L’Italia e la Germania

Nell’ultimo periodo il Governo italiano, a partire dalla Presidente del Consiglio, è andato vantandosi in giro per il fatto che il Pil del nostro paese sta aumentando più di quello tedesco. Si tratta alla fine di affermazioni sostanzialmente grottesche.

È vero che la nostra economia sta crescendo in questo momento più di quella teutonica, ma si tratta comunque di cifre da prefisso telefonico; così nel 2024 si prevede che il Pil dell’Italia aumenti dello 0,6%, secondo una stima tra l’altro a nostro parere per molti versi ottimistica, contro lo 0,1% per la Germania. D’altro canto, nel periodo 2019-2023 quello italiano è cresciuto di poco più del 3%, contro il 12% della Polonia e l’8% degli Stati Uniti, mentre la Germania ha fatto registrare un – 0,5%. Ma di fronte a tali cifre c’è poco da rallegrarsi. Non soltanto il paese teutonico è, non solo sul piano economico, quello guida dell’intera Unione europea, ma l’industria del Nord Italia, come quella di diversi paesi dell’Est Europa, dipende strettamente da quella tedesca (la Germania è, tra l’altro, il primo mercato di sbocco delle esportazioni italiane, in particolare per la componentistica auto, i macchinari industriali, la metallurgia, la chimica, l’abbigliamento) e le sue difficoltà attuali significheranno altrettanti guai prossimi per l’Italia, oltre che per gli altri paesi del nostro continente. Del resto già nei primi mesi del 2024 si sta verificando in Italia una rilevante contrazione di attività nel settore industriale. De te fabula narratur.

Il fatto è poi che il caso tedesco sottolinea più in generale come l’economia europea si trovi di fronte a una situazione strategicamente drammatica. I guai economici dei paesi dell’UE vengono da lontano e sembrano molto difficili da superare.

Le difficoltà della Germania

Da qualche tempo sulla stampa internazionale appaiono articoli allarmati e allarmanti sulle difficoltà economiche tedesche. E in effetti i principali indicatori economici relativi al paese confermano queste preoccupazioni. Cosa sta succedendo?

Il passato successo del modello economico teutonico si basava, tra l’altro, su alcuni atout importanti: la leadership tecnologica su settori quali l’auto, la chimica, la meccanica; la competitività di costo dei prodotti, nonostante l’alto livello dei salari, dovuta per una parte consistente al fatto che al momento dell’introduzione dell’euro il cambio del marco fu fissato a livelli molto favorevoli; la larga disponibilità di fonti di energia russa a buon mercato; il costante sviluppo dell’economia mondiale guidato dall’Asia e in particolare la forte crescita relativa del commercio internazionale; infine, va sottolineato, la forte coesione sociale e politica interna (Comito, 2023).

Ma da qualche tempo si insinuano dei cunei negli ingranaggi dell’economia del paese. Tra i fattori esterni va ovviamente ricordata la crisi ucraina, che ha comportato un forte aumento dei costi dell’energia, anche se tale fenomeno di recente si è un poco, ma solo un poco, ridimensionato; esso ha messo in grave difficoltà i settori energivori e ha contribuito a spingere molte imprese a dirigere una parte ormai consistente della loro attenzione e dei loro investimenti verso la Cina (negli ultimi otto anni la quota degli investimenti esteri tedeschi sul totale di quelli dell’Ue verso il paese asiatico ha rappresentato il 58% del totale; Wieder, 2024) e verso gli Stati Uniti, due paesi nei quali il costo dell’energia appare nettamente inferiore. Hanno giocato poi i fattori geopolitici, con gli USA che spingono insistentemente i paesi alleati ad allentare i loro legami economici con la Cina, principale mercato di sbocco delle esportazioni del paese (in Cina esse sono ormai il doppio di quelle di Francia, Gran Bretagna e Italia messe insieme; Wieder, 2024) e di grandi investimenti diretti in loco. Inoltre vanno ricordati il rallentamento nei processi di mondializzazione e in quello della domanda mondiale, nonché la crescente concorrenza cinese che si manifesta in maniera sempre più aggressiva nei settori punti di forza dell’economia teutonica (Comito, 2023).

