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Articolo pubblicato su “Strisciarossa” l’11.12.2023.

Proviamo a decifrare in chiave politica quanto è accaduto in questo rovente fine settimana a Bruxelles attorno al testo della nuova normativa comunitaria che dovrà disciplinare la commercializzazione e l’uso delle risorse di intelligenza artificiale.

Sono stati giorni furenti che per chi ha una certa età ricordavano le trattative con il sangue agli occhi in materia di produzioni agricole e dei mitici montanti compensativi da cui dipendevano intere colture nazionali.
Già questa comparazione ci dice come sia cambiata strutturalmente l’economia globale: i dati sostituiscono i prodotti agricoli, e la potenza di calcolo supera per valore e rilevanza la produzione di acciaio.

Ma in questo settore gioca anche un altro fattore: la possibilità di ridisegnare la democrazia.
Infatti nella discussione che ha visto in campo il famoso Trilogo europeo, ossia le tre istituzioni fondamentali della comunità (Parlamento, Consiglio e Commissione), si è trattato sia di quei meccanismi che interferiscono nella formazione del senso comune di un paese, mediante flussi di contenuti mirati e artatamente manipolati che raggiungono individualmente ogni cittadino, sia della possibilità di sfruttare le opzioni tecnologiche per prevedere e inquisire autori di reato, con inevitabili delicatissimi confini fra la prevenzione e l’arbitrio.

Stiamo parlando dunque di diritti fondamentali e sperimentando per la prima volta un confronto fra istituzioni pubbliche e proprietà privata di capacità scientifiche e tecnologiche che travalicano la stessa potenza mediatica.

In questo contesto abbiamo visto l’Europa sbandare sotto i colpi delle lobby, prevalentemente statunitensi, che hanno tentato di frenare, se non proprio sabotare, le decisioni comunitarie. Ma abbiamo visto anche paesi – Germania e Francia in particolare – cedere ancora una volta al fragile compromesso interno con interessi locali, nella fattispecie l’illusione di poter proteggere imprese nazionali, dei nani tecnologici in confronto ai giganti della Silicon Valley, bloccando ogni regolamentazione pubblica.

L’epilogo finale di questo macchinoso braccio di ferro vede, come sempre in regime comunitario, partorire un compromesso il cui valore sarà legato alle forze sociali e alla pressione politica che potrà essere attivata nella gestione delle singole norme.

Alti principi e pratiche barocche

Da una parte infatti ci sono principi molto roboanti, che sembrano limitare fortemente la discrezionalità dei proprietari – leggi OpenAI, Google, Amazon, Microsoft – nell’estendere le funzioni e le applicazioni dei loro prodotti. In particolare si parla di una trasparenza dei cosiddetti modelli fondativi, i codici sorgente diciamo, che dovrebbe essere garantita a ogni utente. Ma questi principi sono poi connessi a pratiche e procedure barocche che rendono difficilmente esercitabile un’azione di controllo. Inoltre sono ancora vaghi i tempi di attuazione: quando entrano in vigore questi limiti? Si parla di un arco di circa 30 mesi, che nel campo dell’intelligenza artificiale è un’eternità.

Un’altra ambiguità che comunque apre una porta politicamente molto significativa riguarda le condizioni di maggior favore per tutte le imprese che si basano sull’open source per implementare le soluzioni automatiche. Parliamo soprattutto della fase di addestramento e specializzazione dei singoli dispositivi che si sta dimostrando molto gravosa se gestita in chiave proprietaria esclusiva. Appoggiarsi alla formicolante massa critica della rete fa risparmiare molte risorse assicurando controlli e monitoraggi molto efficienti. Inoltre l’open source strutturalmente permette di fruire di quelle caratteristiche di trasparenza e condivisibilità degli algoritmi che rendono il sistema tecnologico uno strumento pubblico e non un dominio privato.

L’Europa , e la sinistra in Europa, dovrebbe giocare con maggior coraggio questa partita, spingendo le comunità che governa, in chiave locale o nazionale, a spingersi ad essere partner e utenti di questo mondo open source, dando corpo e fisionomia a un altro modo di intendere l’innovazione tecnologica, più vantaggioso dal punto di vista democratico ma anche della sostenibilità economica ed ambientale, per i minori carichi di inquinamento che comporta.

