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E noi come stiamo?

A partire dalla vicenda della GKN, la capacità della lotta di classe di autorappresentarsi in chiave narrativa e artistica, riprendendosi la scena dopo anni in cui la politica e l’economia hanno cercato di metterla da parte. La rivendicazione della sua attualità, anche, da parte delle correnti più radicali del pensiero femminista

«Il potere non è mai proprietà di un individuo; appartiene a un gruppo e continua a esistere soltanto finché il gruppo rimane unito»

Hannah Arendt1

E TU COME STAI? è il documentario diretto da Filippo Maria Gori e Lorenzo Enrico Gori (padre e figlio) con Collettivo di fabbrica – Lavoratori GKN Firenze2, titolo che sollecita il coinvolgimento di tutte le persone riguardo a situazioni che non ledono solo i diritti di coloro che ne sono direttamente coinvolte/i.

Il girato del documentario inizia dal 9 luglio 2021, quando lavoratrici e lavoratori della GKN Driveline Firenze, storica azienda del settore automotive3, scoprono che la loro fabbrica a Campi Bisenzio è stata chiusa senza nessun preavviso e, per contrastare la decisione della proprietà di delocalizzare l’attività, decidono di occupare il sito, organizzando un presidio per garantirne la sicurezza, mobilitando al grido di “Insorgiamo”, motto partigiano fiorentino, un intero territorio e collegandosi alle altre lotte presenti nel paese.

«Quando filmavamo i primi cortei, le assemblee e i comizi i lavoratori sembravano più interessati a conoscere come stavamo noi piuttosto che raccontare la propria condizione – dichiarano Filippo Maria Gori e Lorenzo Enrico Gori –, la priorità era sempre quella di connettere le esperienze personali con quelle degli altri, ed è per questo che dopo pochi giorni abbiamo deciso di avviare non solo una raccolta di materiali di ricerca e archivio, ma la realizzazione di un film documentario». Non era la prima volta che i Gori entravano in una fabbrica per documentare la contestazione dei lavoratori e delle lavoratrici vittime di licenziamenti, «ma già dalla prima intervista con Dario Salvetti (operaio e delegato Rsu) abbiamo capito che la lucidità e l’organizzazione del Collettivo di Fabbrica GKN, nonché la capacità di analisi dei lavoratori della loro situazione e del contesto economico e politico che l’aveva generata, erano non comuni. Anzi, erano decisamente straordinarie. Così abbiamo iniziato a documentare cosa stesse accadendo dentro (e attorno) lo storico stabilimento ex-Fiat di Campi Bisenzio».

Il documentario racconta la cronaca di una lotta ed è, nel contempo, strumento che trasforma una lotta di classe in documento storico. Vincenzo Vita, Presidente dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico/Aamod, commentandolo, dichiara:«Qui la lotta di resistenza diventa una sorta di autobiografia della nazione, di un’Italia zeppa di precariato e disoccupazione, ma ciò che rende davvero straordinario questo prodotto decisamente estraneo al mainstream è il rapporto stretto e sinergico tra l’occhio professionale di chi gira e l’occhio di chi è l’oggetto cosciente della narrazione».

Presso il presidio Gkn, dal 31 marzo al 2 aprile 2022, si è svolto anche il primo Festival italiano di letteratura working class sotto la direzione di Alberto Prunetti e con l’organizzazione di Edizioni Alegre, del Collettivo di fabbrica Gkn e la collaborazione di Arci Firenze, con l’obiettivo di «contribuire a creare un nuovo immaginario di classe e a dare il giusto peso culturale ad autori e autrici che hanno trattato temi come la provenienza e le ferite di classe, il lavoro oppresso e le sue lotte, gli infortuni professionali, l’orgoglio di essere nati in famiglie operaie. E al contempo sostenere concretamente la cassa di resistenza del Collettivo di Gkn».