Né va sottovalutata l’evoluzione tecnologica. Così nell’auto, il principale datore di lavoro del paese (si valuta che, considerando l’occupazione diretta e indiretta, esso occupi circa 15 milioni di persone), l’avvento dell’auto elettrica, del software relativo e ora della vettura a guida autonoma, spingono verso l’irrilevanza la passata eccellenza tecnologica che poneva le vetture tedesche al top mondiale; tra l’altro, già oggi, in un’auto elettrica il costo della batteria è pari grosso modo al 40% del totale e quello del software di nuovo al 40%, mentre per tutto il resto, comprese ovviamente le raffinatezze della meccanica, non rimane che il 20%; e la situazione peggiorerà ancora con l’avvento dell’auto a guida autonoma.

Bisogna segnalare poi sul fronte interno che le austere politiche di bilancio del Governo hanno, tra l’altro, frenato considerevolmente il rinnovamento del sistema di infrastrutture del paese, oggi per una parte almeno decrepito; va ricordato ancora un apparato burocratico pubblico e privato molto pesante, che rallenta fortemente le decisioni e in particolare le politiche di innovazione.

Tali difetti interni erano tenuti in qualche modo a bada fino a che le cose dell’economia marciavano spedite; ma oggi essi sono venute fortemente alla luce.

Intanto la coalizione al Governo, fatta di tre partiti, non sembra essere d’accordo su niente; va tra l’altro ricordato come la rappresentante dei verdi nel Governo predichi una crociata contro i legami economici del paese con la Cina. Ma rallentarli in maniera importante comporterebbe un suicidio per il paese, come fanno intendere di tanto in tanto anche i rappresentanti della grande industria del paese.

E quelle dell’Europa

L’economia dell’Ue è cresciuta dal 2019 al 2023 soltanto del 4%, contro l’8% degli Stati Uniti (comunque in paesi come la Germania e la Gran Bretagna il reddito pro-capite è nel frattempo diminuito) e contro cifre ben più alte di Cina, India e altri paesi emergenti. Dalla fine del 2022 ad oggi, poi, l’economia della Ue è sostanzialmente ferma, mentre per il 2024 si prevede per la stessa Ue e per la Gran Bretagna al massimo una crescita di meno dell’1% (The Economist, 2024).

Analisi recenti mostrano poi soprattutto che nei settori ad alto livello tecnologico Cina e Stati Uniti dominano ormai incontrastati la scena, mentre i paesi dell’Ue si devono accontentare di poltrone di seconda e terza fila. Tra l’altro, le due superpotenze possono spendere cifre quasi illimitate per gli investimenti e per la ricerca e sviluppo: il paese asiatico può attingere alle sue grandi riserve finanziarie, mentre gli Stati Uniti, come detentori della moneta di riserva, si possono permettere di stampare dollari a piacimento.

Sino a non molti anni fa a Bruxelles, al solo nominare l’espressione “politica industriale” i funzionari mettevano mano alla pistola; più di recente, di fronte all’evidenza dei risultati di Cina e USA, la Ue ha cercato di cambiare registro e ha, tra l’altro, avviato dei piani per alcuni settori ad alta tecnologia, robotica, intelligenza artificiale, cloud computing, ecc.; ma troppo poco, troppo tardi e con troppi vincoli.

Nell’aprile del 2024 i rappresentati economici di Germania, Francia e Italia si sono riuniti a Parigi con l’obiettivo di delineare delle politiche tali da rilanciare l’industria della Ue, in particolare proprio con l’obiettivo di colmare il ritardo ormai molto importante accumulato nei confronti di Cina e Stati Uniti (Fotina, 2024); ma si tratta nella sostanza di auspici velleitari in mancanza delle risorse adeguate alla bisogna (così ad esempio nel campo dell’intelligenza artificiale gli investimenti USA sono ben 50 volte quelli europei, mentre più in generale quelli in ricerca e sviluppo della Ue sono un quinto di quelli americani; Occorsio, 2024). Comunque l’incontro di Parigi è stato marcato da rilevanti divergenze di vedute sui temi specifici e da problemi politici importanti.

Per altro verso, per i prossimi anni, le necessità finanziarie dei paesi della Ue appaiono immense, in particolare per far fronte alla sfida energetica, per finanziare appunto una qualche ipotetica politica industriale, per almeno tappare i buchi del declinante Stato sociale, per le spese per la difesa che si vogliono irresponsabilmente aumentare. Non è chiaro da dove potrebbero venire le risorse relative.

Intanto cresce la minaccia economica cinese. Come mostrano tutti gli indicatori, per quanto riguarda il settore delle energie pulite, i prezzi delle auto elettriche cinesi sono in media inferiori almeno del 30% a quelli europei, il costo dei pannelli solari del 50%, quello delle pale eoliche del 60% e così via. In generale l’industria cinese sarebbe in astratto in grado di spazzare via quella europea e delle politiche protezionistiche comporterebbero a loro volta dei danni molto rilevanti.