Sul tema invece dell’uso interno, da parte di organi di polizia, delle tecniche di intelligenza artificiale – parliamo di quelle esperienze di giustizia preventiva che non sono più fantascienza ma già cronaca persino in Italia, o del ricorso al riconoscimento facciale o al censimento biometrico, che inevitabilmente comporta pregiudizi e discriminazioni – il quadro si presenta più problematico. Infatti è proprio sul nutrito capitolo delle eccezioni ai divieti di un ricorso a queste soluzioni di controllo che si è incagliato il negoziato. Molti paesi, e di conseguenza il Consiglio europeo che esprime direttamente la volontà dei Governi nazionali, hanno cercato di strappare deroghe e opportunità per utilizzare strutturalmente questi sistemi polizieschi che oggi sono applicati largamente in paesi come la Cina o la Russia oppure nel mondo delle autarchie arabe.

Il pretesto è ovviamente la minaccia terroristica, in molti casi si paventa già un utilizzo in chiave anti immigrazione, o per colpire devianze di ogni tipo. La Francia, sotto voce, e la Germania , esplicitamente, hanno sollevato questa questione. Il risultato finale è stato un ridimensionamento complessivo delle eccezioni richieste, benchè sia stata concessa la cosìddetta riserva emergenziale che permette, in casi estremi, a singoli paesi minacciati da casi di terrorismo acclarato di ricorre a queste modalità. Il tutto dovrebbe essere sorvegliato da autorità terze, indipendenti, che dovrebbero autorizzare formalmente questo esercizio provvisorio, diciamo.

Anche l’Italia si è accodata a Francia e Germania, sia nella richiesta iniziale di una regolamentazione più prudente sulle forme di commercializzazione dei prodotti, pur non avendo, a differenza dei due paesi europei, aziende del settore da proteggere, ma solo una certa vulnerabilità alle pressioni lobbistiche dei gruppi monopolistici USA da dimostrare. Tanto è vero che su questo aspetto della normativa nel governo si è aperto anche uno scontro, fra il ministro del Made in Italy Urso, che si è arrogato il potere di appoggiare le prime richieste di rallentamento normativo di Parigi e Berlino, e il sottosegretario all’Innovazione Butti, che invece reclamava una regolazione forte.

Il mulino digitale

In questo contrasto è brillata l’assenza delle opposizioni che sul fronte politico interno si sono completamente disinteressate della questione. Un comportamento che per quanto riguarda il PD appare ancora più stravagante dato che a livello europeo il capogruppo della sinistra, l’italiano Brando Benifei, è stato uno dei protagonisti, in quanto relatore di maggioranza sull’intera questione, del negoziato.

Ora il punto è capire perché questa leadership del PD continua a ignorare la variabile tecnologica come tema di battaglia politica e di rappresentanza di interessi sociali specifici. La segreteria Schlein non ha mai toccato il nodo dello scontro politico con i centri tecnologici globali, tenendosi sempre alla larga da commenti e tanto meno polemiche anche quando il Governo assumeva posizioni scopertamente subalterne ai potentati digitali.

In passato potevamo dire che le precedenti leadership del partito non avevano sensibilità e strumenti culturali, anche per evidenti limiti anagrafici, ma oggi che abbiamo un vertice cosi giovane e moderno non si comprende questa reticenza. Nelle settimane scorse è stata anche presentata una proposta di legge sull’intera questione dell’intelligenza artificiale, per altro completamente superata dal testo europeo, ma poi tutto è rimasto a mezz’aria. I promotori di quella legge si sono ben guardati dal confrontarsi con il mondo della ricerca e delle produzioni innovative, e non sono minimamente intervenuti in questi giorni di polemiche europee.

Siamo nel pieno di una trasformazione che vede interi settori, pensiamo alla sanità, all’informazione, alla pubblica amministrazione, attraversati da processi di automatizzazione delle mansioni sulla base di un uso spregiudicato e privatistico di una risorsa pubblica quale i dati, eppure non si registra un’iniziativa politica, e nemmeno sindacale bisogna dire, in cui si colga un elemento di attenzione e di sensibilità rispetto a una trasformazione sociale e politica, prima che tecnologica di meccanismi fondanti la nostra democrazia.

Non occorre essere ossessionati dal materialismo scientifico per ricordare un filosofo del XIX secolo che ammoniva i suoi compagni: il mulino ad acqua ha dato la società feudale, il mulino a vapore quella industriale. Oggi il nodo è: quale società darà il mulino digitale?

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