In occasione di questo evento – primo in Italia, con solo un precedente a Bristol nel 2021 – il Collettivo Gkn conia lo slogan: la working class scrive la sua storia. Sulla pagina che lanciava l’iniziativa del Festival si legge: «A lungo liquidata come un’anticaglia del passato, negli ultimi anni la classe è tornata come categoria che attraversa la letteratura, dai memoir ai romanzi di fiction, intersecandosi con le tematiche di genere e razza. Nonostante questo l’editoria e la critica letteraria mainstream continua a non dare alle autrici e autori working class lo spazio e la dignità culturale che meritano. Ogni anno si parla delle persone che non comprano libri in Italia. Ma siamo sicuri che l’industria editoriale pubblichi libri in grado di parlare a queste persone facilmente denigrate come ignoranti? Noi crediamo che ci siano voci non ascoltate adeguatamente e persone con esigenze di lettura diverse da quelle presenti negli scaffali della grande distribuzione»4.

Lo stato delle cose: attualità della classe lavoratrice

Attualmente le politiche working class, dopo un periodo di progressivi miglioramenti, sono soggette a continue regressioni. La schiavitù, superata da anni, riaffiora sotto altre forme e, malgrado l’Italia stia diventando una società sempre più segregata per classi, le differenze tra classi sociali e l’impatto che l’estrazione sociale ha nella vita di tutti i giorni, solo in rarissimi casi, sono tenute in considerazione.

Dagli anni Ottanta, il ruolo delle classi sociali nella spiegazione della crescita delle disuguaglianze è stato oscurato, politica ed economia hanno scelto approcci che riconducono le differenze di reddito al livello di istruzione, alle abilità o alle mansioni di lavoratrici e lavoratori. L’esplosione e l’impatto della pandemia Covid-19, accentuato su alcune fasce della popolazione, avvalorano la centralità della dimensione di classe nell’analisi dei problemi socio-economici contemporanei, a partire proprio dai rischi legati a salute, reddito e stabilità occupazionale. Le persone, spesso, hanno quasi timore a confrontarsi sulla classe di appartenenza, parlarne e riconoscere di che parte si è. Del resto non ci sono state proposte di senso riguardo a una riorganizzazione della composizione sociale del nostro Paese, delle masse di lavoratrici e di lavoratori o di persone che cercavano un lavoro anche in forme diverse da quella della industrializzazione di massa. Scarsissimi sono gli sforzi per rappresentare sindacalmente e politicamente le derive del mondo del lavoro, la volontà di contrastare le nuove forme dello sfruttamento. Le convenienze dell’hic et nunc della sinistra italiana – ma anche europea – hanno sacrificato e sacrificano un serio impegno al cambiamento, limitandosi a reagire alle altrui iniziative.

Femminismo e classe lavoratrice

La questione di classe è oggetto di ricerca anche da parte del femminismo intersezionale. Bell hooks (1952-2021), pseudonimo di Gloria Jean Watkins, teorica femminista afroamericana, nel libro Da che parte stiamo. La classe conta5, afferma che la guerra di classe sarà il nostro destino, se non verrà affrontato il classismo, se non ci si occuperà con più attenzione del divario sempre maggiore tra chi ha e chi non ha.

Nel capitolo Femminismo e potere di classe, bell hooks sostiene che il pensiero femminista rivoluzionario ha sempre sollevato il problema del classismo tra le donne: «Fin dagli albori, si è aperta una contesa all’interno del movimento femminista tra un paradigma riformista di liberazione, che in sostanza domanda pari diritti per le donne all’interno dell’antagonismo di classe esistente, e dei modelli più radicali e/o rivoluzionari, che rivendicano un cambiamento strutturale per rimpiazzare i vecchi paradigmi con delle forme di reciprocità e uguaglianza. Proprio come la lotta militante per la liberazione nera che rivendicava la fine del classismo fu fatta passare per superflua quando le persone nere ottennero un più ampio accesso alle occupazioni lavorative, così il femminismo rivoluzionario fu liquidato dal femminismo riformista mainstream quando le donne, soprattutto bianche, ben istruite e privilegiate, iniziarono a ottenere parità di accesso al potere rispetto agli uomini nella stessa posizione di classe. Quando il movimento femminista contemporaneo iniziò a prendere piede, riuscì a catalizzare l’attenzione dei mass media soltanto per la presenza di donne privilegiate che si ribellavano contro la loro classe e la gerarchia patriarcale al suo interno»6.

