace e la sicurezza dell’Ungheria“, anche se alcuni sono stati dipinti a spruzzo con la lettera Z, per ricordare agli elettori gli stretti legami di Orbán con Russia.

Le posizioni del leader dell’opposizione, il centrista Peter Márki-Zay, sono distorte dagli annunci politici di Fidesz, che affermano ripetutamente che “vuole inviare truppe ungheresi in Ucraina“, mentre Márki-Zay accusa Orbán di essere troppo intimo con Putin, di essere “lo scagnozzo di Putin in Occidente”, di servire gli interessi del Cremlino e di cercare di costruire in Ungheria uno stato “illiberale” simile a quello della Russia. “Orbán e Putin o l’Occidente e l’Europa: questa è la posta in gioco. Una scelta tra il lato oscuro o il lato buono della storia“, ha scritto sui social media Márki-Zay.

Se l’opposizione democratica utilizza slogan come “L’Ungheria non diventerà una colonia russa” e “Putin o l’Europa?“, l’estrema destra Nostra Patria cerca di conquistare elettori a Fidesz facendo una campagna contro le sanzioni alla Russia e qualsiasi dispiegamento di truppe NATO in Ungheria. In questo quadro, la posizione cauta e pragmatica di Orbán potrebbe avere successo, anche perché la guerra ha distolto l’attenzione degli elettori dall’aumento dell’inflazione e dallo sciopero degli insegnanti che chiedono salari più alti. D’altra parte, Orbán e Fidesz possono contare su un grande vantaggio finanziario sull’opposizione, sul controllo della maggior parte dei giornali cartacei e online (con un ampio budget propagandistico online) e delle TV (soprattutto di quella pubblica, M1)7 e sulla capacità di fare appello ai suoi elettori come i veri difensori della nazione, con una narrativa “pace e sicurezza“.

Per dare energia alla sua campagna elettorale Orbán ha cercato anche di invitare Donald J. Trump in marzo, da sempre uno dei suoi grandi ammiratori in ambito internazionale per la sua immagine di uomo forte e il suo controllo sulla politica ungherese8. Trump lo aveva ricevuto alla Casa Bianca con tutti gli onori nel 2019. Inoltre, per blandire il voto femminile, ha fatto eleggere alla presidenza della repubblica (una carica con un ruolo largamente cerimoniale) una donna, Katalin Novák, che per anni è stata vicepresidente di Fidesz e il ministro che ha gestito le politiche per la famiglia che avrebbero dovuto invertire il declino demografico in un Paese (con meno di 10 milioni di abitanti) con tassi di natalità tra i più bassi d’Europa, attraverso il sostegno economico per la classe media, compresi i sussidi per l’edilizia abitativa, i mutui per la casa sostenuti dallo Stato e i tagli alle tasse.

Soprattutto, negli ultimi mesi e ancora poche settimane prima delle elezioni, Orbán ha impresso un forte aumento alla spesa pubblica – di circa 5 miliardi di euro -, mettendo sotto pressione le finanze pubbliche (per cui dopo le elezioni del 3 aprile sarà necessaria una manovra finanziaria). Ha elargito 1,8 trilioni di fiorini (l’Ungheria non fa parte dell’Eurozona) di sgravi fiscali, tagli alle tasse (ad esempio, le persone di età inferiore ai 25 anni non dovranno pagare l’imposta sul reddito delle persone fisiche dal 2022), pensioni e aumenti dei minimi salariali, in una mossa che ha l’obiettivo di sostenenere il consenso elettorale per sé e Fidesz, ma che ha anche contribuito a spingere il deficit a 1.585 trilioni di fiorini a febbraio, metà dell’obiettivo del 2022.

Uno degli slogan della campagna di Orbán recita “L’Ungheria sta andando avanti, non indietro“, un riferimento al triste record di crescita economica dell’amministrazione guidata dai socialisti pre-Fidesz. Ma, l’aumento dei tassi di interesse (il 22 marzo la banca centrale li ha aumentati di 100 punti base), la svalutazione del fiorino, l’aumento dell’inflazione (quasi all’8%) e dei prezzi dell’energia (il blocco dei prezzi per limitare le bollette delle utenze domestiche, in vigore dal 2015, potrebbe costare fino a 1 trilione di fiorini nel 2022), il blocco dei prezzi di farina, olio di girasole, carne, zucchero e carburante, e il costo per l’accoglienza di oltre 350 mila profughi ucraini (pur continuando a rifiutare l’immigrazione), non solo di etnia ungherese (anche se l’aiuto che i rifugiati ottengono viene fornito quasi interamente da civili), stanno dissanguando le finanze pubbliche di un Paese che non ha avuto accesso ai fondi per 7,2 miliardi di euro del programma Next Generation dell’UE per la ripresa dalla pandemia da parte della Commissione Europea (sollecitata in questo senso anche da un gruppo trasversale di eurodeputati di sinistra e liberali) a causa del conflitto sugli standard democratici, i diritti delle minoranze, come quelli delle comunità Rom9, ebraica e LGBTIQ+10, le accuse di lunga data su frode, corruzione e nepotismo, la mancata indipendenza dei giudici11. Con Orbán che promette di continuare a sostenere le famiglie della classe media e i pensionati attraverso la spesa pubblica, il vero rischio per l’Ungheria riguarda il modo in cui le agenzie di rating del credito risponderanno ad un aumento del disavanzo rispetto al 4,9% previsto (dopo che nel 2021 è stato del 7,3% e nel 2020 dell’8%), probabilmente intorno al 7%.

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