Il naufragio di Cutro: un anno dopo il 24 Febbraio 2024 alle 01:08 Rispondi […] Qui il reportage di un anno fa di Ida Dominijanni […]
Massimo Falchetta il 13 Marzo 2023 alle 19:15 Rispondi L’unico modo per “fermare la strage” sarebbe aprire esplicitamente le porte all’immigrazione, per traguardare poi una soluzione di lungo periodo agli squilibri che la forzano. Migrare è un diritto, ma anche non essere costretti a farlo, come afferma il Papa, dovrebbe esserlo. Restando alla migrazione in sé, la “terminologia magica” (che non viene in realtà mai esplicitata in dettagli operativi) è “governare i flussi” (tratto da Governance, inglesismo). Per esempio, si potrebbero predisporre linee di ingresso aeree e navali regolari per chi vuole immigrare in Italia, con ampia disponibilità (fino a 1000-2000 arrivi al giorno solo per smaltire in un paio d’anni quelli che pare siano in attesa in Libia: ma gli altri? Forse sarebbero di più). Ciò richiederebbe la predisposizione in Italia sia di centri accoglienza e ospitalità ma anche di selezione, dando per scontato che poi, a meno di non creare dei lager, molti fra i non “eleggibili” a restare si darebbero alla macchia, divenendo clandestini, o cercherebbero di muoversi verso altri paesi europei, creando quindi problemi con l’Europa. Non è facile quantificare in concreto. Nel periodo 2014-2017 gli sbarchi erano 200,000 all’anno, probabilmente ora gli arrivi sarebbero potenzialmente molti di più se si istituisse una apertura esplicita a flussi significativi. Occorre osservare che la prima a reagire duramente a grandi numeri sarebbe l’Unione Europea, che a seconda dell’entità del flusso potrebbe arrivare ad espellere l’Italia dalla UE, creando poi una “cintura di sicurezza” sulle Alpi – come già avvenne – e pattugliando i confini marittimi sul lato Tirreno e Adriatico se iniziassero anche a partire barconi dall’Italia (come fra Francia e UK; la quale UK infatti ha abbandonato la UE, anche per questo tipo di questioni). Sicuramente, anche senza arrivare a questi estremi, la UE ribadirebbe l’accordo di Schenghen, impedendo il flusso verso l’Europa dall’Italia e rimandando indietro i profughi che cercassero di uscire dall’Italia, come rimarcato al fine di ammonimento in tutte le sedi, almeno fin quando l’Italia fosse ancora parte della UE. E’ chiaro che senza un accordo tipo Schenghen, un profugo o un indesiderato non può essere spedito come un pacco in un paese terzo (come mi è capitato di vedere personalmente su un volo Marsiglia-Roma, nel 2017). Questa modalità di “controllo” dei cosiddetti flussi secondari è un grosso vantaggio per i paesi europei “centrali”; mentre quelli che, come l’Italia, confinano con lo spazio extra-UE, non possono “espellere” facilmente in assenza di accordi bilaterali espliciti con i paesi di provenienza extra-UE. Se l’Italia uscisse dalla UE, potrebbe invece eventualmente ottenere un accordo come quello stipulato dalla Turchia, che prevede il pagamento di una somma solo in apparenza notevole in cambio del “contenimento”. Le mie osservazioni sono evidentemente “provocatorie”. Ma è una provocazione necessaria, visto che si accetta senza grande scandalo una Unione Europea che prevede libera circolazione delle merci e dei capitali (è la principale ragione d’essere dell’Unione Europea, nata come Mercato Comune …) ma non delle persone, salvo quelle che fanno elettivamente parte dell’Unione (ma in particolari situazioni, ad esempio durante la pandemia, questa prerogativa è stata abrogata). Di fatto, l’Italia ha il ruolo di “filtro” o cassa di compensazione per assorbire e stemperare (ovvero contenere e diluire nel tempo) la migrazione dal Mediterraneo centrale. Questo dovrebbe essere ormai evidente a tutti. Quando, poco prima della guerra, la Bielorussia ha provato a “indirizzare” 12.000 profughi verso la Polonia, questi sono stati duramente contenuti da reti metalliche (non muri, per carità, che hanno un valore simbolico negativo e su cui si era quindi espressa negativamente la Von Der Layen, ma doppie reti visibilmente alte 6 metri con filo spinato) e poi repressi con idranti, che hanno provocato la morte per assideramento di parecchi fra questi disperati utilizzati come “arma ibrida”. Ovviamente l’operazione è stata appoggiata dall’Unione Europea e in particolare dalla Germania, senza eccessivo clamore. Ovvero, con durezza e rapidamente. Anche a Ceuta e Melilla esistono simili reti di