Furono le teoriche femministe lesbiche le prime a sollevare il tema della classe nei gruppi di autocoscienza, mentre «le donne eterosessuali di sinistra e ben istruite che scrivevano di classe spesso si impelagavano in un gergo accademico che impediva loro di condividere il messaggio con le masse di donne ordinarie. All’inizio degli anni ’70 grazie ad antologie come Class and Feminism, a cura di Charlotte Bunch e Nancy Myron, furono pubblicati saggi a opera di donne di diversa provenienza di classe che si confrontavano sul tema del classismo nei loro collettivi femministi. Ciascun testo sottolineava il fatto che la classe non era una mera questione di soldi. In The Last Straw, la scrittrice Rita Mae Brown […] scrive: “La classe è molto più della definizione marxiana del rapporto con i mezzi di produzione. La classe comprende il tuo comportamento, i tuoi assunti di base, il modo in cui ti hanno insegnato a comportarti, le tue aspettative su di te e sugli altri, la tua idea di futuro, come interpreti i problemi e li risolvi, il tuo modo di pensare, di sentire, di agire”»7.

Queste donne furono le prime a rendersi conto che affrontare il problema della classe era imprescindibile se si voleva contrastare il patriarcato e questo andava fatto prendendo atto anche delle intersezioni tra classe e razza. Nell’arco della storia, più volte sono stati i piccoli gruppi, trascurando i rapporti di forza, a prendere l’iniziativa, credendo unicamente nella giustizia delle proprie azioni8.

Lea Melandri, giornalista e attivista e teorica del femminismo, scrive: «Questi movimenti mostrano, con la loro stessa esistenza, quello che è il difetto macroscopico del sistema, cioè l’impossibilità della sua estensione universale […]. Di conseguenza, si fanno più chiari anche i molti, diversi percorsi attraverso cui si manifestano segni di ribellione, dissenso, conflitto e resistenza: dalle frontiere interne della società ai confini interiori dell’individuo, dalla norma che interviene dall’esterno sulle nostre vite a quella che agisce, invisibile, come imperativo incorporato. Da questo orizzonte, che sposta i confini della politica spingendola fino alle radici dell’umano, si apre la prospettiva, sia pure a lungo termine, di movimenti multiformi, collegamenti insospettati, capacità creative che già il ’68 aveva fatto intuire, nel momento in cui aveva posto come elementi indisgiungibili del processo rivoluzionario: corpo, individuo e legame sociale»9. Se la sovranità verticale concentrata in alto potrà rifluire in basso, «nella massa positiva di micro-comunità interrelate»10, potrà essere grazie alla critica femminista e al suo saper avviare analisi con un punto di vista esterno che comprende tutte le possibili esistenze e che ha permesso ai nuovi movimenti sociali di imparare a riconoscere le relazioni di controllo e di dominio insite nel potere politico e a disconoscerle, destrutturarle.

Controtendenze di un’antropologia positiva

I periodici cicli di rivolta confermano l’esistenza di un’antropologia positiva, di un’insofferenza naturale nell’indole umana a ogni forma di costrizione e di ingiustizia. Di fronte all’espansione tecnologica e burocratica di amministrazioni e imprese e al potenziamento dispotico del profitto, dell’efficienza, della produttività, della redditività, dell’atomizzazione degli individui, la società civile sviluppa delle contro-tendenze: ci sono persone che resistono e si difendono. Bisogna mettere in conto che le istituzioni non sono l’unico luogo in cui viene orientata la vita delle società umane e che non racchiudono in assoluto l’insieme del processo sociale e politico. Come scrive lo storico della filosofia Angelo d’Orsi, «si può tentare di costruire un blocco sociale […] disegnando un programma politico, ai diversi livelli, solo sulla base di una discussione larga e partecipata: la democrazia prima di essere un ideale deve essere una pratica»11.

