L’ipotesi di una coalizione fra popolari e conservatori assomiglia sempre di più a una maionese impazzita e la strada immaginata nei colloqui romani fra il leader del PPE Manfred Weber e la leader dei Conservatori (e riformisti) Giorgia Meloni appare più impervia di quanto viene descritto sulla stampa italiana.

L’idea iniziale di Manfred Weber e Giorgia Meloni era di replicare a livello europeo le formule dei governi di centro-destra o meglio di destra-centro che sono ormai al potere in Italia, Svezia e Finlandia – aggiungendo la Polonia e la Repubblica Ceca con i soli conservatori al potere – e che potrebbero governare in Spagna dopo le elezioni anticipate del 23 luglio.

Facendo i conti senza l’oste, o meglio senza la Spitzenkandidatin, la coppia romana aveva immaginato una coalizione pre-elettorale europea guidata dall’attuale presidente maltese del Parlamento europeo Roberta Metsola ma i sondaggi assegnano per ora a questa molto ipotetica coalizione (PPE-ECR) poco più di 320 seggi e dunque ben al di sotto della maggioranza assoluta di 353 seggi.

Questa molto ipotetica coalizione metterebbe inoltre insieme partiti nazionali divisi da insanabili ostilità in casa come la Piattaforma Civica e il PiS in Polonia, la CSU e l’AFD in Baviera ma anche il PP e Vox in Spagna, per non parlare della conflittualità fra Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e il Rassemblement National di Marine Le Pen in Francia e della proclamata ostilità di Matteo Salvini a un accordo a livello europeo fra la Lega e il PPE, se al PPE e a ECR si volesse associare anche le Lega.

Il voto sul parziale accordo in materia di politica migratoria fra i ministri dell’Interno a Lussemburgo, che ha creato una frattura fra il Governo italiano da una parte e i governi polacco e ungherese dall’altra, ha messo in luce, inoltre, gli interessi contrapposti dei sovranisti su una questione molto sensibile come il controllo dei flussi dei richiedenti asilo.

La scelta di Roberta Metsola era legata anche al desiderio mai nascosto di Manfred Weber di liberarsi di Ursula von der Leyen, la quale nel 2019 aveva occupato la “sua” poltrona di Presidente della Commissione europea, che avrebbe dovuto essere assegnata a lui secondo il metodo degli Spitzenkandidaten.

Non consultata adeguatamente, Roberta Metsola ha declinato l’offerta della coppia romana dichiarando la sua indisponibilità ad accordi limitati al centro-destra – ma anche ad accordi con le sinistre – pensando a un secondo mandato alla presidenza del PPE dopo le elezioni del 2024 secondo il principio di Tito Livio “hic optime manebimus”.

Ursula von der Leyen è volata da parte sua a Berlino, dove ha ottenuto la disponibilità della CDU a sostenere il suo rinnovo alla presidenza della Commissione dopo le Europee, contando sulla benevolenza di Olaf Scholz e di Emmanuel Macron nel Consiglio europeo, a condizione naturalmente di non essere la Spitzenkandidatin del PPE.

Per raggiungere la maggioranza assoluta nel Parlamento europeo, lasciando cadere la “storica” grande coalizione fra PPE e S&D, con la stampella dei Liberali, PPE e ECR dovrebbero rinunciare alla alleanza con Identità e Democrazia (creando qualche complicazione in Italia fra la Lega e Fratelli d’Italia insieme al governo), mettere molta acqua nel vino sovranista dei conservatori e convincere Renew Europe a spostarsi dal centro verso destra consolidando l’alleanza in Francia fra En Marche e Les Républicains (ex-gollisti) che fanno ancora parte del PPE.

Si tratta di una maionese di centro-destra che rischia molto facilmente di impazzire, a meno che Fratelli d’Italia e la Lega accolgano l’invito molto interessato di Antonio Tajani ad abbandonare le loro rispettive famiglie europee per aderire al PPE, gettando alle ortiche il loro sovranismo e contando sulla disponibilità di tutta la famiglia dei popolari europei ad accoglierli, così come a metà degli anni ’90 Silvio Berlusconi fu accolto a braccia aperte da Helmut Kohl.

