Molte iniziative stanno fortunatamente prendendo vita nel Paese, stimolate dal risalto che la stampa sta dando al tema dell’autonomia differenziata; purtroppo a causa della repentinità con cui il ministro Calderoli sta mettendo mano alla questione.
Il 28 febbraio è ricorso il quinto anniversario della sigla delle pre-intese tra il governo Gentiloni da una parte e i presidenti della Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna (Fontana, Zaia, Bonaccini) dall’altra. Di queste pre-intese all’epoca non si è saputo assolutamente nulla dai siti istituzionali, una incredibile anomalia (anti)democratica; solo dopo quasi un anno noi cittadine e cittadini comuni siamo venuti a scoprire il contenuto di quei documenti attraverso il sito degli universitari Roars. La questione è andata avanti sostanzialmente in una dimensione secretata per ben quattro governi consecutivi, come se si trattasse di un affare privato. Il primo Governo Conte, frutto delle elezioni del marzo 2018 celebrate 4 giorni dopo la sigla delle pre-intese da parte del governo Gentiloni – quest’ultimo a Camere sciolte, avrebbe dovuto occuparsi esclusivamente del disbrigo degli affari correnti – aveva al punto 20 del “contratto di governo” (sic!) proprio l’autonomia differenziata. Il Conte 2 (a trazione M5S e PD) continuò l’opera, producendo il ddl Boccia. Il Governo Draghi diede vita al ddl Gelmini. E infine il Governo Meloni ha elaborato il ddl Calderoli. Il comune denominatore – oltre alla concorde prosecuzione del cammino verso l’autonomia differenziata, veramente trasversale, indipendentemente dal colore degli esecutivi – è stata la comune volontà dei governi di collegare quei ddl (volti a normare il percorso per richiedere, da parte delle Regioni a statuto ordinario: “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s)”, ovvero norme generali dell’istruzione e tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali) alla legge di Bilancio, sottraendolo così alla possibilità di referendum. Nel corso di questi anni di studio intenso di un dispositivo complicato dai mille risvolti e dalle tante conseguenze cui dà vita, noi dei Comitati per il ritiro di ogni autonomia differenziata, l’unità della Repubblica, l’uguaglianza dei diritti abbiamo avuto una difficoltà incredibile a seguire i lavori, a reperire i documenti, a rimanere informati.
Il nostro nome è lungo, ma tiene dentro tutti gli elementi che Laura Ronchetti ha spiegato così bene nel suo intervento. Pensiamo da una parte che se solo una delle 23 materie disponibili per le Regioni a statuto ordinario passasse alla loro potestà legislativa, si determinerebbe un vulnus terribile al principio di uguaglianza tra cittadini e cittadine della Repubblica; crediamo nell’art. 5 della Costituzione, che prevede l’autonomia riconosciuta e promossa dalla Repubblica, “una e indivisibile”; ribadiamo la necessità di una realizzazione concreta del principio di uguaglianza sostanziale, prescritto dal comma 2 dell’art. 3 della Carta.
La sostanziale secretazione, anche per la complicità dei media, sulle azioni compiute dai governi e dalle Regioni ha complicato la nostra lotta contro l’autonomia differenziata, per la difficoltà a spiegare alle persone quello che stava succedendo. Anche perché, nel micidiale intreccio di pandemia-guerra, si sono moltiplicate le diseguaglianze, e la concomitanza di disinformazione e peggioramento delle condizioni di vita ha limitato la volontà e la possibilità dei cittadini e delle cittadine di partecipare attivamente ai processi che li riguardano direttamente e di cui li si è tenuti all’oscuro.
Eppure, l’autonomia differenziata mette a disposizione delle Regioni ben 23 materie, all’interno delle quali si concentrano i gangli vitali dello Stato sociale, dei diritti universali, della nostra vita quotidiana: istruzione, sanità, beni culturali, infrastrutture, trasporti, ricerca scientifica, sicurezza sul lavoro, ambiente, alimentazione, rapporti con l’UE e molto altro.