Note

1 On Violence, in Crises of the Republic. Lying in Politics, Civil Disobedience, On Violence, Thoughts on Politics and Revolution, New York, Harcourt Brace Jovanovich, 1972, trad. it. di Savino D’Amico: Sulla violenza, in Politica e menzogna, con un saggio di Paolo Flores d’Arcais: L’esistenzialismo libertario di Hannah Arendt, Milano, SugarCo Edizioni, 1985, p. 196.

2 Scrittura e montaggio di Filippo Maria Gori, fotografia di Filippo Maria Gori e Lorenzo Enrico Gori, produzione creativa di Luca Ricciardi, montaggio del suono di Beatrice Mele, mixaggio di Piero Fasoli, colore e titoli di Mauro Vicentini, traduzione LIS/italiano di Paola Castelletti, con la collaborazione alla ricerca di Marta Quilici, distribuito da OpenDDB (Distribuzioni dal Basso), produzione dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico e dell’Istituto Ernesto De Martino. Prima mondiale riservata al Festival dei Popoli 2022.

3 Il settore automotive, o industria automobilistica, riguarda la progettazione, la costruzione e la vendita dei veicoli motorizzati.

4 Tra le/gli ospiti del Festival, Cynthia Cruz, poetessa, filosofa e ricercatrice, nata a Berlino, cresciuta in California, residente a Brooklyn, ha presentato il libro Melanconia di classe, sottotitolo “Manifesto per la working class”, Atlantide Edizioni, in cui sostiene che è in atto un processo di rimozione della working class dalla percezione collettiva. Il risultato è una dimensione ambigua, da cui deriva una sensazione di perenne disagio, un senso di mancanza, appunto, una melanconia – né viva né morta, la working class esiste fra i mondi – tratto distintivo di intere generazioni. Uno stato psichico che l’autrice, utilizzando le parole di Sigmund Freud, definisce caratterizzato da «un umore depresso profondamente doloroso, da un venir meno dell’interesse per il mondo esterno, dalla perdita della capacità di amare, dall’inibizione di ogni attività e dallo svilimento del sentimento di sé, che si esprime in autorimproveri e autoinsulti e si intensifica fino a un’attesa delirante punizione».

5 Vedi nota precedente. Cfr. bell hooks, Da che parte stiamo. La classe conta, traduzione Marie Moïse, Tamu Edizioni, 2022, p. 18.

6 bell hooks, Da che parte stiamo…, cit., pp. 142-143.

7 Ivi, pp. 144-145.

8 Cfr. Movimenti, conflitti, democrazia, rappresentanza. La partecipazione oltre le organizzazioni novecentesche, contributo di Paolo Cacciari all’Università estiva dell’Associazione Attac Italia 2014, https://www.attac-italia.org/contributo-di-paolo-cacciari-all-universita-estiva-di-attac-2014/ [data di visualizzazione: 25 aprile 2023].

9 Lea Melandri, Chi ricomincerà a lottare? Quelli che sono “senza”, in «Liberazione», 13 agosto 2008, recensione al libro di Miguel Benasayag e Angélique Del Rey, Elogio del conflitto, Milano, Feltrinelli, 2007, http://www.universitadelledonne.it/lea13-8-08.htm [data di visualizzazione: 25 aprile 2023].

10 Marco Revelli, Finale di partito, Torino, Einaudi, 2013, p. 127.

11 Sinistra, la chance di una ripartenza, in «il manifesto», 8 settembre 2013.

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