Vaste programme, avrebbe detto il Generale de Gaulle, che si scontra con il rigido sistema europeo dove il Presidente della Commissione e i suoi colleghi commissari sono scelti in una doppia decisione da tutti i governi nazionali a cui fanno capo quasi tutte le famiglie politiche europee e dalla maggioranza del Parlamento europeo, costringendo destra, centro e sinistra a trovare un’intesa all’inizio della legislatura, come fu a suo tempo la maggioranza “Ursula”, salvo dividersi poi durante la legislatura sul contenuto delle politiche con maggioranze a macchia di leopardo.

Se la strada di un accordo pre-elettorale di coalizione di centro-destra – secondo i modelli al governo in Italia, Svezia e Finlandia – appare molto complicata, quali potrebbero essere invece le prospettive di un accordo di centro-sinistra che escluda le forze politiche di destra sovraniste?

Alcuni segnali importanti di convergenza fra socialisti, verdi, liberali e una parte della sinistra sui temi dei diritti e della difesa dello Stato di diritto, delle politiche migratorie, della transizione ecologica e delle regole sull’intelligenza artificiale (big democracy), ma anche sul welfare, sono apparsi in questi ultimi mesi della legislatura e durante i lavori della Conferenza sul futuro dell’Europa. Così come è interessante il dibattito europeo che spacca in Francia gli ex-alleati della lista NUPES fra Verdi, una parte dei socialisti, il PCF e la France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon.

Per contrastare le velleità dell’accordo fra Manfred Weber e Giorgia Meloni gli eventuali alleati di centro-sinistra (S&D, Renew Europe, Verdi e la sinistra non sovranista) dovrebbero avviare una riflessione su cinque elementi a nostro avviso essenziali per consolidare un patto di legislatura:

  1. Abbandonare il metodo inevitabilmente divisivo degli Spitzenkandidaten che costringerebbe ogni famiglia politica a presentare un suo candidato e scegliere piuttosto la via di un candidato consensuale alla Presidenza della Commissione europea nelle riunioni dei leader socialisti, verdi e liberali che precedono i vertici del Consiglio europeo, riflettendo anche sull’ipotesi di una unificazione delle presidenze europee (Commissione e Consiglio europeo).
  2. Definire le priorità comuni per la prossima legislatura europea da sottoporre al Presidente scelto a maggioranza qualificata dal Consiglio europeo come condicio sine qua non per eleggerlo in assemblea (lo Stato di diritto, lo spazio di libertà e giustizia che metta al centro la persona collegando le politiche quotidiane con i valori comuni, il bilancio federale e i beni pubblici europei, la politica migratoria che accoglie e include, un piano Nord-Sud, la transizione ecologica e digitale, il welfare europeo, un nuovo trattato Helsinki-2 per la cooperazione e la sicurezza in Europa, il superamento del Trattato di Lisbona).
  3. Presentare alle elezioni europee candidati comuni come membri della futura Commissione europea ribadendo nel Consiglio europeo e nel Consiglio il sostegno al metodo delle liste transnazionali.
  4. Condividere il progetto del superamento – prima delle nuove adesioni all’Unione europea – del Trattato di Lisbona, firmato oltre quindici anni fa, proponendo di seguire il metodo democratico costituente al posto del metodo intergovernativo e ribadendo la centralità della collaborazione fra Parlamento europeo e parlamenti nazionali, anche attraverso la convocazione di “assise interparlamentari” come quelle che si svolsero a Roma nel novembre 1990 su suggerimento di François Mitterrand.
  5. Rilanciare l’idea presentata nelle Conferenza sul futuro dell’Europa di un referendum pan-europeo per la ratifica di un nuovo Trattato di natura costituzionale.

Così facendo si introdurrebbero nella campagna elettorale europea gli elementi di un vero dibattito e di una vera alternativa fra l’immobilismo sovranista e l’innovazione federalista.

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