contenimento per reprimere il flusso dal Marocco. La situazione attuale dell’Italia nel Mediterraneo equivale allora a una situazione in cui ad esempio l’Italia stessa imponga che i migranti sbarcati in Sicilia debbano restare in Sicilia, senza alcuna compensazione dal Governo centrale. Alcune “organizzazioni caritatevoli” magari finanziate a Milano e appoggiate dal Governo Italiano si occuperebbero però di salvare dal naufragio i migranti, ma recandoli esclusivamente in Sicilia e assicurandosi che non passino lo stretto. In alcuni periodi ciò è stato limitato addirittura all’isola di Lampedusa, mentre l’isola di Malta (piccolo stato insulare europeo vocato al turismo) si è rifiutata di assumere tale ruolo, e non ne vuole più sapere. Allora, se vogliamo guardare in faccia la realtà, dobbiamo riconoscere che la migrazione non è un fenomeno emergenziale nè transitorio, ma ormai è strutturale, e i suoi numeri sono potenzialmente molto significativi. Occorre aggiungere che l’accoglienza di un migrante gestita in modo da garantire la sua sopravvivenza in modo dignitoso – senza creare alla lunga problemi di ordine pubblico – fino alla sua fruttuosa “integrazione” comporta una spesa pubblica – centrale o locale -di 12000 euro/anno (sono questi i dati pratici che si sono evidenziati nel caso italiano, quando sono state adottate soluzioni in tal senso). Se si fa un rapido conto, il già citato “contenimento turco” costa molto meno alle casse europee (6 miliardi per 4 milioni di profughi ….. cioè 1500 euro a profugo). Lavoro? Nell’Industria 4.0 che si profila non ce n’è molto. Quindi la migrazione di questo tipo (flusso necessariamente disordinato di profughi invece che flusso ordinato di manodopera qualificata) crea più problemi sociali che vantaggi economici/produttivi, vantaggi che si indirizzano soprattutto a settori a basso valore aggiunto. E’ questo (spese e problemi sociali contro vantaggi economici sostanzialmente modesti, comunque non “strategici” per l’economia e soprattutto la finanza) che tutti i governi europei vogliono evitare. In una prospettiva più politica, se i fondi per l’accoglimento/integrazione derivassero direttamente ed esplicitamente dal bilancio europeo, diventerebbero una cifra comunque molto significativa ma probabilmente sostenibile collettivamente. Si arriverebbe a una situazione in cui alcune aree europee più vocate assorbono la migrazione, magari traendone addirittura un vantaggio, usufruendo dei fondi comuni messi in gioco anche da chi vuole magari mantenere la propria “purezza etnica”. Atteso che i “più adatti” fra i migranti filtrerebbero comunque più o meno legalmente verso il nord più produttivo (ciò già avviene). Tutto ciò richiederebbe un grande approccio politico esplicito, che assorbirebbe un significativo investimento pubblico e una significativa pianificazione sociale comune. Questa prospettiva mi sembra però totalmente al di fuori dell’orizzonte attuale. Sempre da una analisi politica esplicita forse emergerebbe che, a parte un periodo transitorio di una decina d’anni comunque da affrontare assorbendo comunque qualche decina di milioni di migranti, solo un “molto significativo” investimento politico e finanziario e tecnico europeo nei paesi che sono in difficoltà, e da cui deriva la spinta migratoria, potrebbe compensare lo squilibrio e riportare la situazione a livello “sostenibile”. Limitando se non azzerando le tragedie in mare. Anche ciò comporterebbe grandi investimenti, che la “finanza europea” al potere non ha alcun interesse a intraprendere. A che pro dovrebbe farlo? Il Libero Mercato non ha questo obiettivo, magari è sì interessato a mettere le mani su particolari risorse, ma non certo a risolvere problemi di sviluppo. Mentre la politica non ne ha i mezzi, prima di tutto non ha sovranità finanziaria. Si trova quindi nella impossibilità di mettere in gioco grandi risorse, a meno di non andare a toccare pesantemente il welfare state nazionale, o a mettere in dubbio altre spese, e ad esempio le crescenti spese militari. Che sono però l’orizzonte evidente prossimo venturo dell’Europa, che vedrà sempre più una trazione Baltica e guerriera più che Mediterranea. Sono ragionamenti cinici? Senza dubbio. Ma la pietas e l’indignazione sul singolo episodio tragico (che non è il primo e purtroppo non sarà l’ultimo proseguendo in questo modo …..) dovranno prima o poi lasciare spazio anche a ragionamenti politici.