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Civitavecchia: contro l’energia fossile, per un porto bene comune

Pubblicato il 5 Aprile 2022
Ambiente, Capitalismo, Materiali, Scritti, Temi, Materiali

A Civitavecchia è un’assolata giornata di metà gennaio, il vento tira poco. Nel campo da basket risuonano i rimbalzi della palla sul cemento grigio, mentre dalla scuola elementare arrivano le voci eccitate degli studenti. Nella piazza antistante il Comune, alcune persone discutono, con la mascherina e distanziate. Tra loro, una donna dai capelli rossi e ricci tiene in mano una cartelletta gialla e una penna, chiedendo ai passanti di aggiungere una firma su un foglio.

Oltre a essere la responsabile nazionale energia del Forum ambientalista, Simona Ricotti è un membro del comitato Sole, il gruppo di attivisti che si è riunito nel gennaio dello scorso anno per consegnare 1700 firme al sindaco di Civitavecchia, Ernesto Tedesco. «La raccolta firme è stato un modo per fare sensibilizzazione sul territorio. Era l’unico modo che avevamo per parlare con la gente». La centrale termoelettrica di Torrevaldaliga Nord (Tvn), costruita a Civitavecchia da Enel negli anni Sessanta, è stata convertita all’uso del carbone nel 2008. Prima della pandemia, Enel aveva deciso di convertire nuovamente la produzione di Tvn, dal carbone al gas naturale. La raccolta firme, come altre iniziative sul territorio, aveva l’obiettivo di impedirlo, perché «il lavoro non può venire prima della salute», spiega Ricotti. Alla fine di febbraio scorso, Enel ha comunicato di aver messo un freno alla sua riconversione. Ad annunciarlo è stata Roberta Lombardi, assessora regionale alla Transizione Ecologica. Luciana Castellina, su Il Manifesto, all’indomani dello stesso annuncio, proveniente però da Nicola Zingaretti, si dice pronta intonare El Pueblo Unido per festeggiare questa vittoria. Questo, prima che Putin invadesse l’Ucraina e Mario Draghi decidesse di reagire riportando in auge il carbone, per liberarsi dalla dipendenza del gas russo.

Quando si entra nell’appartamento di Simona Ricotti si nota subito la scrivania piena di carte e, sul muro dietro al salotto, una decina di maschere tribali in legno. Racconta che è diventata un’attivista molto presto, quando aveva solo 12 anni. Rifondazione Comunista è stata la sua casa per molto tempo. Anche dopo l’uscita dal partito, non si è mai fermata. «Civitavecchia è al centro di un territorio inquinato prima di tutto nello spirito, nella cultura, nella politica. Tra noi attivisti diciamo sempre che prima ancora che la terra e l’aria, l’Enel ci ha inquinato le coscienze», ammette, mentre si accende un’altra sigaretta. Poi chiarisce: «Ma questo succede dovunque ci sia fame di lavoro e di sviluppo». Civitavecchia è il porto turistico al centro del più grande polo energetico dell’Alto Lazio. Ospita 3 centrali termoelettriche: Tvn, Torrevaldaliga Sud (Tvs), di proprietà della Tirreno Power, e quella di Montalto di Castro, distante circa 40 chilometri, sempre di proprietà dell’Enel. L’abbandono del carbone come combustibile, secondo il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), è fissato per il 2025. Nel piano viene anche stabilita la transizione energetica, basata su fonti fossili alternative. L’Enel aveva scelto il sistema delle turbine a ciclo aperto per la sua riconversione a gas. In pratica, funziona come una caldaia normale: il gas entra nel circuito e, bruciando, fa girare la turbina che produce corrente. Ricotti chiede però di fare attenzione alle parole: secondo la relazione tecnica presentata dall’Enel il 29 aprile 2019, «non si trattava di una riconversione, ma della costruzione di una nuova centrale, accanto a quella vecchia, che sarebbe poi stata messa “fuori servizio”, non si sa quando». Tirreno Power, che ha scelto il gas già nel 2004, a Tvs ha costruito una centrale con un impianto a ciclo combinato, due turbine da 1.200 MW complessivi. Nel novembre 2020 ha richiesto l’installazione di una nuova unità da 900 MW. Il 17 maggio 2021 ha deciso di abbandonare il progetto. “Troppe lungaggini burocratiche”, ha dichiarato l’azienda.

