Democrazia, Politica, Temi, Interventi

Inutile girarci troppo attorno, come fa chi esclude problemi seri, relativi alla lealtà costituzionale della destra, per non apparire alquanto retrò. Se Meloni vince, anche grazie alla accorta politica dei sondaggi andata in onda a reti unificate, il 25 settembre diventa la data simbolo di una rottura in certa misura di carattere storico. La Repubblica perderebbe, con il successo della signora in nero, gran parte della originaria legittimazione ideale-costituzionale. Assaporando il gusto di una epocale rivincita, sul “Corriere” hanno da tempo sdoganato la madre e cristiana descritta come affidabile statista e fedele atlantista. Ora, in omaggio alla leadership della destra, hanno cominciato anche ad abbozzare i lineamenti di un revisionismo storico da imporre nel tempo nuovo della reconquista. Esso viene sventolato come una bandiera ideale che finalmente suggella l’egemonia conquistata dalla destra nella nuova età post-repubblicana. Gli storici di solito entrano in scena ex post e si prestano a costruzioni edificanti ritagliate con categorie al servizio dei vincitori. In Italia il mestiere della storiografia si svolge ex ante, e la gara tra le firme dei giornali è a chi riesce prima della penna concorrente a reperire dal calamaio l’inchiostro dell’inchino reverenziale e salire sul carro del trionfatore.

La destra e i poteri forti dell’editoria e dell’industria esercitano come sempre il loro mestiere. Il Pd si è illuso che, in qualità di partito-sistema, avrebbe ottenuto un riconoscimento per il servizio reso alla stabilità e alla governabilità. Le esigenze della stabilità, nei signori che gestiscono la continuità del potere, non guardano però in faccia a nessuno e non conservano tracce di memoria. La loro funzione richiede il mestiere di negoziare con chiunque. Si spiegano così gli ammiccamenti nient’affatto imprevedibili per cui da Palazzo Chigi (e forse non soltanto da quel palazzo) si concordano misure, indirizzi, uomini persino proprio con la nemica ufficiale di Draghi. Si è parlato di protettorato. In certa misura è il tentativo di normalizzare anche le più spigolose figure della politica che dalla venatura antisistema vengono ospitate nelle trafile più segrete della ragion di Stato in tempi di guerra.

Proprio la guerra (causa reale della crisi energetica, dei rischi di decrescita, dell’espansione di povertà sociale e ulteriore disoccupazione) è la grande assente della campagna elettorale. Il Pd ha scelto una linea atlantica senza sfumature e questo spiega la consegna del silenzio. Lo stesso M5S ribadisce la fedeltà alle alleanze e la bontà delle sanzioni. Del resto la rottura con Draghi non è avvenuta sui temi della guerra e della pace ma su quello del termovalorizzatore di Roma. Solo Sinistra Italiana ha combattuto in parlamento l’invio di armi e le sanzioni, però questa sua originale collocazione non viene rimarcata a sufficienza nella comunicazione politica, forse per un tacito accordo coalizionale che impone di non enfatizzare le differenze con il partner più grande. La spoliticizzazione del tema caldo della guerra (il più delicato nervo scoperto della conversione atlantista di Meloni) favorisce la marcia della destra.

Importante è adesso che, dopo clamorosi errori tattici e strategici che hanno diviso il fronte repubblicano, le forze democratiche risultino maggioritarie se non nei seggi, almeno nei voti. Ha una importanza (non solo) simbolica notevole la presenza nel paese di una maggioranza di voti appannaggio dei partiti rimasti fedeli al paradigma antifascista. L’ipotesi, da molti formulata, che subito dopo il voto la coalizione eterogenea della destra imploderà (per contrasti programmatici evidenti e soprattutto per le rivalità personali incomponibili) non ha un solido fondamento. E comunque non si costruisce (come sembra abbiano fatto Calenda e Renzi) una strategia politica su ipotesi fragili e non corroborabili a monte, vale a dire su condizioni friabili che non si chiariscono nella loro portata effettiva se non dopo gli accadimenti. La velleità di un soccorso offerto preventivamente dai “competenti” del terzo polo potrebbe urtare con la semplice irrilevanza numerica dei berlusconiani dinanzi a una maggioranza assoluta appannaggio di Lega e FdI. Questa è una eventualità nient’affatto remota capace di sgonfiare in partenza ogni tentativo di ripresa del solito gioco trasformistico che consiste nell’arte della composizione e scomposizione dei fronti parlamentari.

Il metapartito democristiano che dirige le danze ha condotto a una sconfitta di sapore epocale. Letta, che incarna il filone tecnocratico di Andreatta, Renzi, che ricicla l’anima dorotea del potere per il potere come destino dello scudocrociato, e Conte, che recupera la venatura sociale-assistenziale di Scotti e Pomicino, non sono riusciti a delineare una strategia condivisa dinanzi alla avanzata della destra radicale. La sinistra (politica e sindacale) è da tempo condannata all’irrilevanza e i processi più rilevanti non li determina, li asseconda con la sola ambizione di correggere, smussare, rallentare.

Se, come sembra, il 25 settembre segna il punto zero delle diverse culture politiche democratiche, si impone una paziente opera di ricucitura del fronte variegato delle opposizioni e, a sinistra, un lavoro frenetico di reinvenzione politico-organizzativa-identitaria. Al capolinea sono ormai giunte le sigle più diverse, chi per una confermata irrilevanza quantitativa, chi per una capacità di resistenza che impone il consolidamento della opzione “progressista”, chi per una usura acclarata di un amalgama fallimentare costretto ad ammainare la bandiera dinanzi al trionfo della destra radicale. Tra le macerie accumulate, la ricostruzione di un moderno partito della sinistra, del conflitto sociale e delle libertà, dei lavori e delle precarietà, non è più una vaga esortazione, è una necessità per contrastare la deriva illiberale e i rigurgiti reazionari nient’affatto scongiurati dalle pratiche magiche dei custodi delle istituzioni tese a normalizzare la madre donna, cristiana e patriota.

Il CRS, che questa esigenza di una rifondazione progettuale della sinistra la rimarca da tempo, può essere con altri un laboratorio per impostare un lavoro comune di pensiero e di organizzazione.

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Un commento a “25 settembre. Il punto zero della Repubblica”

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