La “digitalizzazione” prevista dal PNRR non è solo rilevante per la quantità di risorse che ad essa sono assegnate, ma anche per gli effetti che i progetti di digitalizzazione avranno su tutte le aree di intervento del PNRR, dal lavoro alla scuola, dall’ambiente ai trasporti, dalla sanità alla cultura.
E gli effetti controversi che su tutti questi settori ha prodotto il grande “switch off” digitale generato dalla pandemia sono un motivo già più che sufficiente a reclamare attenzione critica e partecipazione sociale su tutte le iniziative di digitalizzazione.
Ma vi è un’altra ragione che sollecita un di più di impegno da parte di tutti gli attori sociali coinvolti, ed è l’evidente pregiudizio positivo che accompagna i processi di “digitalizzazione”, sia nel testo stesso PNRR, sia più in generale nei commenti che ne accompagnano i primi passi verso l’attuazione.
In altri termini la “digitalizzazione” viene presentata come un risultato positivo “di per sé”, ignorando l’evidente ambivalenza delle conseguenze sociali, lavorative, economiche e politiche della trasformazione digitale. Questa assunzione porta di conseguenza a considerare obiettivi di risultato solo “quantitativi” (quante “app” sono utilizzate? Quanta “banda” è disponibile?) ignorando invece indicatori capaci di misurarne le conseguenze sociali.
Questo pregiudizio positivo va contrastato da una altrettanto esplicita valutazione critica delle possibili conseguenze sociali dei processi di digitalizzazione da parte degli attori sociali coinvolti, a partire dalle organizzazioni che rappresentano il lavoro e la cittadinanza attiva.
I progetti di “Digitalizzazione” previsti dal PNRR devono essere verificati, analizzati criticamente, se possibile riorientati, verso finalità socialmente condivise, e, ove necessario, anche contrastati. Costruire questa capacità di analisi e di intervento è l’obiettivo principale della giornata di discussione organizzata dalla CGIL insieme enti, associazioni e reti del civismo attivo.
Ecco alcuni ambiti in cui più urgente è la necessità di analisi critica e di intervento.
I servizi pubblici
Un esempio clamoroso di pregiudizio positivo verso la digitalizzazione è quello della “Pubblica Amministrazione”, dove si manifesta una attesa salvifica nei confronti della “app” di turno che sembra ignorare completamente non solo gli effettivi bisogni dei cittadini utenti, ma anche la più elementare cultura organizzativa del servizio pubblico.
Va invece esplicitamente criticata la sostanziale coincidenza della innovazione dei servizi con la trasformazione del servizio in servizio online, generalmente mediante la realizzazione di “app”. Una “app” di per sé non è il miglioramento di un servizio, ma il trasferimento sull’utente di una parte del processo di erogazione. Si tratta di una impostazione sbagliata che non solo rischia di non fare ottenere i risultati attesi (le percentuali di utilizzo delle app) ma si propone anche esplicitamente come perno di una più generale strategia di “disintermediazione” digitale del servizio pubblico, con effetti negativi sulla qualità (e la quantità) del lavoro pubblico.
Si pensi come esempio ai servizi pubblici nel settore della sanità e ai rischi di quei servizi di telemedicina nell’ambito della medicina territoriale, la cui realizzazione è motivata prevalentemente da considerazioni di efficienza economica.
Occorre invece non solo ripartire dalla capacità di progettare un effettivo miglioramento del servizio (di cui l’utilizzo della tecnologia digitale può essere una variabile dipendente) ma ribadire la necessità di non impoverire ulteriormente la relazione tra cittadini e operatori pubblici, che nell’esempio della sanità è fondamentale, ma è necessario anche in altri settori. È in questo caso particolarmente evidente la necessità di coinvolgere diffusamente utenti e lavoratori nella riprogettazione dell’utilizzo del digitale nell’innovazione dei servizi pubblici e nel monitoraggio del percorso di innovazione.
La sicurezza
È importante mettere in evidenza che la critica della “disintermediazione digitale” del servizio pubblico è oggi molto rafforzata dagli ultimi eventi catastrofici in tema di sicurezza informatica che hanno riguardato la Regione Lazio e recentemente, sempre a Roma, l’Ospedale San Giovanni (e parliamo solo degli eventi “conosciuti”).
C’è una relazione diretta tra l’approccio “all digital” del PNRR verso i servizi pubblici, cioè la trasformazione integrale dei servizi in servizi online, e la necessità di costruire grandi strutture di cybersicurezza, che, come tutti gli esperti mettono in luce, non possono riuscire a fornire garanzie affidabili di sicurezza, ma fanno crescere in complessità e costi gli apparati e le procedure a questo scopo dedicati.
Occorre iniziare a dire con forza che l’unica sicurezza realmente utile sta nel garantire la possibilità del servizio pubblico anche in condizioni di malfunzionamento dei dispositivi digitali. E questo implica un freno alla disintermediazione digitale del servizio pubblico già nella fase di concezione iniziale dei sistemi digitali.
Le infrastrutture
Strettamente collegato al tema della sicurezza è quello della realizzazione delle infrastrutture, che non si esauriscono nel tradizionale tema della disponibilità di una adeguata rete pubblica di telecomunicazione.
Occorre concentrare l’attenzione e mettere a fuoco criticamente altre infrastrutture del PNRR generalmente poco approfondite, se non ignorate dal dibattito pubblico, e invece significative e importanti per gli effetti che possono generare.
La prima è quella della infrastruttura per i servizi cloud nella quale confluiranno gran parte dei dati digitali generati dalla pubblica amministrazione e della quale si prevede entro l’anno l’avvio della realizzazione.