Come Ricotti, anche Riccardo Petrarolo, del movimento No Al Fossile Civitavecchia, ha una lunga storia di attivismo. Ha cominciato quando aveva 15 anni e ora ha da poco passato i 40. Mentre parliamo, il vento infuria sulla spiaggia e il mare è mosso. Il cielo si ingrigisce mentre Petrarolo spiega che «la staticità delle istituzioni locali ha portato alla monocoltura energetica a cui Civitavecchia è stata costretta». Un lato positivo, aggiunge, è che «in questi anni di lotte abbiamo ottenuto una cosa molto importante: la consapevolezza della crisi climatica». Il Covid-19 è stato certamente un ostacolo alla partecipazione, che Petrarolo descrive come «fondamentale, in grado di generare ricordi comuni e momenti di analisi collettiva». Senza la possibilità di manifestare, o fare assemblee pubbliche, sono stati persi appuntamenti importanti anche se, in questo periodo, le iniziative non sono mancate. È nato un nuovo livello di attivismo, «che fa rete in rete».

È proprio a una di queste iniziative che Petrarolo incontra Giada Sannino. Dopo una triennale in Scienze Forestali conseguita a Bologna, Sannino ha da poco terminato la specialistica a Viterbo. «Sono tornata a Civitavecchia a settembre 2020. Quasi per gioco, ho provato a coinvolgere quante più persone possibili in una pulizia volontaria della spiaggia di La Frasca», un tratto di costa a nord di Civitavecchia. Da lì, è nata l’esperienza di Verde libera tutti (Vlt), «un gruppo aperto a tutte e tutti e liberi da legami partitici». Sannino ritiene che a Civitavecchia le centrali non servano. Sa che le aziende ragionano in termini di profitto, contrariamente a quanto fa lei. «Negli ultimi tempi ci siamo avvicinati alle altre associazioni ambientaliste del territorio. Senza l’Enel, questo non sarebbe potuto succedere» osserva, quasi ridendo. «Bisogna trovare un’alternativa al più presto, perché qui la gente o scappa, o muore».

Il dottor Giovanni Ghirga si è occupato a lungo della mortalità a Civitavecchia. Di formazione pediatra, è referente locale dell’Associazione medici per l’ambiente (Isde), nonché esperto degli effetti del carbone sulla salute. I dati nel territorio di Civitavecchia parlano chiaro. La zona è al primo posto nel Lazio per mortalità causata da tumori di ogni tipo, ai polmoni, ai reni, all’intestino, ed è lo stesso Dipartimento epidemiologia e prevenzione (Dep) della Regione a specificarlo. «Queste malattie hanno un prezzo, un costo per la sanità pubblica» avverte Ghirga. «Secondo un calcolo dell’Unione Europea il prezzo assistenziale medio per caso di tumore è di circa 3 milioni di euro. Moltiplichiamolo per i costi delle malattie cardiovascolari, respiratorie, disturbi dello spettro autistico e, più in generale, del neurosviluppo. La spesa totale è enorme». Per Ghirga non è solo una questione economica, ma «di fronte alla decisione dell’Enel [di passare al gas, N.d.R], bisognava scendere al loro piano e parlare di soldi». Secondo lui, questo modello di sviluppo basato sulle fonti fossili non conviene alla popolazione. Parla anche nel dettaglio della pericolosità del gas per la salute pubblica e cita uno studio, comparso su Energy Fuels nel 2018, che denuncia la mancanza d’informazione a riguardo. Nello studio, è provato che nel gas naturale è presente un’alta concentrazione di metalli dannosi per la salute, così come in tutti i combustibili fossili. Per spiegare le ragioni dietro alla decisione dell’Enel di passare dal carbone al gas naturale, Riccardo Petrarolo parla del Capacity Market. Terna, il gestore della rete elettrica nazionale, si approvvigiona di energia mediante contratti a termine aggiudicati attraverso aste competitive. Per coprire le punte di carico in ogni area della rete, evitando così i blackout, le aziende si impegnano a mettere a disposizione l’energia sul “mercato della capacità” secondo la loro capacità di produrre, e non per la produzione effettiva. A ogni megawatt impegnato corrisponde un premio in denaro: circa 75.000 euro all’anno. Il primo governo Conte ha stanziato 10 miliardi in 10 anni per agevolare questo meccanismo.