Pesa poi sul fronte amico la minaccia di guerre commerciali se Trump dovesse vincere le prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti.

Cosa si può fare

La posizione dell’Ue, almeno sul fronte economico, appare in prospettiva quasi disperata, nel quadro poi di un declino generale del peso dell’Occidente e della parallela impetuosa crescita di quello dei paesi emergenti.

Alcune grandi imprese europee, in particolare quelle tedesche operanti in settori quali l’auto, la relativa componentistica, la chimica, l’impiantistica, per salvarsi perseguono una strategia di sviluppo delle loro attività in Cina (così la Volkswagen ha appena annunciato un ulteriore investimento di 2,5 miliardi di euro nel paese), producendo prevalentemente per il mercato locale, il più grande del mondo e non solo nei settori citati; inoltre e per altro verso esse si dirigono anche verso gli Stati Uniti, paese che ha stanziato somme molto rilevanti per attrarre i capitali esteri in un tentativo di reindustrializzazione, in particolare nei settori di punta. Ma le Mittelstand, le imprese di medie dimensioni, il cuore pulsante dell’industria tedesca, avrebbero maggiore difficoltà a mantenere una adeguata traiettoria di sviluppo (Boutelet, 2024). E lo stesso si può dire per la gran parte delle piccole e medie imprese degli altri paesi del continente.

Ma l’insieme delle economie della Ue e della Gran Bretagna, preso nel suo complesso, non sembra avere facili vie di sbocco. Il punto di fondo appare quello che il nostro continente è in crisi di prospettive, non ha in particolare idea su quali settori puntare per sopravvivere, con quelli tradizionali in rilevante declino e con una rappresentanza molto scarsa in quelli nuovi. Certo l’Ue è leader mondiale non campo del turismo, peraltro attività abbastanza povera, in quello del lusso (ma prima o poi i cinesi si occuperanno in maniera aggressiva dello stesso) e dell’industria agroalimentare, mentre occupa una posizione di leadership nel campo dell’aereonautica e, per alcuni aspetti, in quello della robotica. Ma tutto questo non basta certo. La banche europee sono più piccole di quelle cinesi e molto meno redditive di quelle statunitensi, mentre il settore agricolo del continente è in panne. E si potrebbe continuare.

A parere di chi scrive la situazione appare senza grandi prospettive. Tutto quello che sembrerebbe potersi fare è cercare di mobilitare quante più risorse possibili, anche attraverso l’emissione di bond da parte della Bce, soluzione peraltro non condivisa da tutti i paesi, e poi concentrare tali risorse in alcuni, pochi, settori prioritari. Si potrebbe poi integrare a livello della Ue il mercato dei servizi, dove la concorrenza esterna resta difficile, nonché quello dei capitali. Inoltre bisognerebbe tenere rapporti economici positivi in tutte le direzioni, invece di cercare di scoraggiare in tutti i modi la Cina e altri paesi emergenti su ordine di Washington, ponendo barriere commerciali e di altro tipo sotto tutti i pretesti, ciò che danneggerebbe il paese asiatico ma anche, se non soprattutto, il nostro continente. Così, ad esempio, la lotta al cambiamento climatico sarebbe più difficile, più costosa e arriverebbe con ancora maggior ritardo.

Le ipotesi sopra delineate potrebbero forse ridurre i danni e per lo meno rallentare quello che sembra un inevitabile declino. Mais le coeur n’y est pas, manca del tutto la spinta. Intanto incombe per soprammercato a livello politico nel nostro continente l’avanzata delle destre estreme, fatto che minaccia altri rilevanti guai in un prossimo futuro.

Testi citati nell’articolo

– Boutelet C., Dans l’Allemagne en récession, les petits industriels vacillent, Le Monde, 13 marzo 2024.

– Comito V., Le difficoltà della Germania e quelle della Ue, Sbilanciamoci, 13 settembre 2023.

– Fotina C., Berlino, Parigi e Roma: patto per rilanciare l’industria Ue, Il Sole 24 Ore, 9 aprile 2024.

– Occorsio E., USA-Europa, si allarga il gap sulle tecnologie, la Repubblica, 11 marzo 2024.

The Economist, Europe economy is under attack from all sides, 30 marzo 2024.

-Wieder T., Face à Pèkin, Berlin préfère le rapprochement à l’affrontement, Le Monde, 14-15 aprile 2024.

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