In un video disponibile su Youtube un eminente filosofo recentemente scomparso, Emanuele Severino, spiegava al Presidente del Consiglio in carica, Giuseppe Conte, quella che considerava una delle principali fonti di equivoci della nostra epoca: la convinzione diffusa che il capitalismo e la tecno-scienza siano in certa misura complementari. In realtà, puntualizzava Severino, il capitalismo, nella sua componente ideologica, ha finalità diverse dalla tecnica. Notoriamente, scopo del capitalismo è l’aumento indefinito del profitto privato. Finalità della tecnica è, invece, l’aumento della potenza, intesa come capacità di realizzare scopi. Capitalismo e tecno-scienza stanno insieme, concludeva Severino, ma hanno finalità ben diverse. Per Severino, qui in sintonia con Aristotele, scopi diversi danno origine ad azioni diverse. Quindi la tecno-scienza lungi dall’essere neutrale, è costretta ad agire in modo non conforme alla sue finalità generali. Ne possiamo dedurre, come corollario, che la tecno-scienza, declinata dal capitalismo, ha caratteristiche molto peculiari, legate a filo doppio agli scopi, alle finalità intrinseche del capitalismo. Argomento che la tradizione marxiana ha sviluppato assai bene e per proprio conto nel corso del Novecento, ma che negli ultimi decenni ha smesso di frequentare con la necessaria assiduità. Il movimento studentesco della Pantera (1990), con la sua opposizione radicale alla privatizzazione della conoscenza, rappresenta l’ultimo sussulto, in Italia, di una critica di carattere metodologico-scientifico agli effetti dell’appropriazione progressiva e inesorabile delle competenze e delle risorse intellettuali dei lavoratori cognitivi da parte delle imprese capitalistiche. È in questo vuoto teorico e politico che ha preso forma, negli ultimi anni, il pensiero distopico che da qualche tempo ho iniziato a chiamare, con espressione brutta ma efficace, distopismo.
Il distopismo contemporaneo rinuncia peraltro all’aspettativa, che Emanuele Severino ancora coltivava, di vedere, sul lungo periodo, la tecnica emanciparsi dal capitalismo, riconsegnandosi infine all’umanità come mezzo di liberazione (mezzo di liberazione che però, secondo Severino, finirà con il rivelarsi a sua volta inadeguato, ma pur sempre su una linea di miglioramento generale della vita umana). Nel distopismo tale possibilità, su basi logiche ancora ammissibile, viene considerata del tutto superata sul piano empirico. I “limiti dello sviluppo” hanno fatto definitivamente naufragare le speranze di chi si trastulla con analisi di lungo periodo. La celebre battuta di Keynes, che ci ricorda che sul lungo periodo (on the long run) saremo tutti morti, viene presa alla lettera dal distopismo, che però ne accorcia brutalmente le scadenze, privandola di ogni residuo ottimismo: qualsiasi cosa si intenda per “lungo periodo”, la catastrofe ecologica giungerà prima.
Nell’ideologia capitalista, s’è detto, la scienza e la tecnica devono sottomettersi al vincolo dell’aumento del profitto. L’ibridazione tra ideologia capitalistica e tecnica nel tentativo, solitamente coronato da un apparente successo, di utilizzare la tecno-scienza come strumento per l’affermazione del capitalismo, finisce con il dare origine a fenomeni del tutto imprevedibili, caotici e spesso catastrofici. In questo senso il capitalismo non ha alcun “realismo”, al contrario, è uno specchio deformante che penalizza le possibilità della tecno-scienza, imponendole di deviare da ogni interpretazione plausibile del reale e costringendola in una gabbia di imbarazzanti e omertose mistificazioni. Da parte sua, il nuovo distopismo porta in campo un occhio clinico che scruta questo generativismo produttivo del capitale, la sua natura infestante, mirando esplicitamente a mandarne in malora ogni celebrazione, ogni brindisi inaugurale: concentrato principalmente sui prodotti finali, ne rivela impietosamente tutte le deformità, i bug, le conseguenze inattese, le backdoor.
Il CRS ha recentemente avviato un ciclo di incontri sulle distopie digitali, che entra in questi problemi attraversando porte diverse. Quella della fantascienza, con l’approfondimento dell’opera di Philip Dick, maestro indiscusso del pensiero distopico e paranoico; quella delle pratiche di chi non rinuncia a proporre una prospettiva alternativa a quella delineata da questi scenari, come la redazione di “Rizomatica”; quella di chi analizza l’artificializzazione dell’umano sul terreno delle nuove guerre che stanno tormentando il pianeta e le popolazioni civili come fa Silvano Cacciari.
Si tratta di un programma minimo che aspira a crescere e a individuare nuovi percorsi di indagine e di ricerca.
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