Ma il mercato sta cambiando. La ricerca di fonti rinnovabili alternative a quelle fossili è sempre più diffusa. Angelo Moreno e Franco Padella sono due ricercatori che hanno passato la vita a lavorare sulle tecnologie per l’idrogeno verde. Entrambi provengono dall’Enea, l’ente pubblico di ricerca vigilato dal Ministero dello sviluppo economico (Mise). Padella e Moreno hanno sviluppato, insieme al comitato Sole, un progetto di riconversione del porto di Civitavecchia chiamato Porto bene comune. Inoltre, un progetto preliminare, Civitavecchia Light House, è stato proposto al Mise, tramite il bando europeo Horizon 2020. Grazie all’utilizzo dell’idrogeno verde, il porto potrebbe diventare il primo a zero emissioni del Mediterraneo. Moreno ha anche una carriera internazionale, è stato responsabile di molti progetti comunitari per lo sviluppo dell’idrogeno. All’estero è un punto di riferimento. Qui, faticano entrambi a far accettare l’idrogeno come alternativa percorribile e sono costretti a lavorare per militanza, da attivisti. Moreno è il più posato dei due, Padella è meno diplomatico. «Dal punto di vista tecnologico un modello di sviluppo basato sull’idrogeno è sicuramente possibile», afferma pensieroso, ormai un anno fa, Moreno. Anche loro parlavano del Capacity Market e di come, nel silenzio di tutti, la centrale a carbone di Civitavecchia abbia lavorato, negli ultimi anni, la metà di quello che avrebbe potuto. «È la stessa Enel a specificarlo, è assurdo» esclama Padella. «Il problema è politico, oltre che economico» ripetono come un mantra. Se ci si muovesse tutti verso l’energia pulita, si potrebbero trovare ingenti finanziamenti in Europa.

Roberto Bonomi, sindacalista di base dell’Usb all’Enel, ci tiene a precisare che «la questione delle centrali non è solo ambientale e di salute, è anche lavorativa». La sua contrarietà al progetto del gas derivava principalmente dalla bassa occupazione prevista nelle centrali a gas, al contrario della centrale a carbone che, ad oggi, impiega più di 700 persone. Inoltre, non è convinto che sia possibile sostituire tutta la potenza prodotta dalla centrale di Torrevaldaliga Nord solo con l’idrogeno verde. Stefania Pomante, segretaria della Cgil di Civitavecchia, ha dichiarato, intervistata da Il Manifesto, che «la Camera del lavoro è stato un punto di aggregazione e di convergenza fra le tante associazioni sul territorio. […] Ora vogliamo sfruttare una situazione storica senza precedenti: le fonti rinnovabili possono dare più lavoro e i fondi europei fanno superare la frattura fra lavoro e salute». «La notizia dello stop alla riconversione a gas della centrale Enel di Civitavecchia è un’ottima notizia per una comunità che da decenni subisce pesanti servitù per le numerose attività ad alto impatto ambientale, in un territorio legato storicamente al grande traffico navale del porto, al quale si sono aggiunte nel tempo le centrali termoelettriche, gli impianti di trattamento rifiuti e poli industriali altamente inquinanti. Un risultato per il quale ci battevamo da tempo». Così hanno scritto, in una nota, Marta Bonafoni, Gino De Paolis e Gianluca Quadrana, consiglieri della Lista Civica Zingaretti alla Regione Lazio. Zingaretti, intervistato in seguito, ha rincarato la dose: «Lo scenario che si apre oggi ci dà la possibilità di attivarci per costruire ulteriori nuove opportunità per trasformare quest’area della regione che vanta moltissime potenzialità, per lanciarla in un’economia basata sulla sostenibilità e sulla creazione di nuove opportunità di crescita per tutte e tutti”. Forse Zingaretti parla del progetto dell’eolico offshore, depositato al MITE e in fase di valutazione di impatto ambientale. Non parla sicuramente dell’idrogeno verde proposto da Padella e Moreno.