Tutto ciò – tra l’altro – avrà un riverbero sui contratti collettivi nazionali, affiancati da contratti regionali, con diversificazione dei diritti di lavoratori e lavoratrici, sempre più soli e isolati, e ulteriore stemperamento del conflitto. È molto difficile spiegare a donne e uomini che passano per strada (come abbiamo fatto in questi 4 anni di vita dei comitati e come stiamo facendo adesso, associando la campagna NOAD alla raccolta firme per la campagna “Riprendiamoci il comune”), questa gigantesca e nefasta riforma dello Stato sociale, che ha carattere strettamente giuridico, ma con importantissimi risvolti di carattere economico e conseguenze varie sulla democrazia nel Paese. Con l’autonomia differenziata si configura, infatti, un vero e proprio cambiamento del nostro sistema istituzionale sotto mentite spoglie: 20 staterelli a marce differenti, con diverse opportunità e diritti per i propri cittadini e cittadine; diritti determinati sulla base del certificato di residenza; dal “prima gli italiani” al prima i lombardi, i veneti, gli emiliano romagnoli.
Oggi che sembra che i media abbiano ritrovato la voce – purtroppo solo grazie all’atteggiamento da veni vidi vici del ministro Calderoli – l’attenzione e la consapevolezza paiono lentamente attivarsi, sebbene tra molti fraintendimenti e interpretazioni sbagliate. Ne sono prova – come dicevo – le moltissime manifestazioni che si stanno realizzando nel Paese.
Una difficoltà ulteriore è determinata dal fatto che il ministro Calderoli e i sedicenti “governatori” leghisti e del PD (Zaia, Fontana e Bonaccini) sostengono che l’autonomia differenziata non solo sia necessaria, ma che rappresenti una realizzazione della Costituzione italiana. I costituzionalisti che parleranno dopo di me avranno modo di spiegare, meglio di quanto possa fare io, perché anche questa affermazione non corrisponda al vero. Quello che mi preme sottolineare è la trasversalità di questo scellerato progetto, perseguito da quasi tutti i partiti dell’arco parlamentale. Stupisce l’accordo, il patto scellerato all’interno del Governo tra Lega e Fratelli d’Italia, tanto più in quanto apparentemente l’autonomia differenziata concretizza un conflitto con quello che dovrebbe essere il tèlos fondamentale del partito di maggioranza, massimo sponsor del presidenzialismo e con la sua retorica della “patria”. In realtà, presidenzialismo e autonomia differenziata possono, da un certo punto di vista, essere considerati aspetti di una storia coerente, che vede nella gestione apicale e monocratica – vuoi del Presidente della Repubblica, vuoi del Presidente della Regione – il proprio punto di forza; e certamente i Comitati per il ritiro di ogni autonomia differenziata saranno fieri avversari del presidenzialismo, come lo sono stati e lo saranno di qualsiasi forma di esautoramento del ruolo centrale e fondamentale del Parlamento.
A questo proposito, il ministro Calderoli in novembre aveva già provato a proporre un disegno di legge per normare l’accesso delle Regioni all’autonomia differenziata. Quando una parte della società civile e, in maniera ancora più clamorosa, i presidenti delle Regioni del Sud si sono sollevati, chiedendo di non procedere in assenza di Lep – Livelli essenziali di prestazione – Calderoli, in un batter d’occhio, ha inserito la procedura per la determinazione dei Lep nella legge di Bilancio; risolta la questione, ha provveduto a definire il disegno di legge, che è stato approvato in Consiglio dei ministri il 2 febbraio. A proposito dei Lep, i Comitati rifiutano questa forma beffarda di istituzionalizzazione delle diseguaglianze. Non riteniamo giusto e compatibile con il comma 2 dell’art 3 (nel quale individuiamo gli unici Lep possibili) determinare (sulle materie che verranno stabilite) livelli essenziali di prestazione per, ad esempio, Vibo Valentia, consentendo che Treviso rimpingui ulteriormente il proprio benessere e le proprie prestazioni, già enormemente al di sopra persino della media italiana. È corretto, inoltre, legare a una logica prestazionale l’esigibilità dei diritti universali? Riteniamo inaccettabile che i Lep vengano determinati da una cabina di regia e, qualora essa non svolgesse il compito in 6 mesi, da un commissario. Questa drammatica rivisitazione dello Stato sociale non verrà svolta dal Parlamento, come sarebbe corretto, ma da un gruppo di tecnici nominati dal governo. La Repubblica cambierà volto, insieme all’interpretazione degli art. 2, 3 e 5, secondo la volontà di un manipolo di persone orientate politicamente in un unico modo. Anche le pre-intese verranno definite, elaborate, approvate altrove, con un limitatissimo, risibile intervento del Parlamento, che non potrà, infine, fare altro che ratificarle.