È in corso di definizione da parte del Ministro per la Transizione Digitale la procedura di attuazione del nucleo più “garantito” della infrastruttura, che dovrebbe riguardare i dati digitali necessari ai servizi essenziali della PA, per la quale si sono già candidati consorzi misti tra aziende pubbliche (CDP, Sogei, Leonardo) e aziende private (Tim). Ma poco si conosce della natura dei servizi richiesti, delle garanzie verso il ruolo dei grandi monopolisti digitali (è già operante un accordo in proposito tra Tim e Google), del perimetro dei dati pubblici che saranno gestiti da questa infrastruttura (e di quali dati invece saranno affidati a infrastrutture gestite da privati), del ruolo che questa infrastruttura potrà avere nel far crescere competenze e imprese che già operano in Italia in questo settore, in particolare quelle che fanno uso di tecnologie aperte.
Si tratta di sottrarre la decisione su questi temi cruciali alla sola competenza tecnica degli addetti ai lavori, e di avere la capacità di entrare nel merito delle conseguenze sociali ed economiche delle scelte che verranno a breve effettuate.
A chi appartengono i Dati Digitali?
Tra i progetti infrastrutturali del PNRR c’è lo sviluppo e il rafforzamento della “infrastruttura dei dati”, con l’obiettivo di rendere non solo accessibili, ma anche “conoscibili” e quindi utilizzabili i dati generati dalle amministrazioni pubbliche e dai servizi da loro offerti.
Ma tutti i progetti di innovazione digitale promossi nell’ambito del PNRR, non solo quelli riferiti al settore pubblico, generano dati. Lo fanno ad esempio i progetti innovativi della logistica, quelli avviati dalle imprese con i fondi della transizione 4.0, quelli relativi allo sviluppo del lavoro da remoto, quelli relativi all’ambiente e all’agricoltura. Generano dati come obiettivo esplicitamente dichiarato, o generano dati indirettamente nel conseguire quello che viene considerato loro obiettivo primario.
A chi appartengono questi dati?
Sono anch’essi accessibili per finalità di pubblica utilità (ad esempio per i servizi sanitari e di welfare)?
È possibile imporre una condizione che obblighi i soggetti attuatori, non solo quelli pubblici, a rendere aperti, accessibili e utilizzabili i dati generati dai processi innovativi realizzati con il PNRR?
La formazione
Grande importanza, ma non altrettanto grandi risorse vengono attribuite dal PNRR alla “formazione” in ambito digitale di cittadini e lavoratori. In questa direzione sembra andare un ambizioso progetto recentemente annunciato dal Ministro del Lavoro.
È indispensabile tuttavia entrare nel merito dei contenuti formativi.
Si deve rivendicare l’ampliamento dei contenuti e dei processi formativi anche a competenze “critiche”. Non solo imparare a usare gli strumenti ma conoscere cosa c’è dietro l’interfaccia, quali sono i rischi che si accompagnano alle utilità, come diventare utenti e lavoratori consapevoli e non solo protesi addestrate dei dispositivi digitali.
Questo ampliamento delle competenze è evidentemente condizione necessaria per una effettiva partecipazione. In termini espliciti la formazione che rivendichiamo è formazione abilitante alla effettiva possibilità di negoziare obiettivi e percorsi della innovazione digitale del PNRR.
Su questi temi il Sindacato e le Associazioni potrebbero rivendicare un ruolo attivo di “formatori” e non solo di utenti della formazione.
Condizioni e obiettivi della “partecipazione”
Richiedere di partecipare ai processi di digitalizzazione del PNRR e proporsi di influire effettivamente sulla loro realizzazione è un obiettivo non facile da raggiungere, non solo per il “pregiudizio positivo” che accompagna la digitalizzazione, ma per la apparente oggettività “tecnica” dei suoi percorsi di attuazione
Non si tratta solo di consentire la partecipazione degli attori sociali coinvolti, ma di garantire che tale partecipazione possa conseguire risultati effettivi. Non si tratta solo di una giusta richiesta di maggior “democrazia” del processo di attuazione. Data la natura intrinsecamente “socio-tecnica” di ogni processo di trasformazione digitale la partecipazione degli attori sociali coinvolti è infatti anche condizione ineludibile della effettiva realizzazione dei progetti avviati.
In concreto non si tratta soltanto di garantire informazione trasparente e tempestiva sui percorsi di attuazione, ma prevedere la possibilità di intervento in diversi momenti del processo di attuazione. Ad esempio, nella definizione iniziale del requisiti, che non sono solo tecnici ma anche sociali e organizzativi, nell’introduzione di clausole vincolanti nella formulazione di bandi di gara per l’attuazione, nel monitoraggio effettivo del processo di realizzazione.
La capacità di monitoraggio è una risorsa fondamentale per avere forza contrattuale nella partecipazione al processo di attuazione. Per questo è necessario dotarsi di un autonomo sistema di monitoraggio dell’attuazione del piano. Non solo quindi chiedere che siano rese disponibili le informazioni che saranno utilizzate per i sistemi di monitoraggio “ufficiali”, e dotarsi delle capacità di comprenderle e utilizzarle. Non solo diffondere esperienze di monitoraggio civico meritoriamente avviate da alcune articolazioni dello Stato negli anni passati. Si tratta di elaborare propri indicatori di attuazione e di risultato capaci di registrare e descrivere gli aspetti socialmente rilevanti del processo di trasformazione digitale. Questi indicatori potranno essere utilmente articolati territorialmente, fornendo a chi opera nel territorio le informazioni necessarie, e chiedendo loro di alimentare a loro volta il sistema con informazioni raccolte dal basso.
Qui il PDF
Qui il link all’iniziativa “Giornata della partecipazione”
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