Cristiano Dionisi, direttore di Unindustria, il dipartimento di Confindustria per il comprensorio di Civitavecchia e Roma Nord, intervistato si è mostrato scettico: «Se avremo le garanzie che il progetto dell’idrogeno verde sarà fattibile, noi saremo pronti a cambiare idea. Ma secondo i nostri tecnici è pura ideologia. Magari tra dieci anni saremo in grado di basarci interamente sulle fonti rinnovabili. Per ora dobbiamo pensare alla transizione». A Civitavecchia ora, non si parla più di transizione. Le centrali a carbone hanno ricominciato a lavorare a pieno ritmo per effetto della strategia da guerra di Draghi e varie aziende sono state chiamate a partecipare. Molto probabilmente, il 2025 non sarà più l’anno dell’abbandono del carbone e questa, per i comitati e i cittadini e le cittadine del territorio, rappresenta la sconfitta più grande. Eppure, nessuno si è ancora arreso. Alla manifestazione cittadina del 26 febbraio contro il biodigestore da 122.000 tonnellate in progetto c’è stata una grande partecipazione. Il consiglio cittadino del 4 marzo ha aperto uno spiraglio legale per fermare l’iter di approvazione: inviare osservazioni tardive alla regione alla luce dei mutati equilibri geopolitici. A Civitavecchia, il mare è calmo e bagna pigramente la spiaggia. Le onde restituiscono frammenti di plastica. I ragazzi di Verde libera tutti si mettono in cerchio. Giada Sannino ragiona, sognante: «Questa è una città da cui scappano tutti, eppure ci ritroviamo sempre qui. Ha mille problemi, certo, ma quanto è bella Civitavecchia». Riccardo Petrarolo si chiede, viste le ambizioni e le proposte in campo, se la città «non avrebbe meritato bel altro supporto e ben altra considerazione da parte del Mite». E aggiunge: «Quanto tempo dovremo ancora perdere prima di voltare pagina una volta per tutte?».

IL PORTO

Civitavecchia è stata classificata da Transport&Environment al quarto posto in Italia per inquinamento navale. Il porto di Civitavecchia può contare su 26 moli operativi e 23 attracchi per yacht tra i 40 e i 100 metri, disposti su 17 chilometri di banchine. Le principali caratteristiche commerciali del porto sono il collegamento con la Sardegna, il rifornimento di combustibili liquidi per l’aeroporto di Fiumicino, per le centrali di Torrevaldaliga Nord e Sud e di Montalto di Castro. Le opere di potenziamento delle banchine e delle strutture di accoglienza dei passeggeri hanno permesso di registrare uno straordinario incremento di navi da crociera, passate dalle 50 unità del 1996 alle 500 del 2003, fino ai circa 2500 attracchi annui del 2019.

Il porto produce emissioni nocive. Settantasei navi stazionano per ben 5.466 ore all’anno, emettendo 22.293 chili di ossidi di zolfo, quasi 55 volte la quantità prodotta dalle 33.591 auto circolanti in città. A questi si aggiungono 500.326 chili di ossidi di azoto, pari a 381 volte la quantità emessa dai veicoli circolanti, e 8.898 chili di particolato materiale (PM10). Secondo i dati del Dipartimento epidemiologia e prevenzione (Dep) del Lazio, chi vive entro 500 metri dal perimetro del porto ha un rischio di mortalità per tumore al polmone del 31 per cento superiore alla media, con incrementi anche per altre malattie.

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