Quindi c’è bisogno di molta mobilitazione, di molta informazione, di consapevolezza. Alle persone sarà importante parlare degli effetti concreti: i 20 sistemi scolastici differenti, ognuno del quale avrà proprie modalità di reclutamento dei docenti, propri programmi, proprie modalità di formazione dei docenti, gestite dall’Usr (ufficio scolastico regionale), organo autonomo e politicamente orientato. Di questo tema non si parla abbastanza: si infliggerà un vulnus incredibile al primo comma dell’articolo 33 della Costituzione, che prevede la libertà di insegnamento, uno degli anticorpi che la Repubblica garantisce contro il pensiero unico, di qualunque matrice esso sia. Bisognerà dire alla gente che esisteranno 20 sistemi sanitari (con conseguenze che andranno ben oltre l’orrore cui abbiamo assistito durante la pandemia); fargli capire che se ci sarà malauguratamente un terremoto, un’inondazione, una frana, la gestione delle zone colpite sarà frazionata tra le Regioni sulle quali il cataclisma avrà inciso e così via. Bisognerà ricordargli che qualche anno fa abbiamo pianto un incidente che ha portato via 36 pendolari sulla linea unica Corato Andria, mentre altrove si pensava alla Tav alla Pedemontana. Ricordare loro quali sono le diseguaglianze attuali ad autonomia differenziata non ancora realizzata, che verranno ulteriormente amplificate, perché rispetto ai Lep (sposando per ipotesi una logica su cui non concordiamo) sappiamo che manca un fondo perequativo pronto a essere impiegato per finanziarli e a sanare almeno parzialmente i divari tra Nord e Sud. Per colmare i quali, ci ricorda la Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno), servirebbero almeno 100 miliardi di euro.
Ricordo infine che noi dei Comitati per il ritiro di ogni autonomia differenziata abbiamo dato vita a un Tavolo NOAD, di cui fanno parte partiti politici, forze sindacali (non solo del sindacalismo di base, ma anche la Federazione dei Lavoratori della Conoscenza-FLC e alcune altre aree della CGIL), moltissime realtà del mondo associativo, comitati e così via. In questo contesto lavoriamo per uno scopo: dopo aver contribuito a impedire che i passati governi portassero a termine quanto previsto dai ddl collegati alla legge di Bilancio che ho ricordato, il nostro obiettivo è scongiurare che il disegno di legge Calderoli vada avanti. La tabella di marcia prevista sia dai commi della legge di Bilancio per la determinazione dei Lep, sia dal ddl Calderoli (la cui operatività è subordinata a quella determinazione) ci lascia ancora margini di manovra e la speranza che la nostra protesta, il nostro impegno pluriennale possano portare risultati positivi. Chiediamo a tutte e tutti coloro che leggeranno questo intervento di darci una mano. Rimaniamo a disposizione per continuare a fare quello che in maniera inesausta stiamo facendo da 4 anni: studiare, informarci, informare, creare connessioni, mobilitare. Molti e molte ancora non sanno cosa sta per accadere loro.
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