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Caso Cospito. Le risposte ai quesiti del Ministero della Giustizia

Non può essere sottoscritta la posizione di autorità dello Stato che viola l’autonomia della persona detenuta e scioperante della fame. Preoccupa altresì l’eventualità che autorità statali, pur di far cessare tali proteste, decidano che la persona possa morire e che nessun intervento medico debba essere attuato contro la volontà del soggetto

Abbiamo lavorato in carcere come psichiatri per alcuni decenni e, dunque, ci siamo confrontati molte volte con il dilemma del trattamento sanitario delle persone in “sciopero della fame”. Abbiamo quindi seguito con inevitabile interesse i quesiti recentemente posti dal Ministero della Giustizia al Comitato Nazionale di Bioetica (CNB) e le risposte ai quesiti che sono state fornite1.

Prima di commentare la questione, ci preme sgombrare il campo da taluni equivoci. In questa sede, infatti, intendiamo esaminare unicamente la logica delle risposte del CNB. Non sta certo a chi scrive commentare la sostenibilità etica di tale risposte e, tantomeno, la loro tenuta sul piano giuridico (anche se, come vedremo, è stato proprio il CNB a citare la CEDU, che è un organismo giudiziario).

Vogliamo aggiungere, sempre per evitare equivoci, che in ambito penitenziario siamo entrambi conosciuti per esserci battuti contro ogni forma non solo di tortura, ma persino di violenza più o meno manifesta. Siamo da sempre stati contrari alla pena di morte e alle pene afflittive, persino a quelle che negano ai detenuti ogni speranza di una futura liberazione, specie dopo un ravvedimento.

Torniamo allora alla questione sulla quale si è espresso il CNB. Il Ministero della Giustizia, riassumendo, aveva chiesto al CNB di esprimersi sulla liceità etica della applicazione della l. 219/2017 (relativa alle Disposizioni Anticipate di Trattamento, DAT) nel caso di persona detenute in sciopero della fame, in particolare qualora le DAT del detenuto riguardassero la sua volontà di rifiutare in ogni caso e in ogni condizione trattamenti salvavita di nutrizione e idratazione artificiale.

Grazia Zuffa, membro del CNB e già senatrice del Partito Comunista-PDS, addirittura 20 giorni prima che il CNB esprimesse il suo parere ha commentato il “quesito del Ministro Nordio”, facendo queste osservazioni, peraltro del tutto opportune: «La richiesta di parere già predispone una tesi. In sostanza il detenuto in sciopero della fame non potrebbe avvalersi della legge 219, […] perché la rinuncia al trattamento salvavita sarebbe “subordinata al conseguimento di finalità estranee alla situazione clinica”, il che renderebbe “non-libera” la rinuncia stessa».

È del tutto evidente il riferimento del quesito del Ministero della Giustizia al ‘caso Cospito’. Un riferimento che viene chiaramente indicato anche nel Comunicato del CNB, che come sappiamo deve pronunciarsi unicamente su ‘casi generali’ e non su situazioni specifiche. Eppure, al di là della situazione specifica del ‘caso Cospito’, si capisce come il quesito abbia una enorme rilevanza per tutti i detenuti in sciopero della fame. Detenuti che con questo mezzo, mettendo a rischio la loro salute e la loro vita, reclamano dal sistema giuridico-penitenziario il godimento di loro supposti diritti (la liberazione perché ingiustamente detenuti, il godimento di benefici che vengono negati e così via).

La questione è dunque rilevantissima (da un punto di vista morale, giuridico e professionale) specie per i sanitari che debbono assistere il detenuto in sciopero della fame. Sanitari che si chiedono da sempre, e che chiedono all’apparato giudiziario: ‘Si può e si deve intervenire per salvare la vita al detenuto in sciopero della fame? Quando eventualmente si può e quando si deve?’.

Le DAT di cui alla l. 219/2017 è solitamente ritenuto che riguardino situazioni molto impegnative dal punto di vista della salute, in genere terminali o insopportabili per la persona.

Situazioni che tutti conosciamo, da Eluana Englaro in poi. Eppure, poiché non ci si può nascondere dietro un dito, le DAT riguardano anche ferme credenze di altro tipo, ad esempio religiose: resta un inalienabile diritto, per il Testimone di Geova, predisporre delle DAT per rifiutare trasfusioni di sangue o di siero anche nel caso che tali trasfusioni fossero l’unico mezzo per salvargli la vita. Nel bellissimo libro The Children Act2, Ian McEwan ci parla proprio di un simile caso. Ciascuno è libero di accettare o rifiutare i trattamenti medici, quando lo faccia con piena coscienza e volontà, e quando simili trattamenti non siano ritenuti dalla Stato indispensabili per il mantenimento della salute pubblica.

C’è allora da chiedersi: le DAT, espresse da un detenuto in sciopero della fame, sono sovrapponibili alle DAT espresse da malati colpiti da dolorose malattie inguaribili o da persone che, per le loro credenze personali, in piena coscienza e volontà rifiutano trattamenti che potrebbero salvare loro la vita (abbiamo detto dei Testimoni di Geova, ma lo stesso discorso vale, ad esempio, per i malati di cancro che rifiutano le chemioterapie o altri trattamenti medico-chirurgici).

Non sappiamo bene come funzioni il CNB. Immaginiamo, però, che un solo parere definitivo debba in ogni caso essere rilasciato su un quesito che venga posto. Non sappiamo se questo parere debba essere espresso attraverso una maggioranza assoluta o relativa dei membri del CNB. Sappiamo per certo di essere rimasti davvero stupiti di fronte alle risposte del CNB ai questi del Ministero della Giustizia. Siamo rimasti stupiti proprio perché, essendo state date risposte plurime radicalmente diverse l’una dall’altra, è come se una risposta non fosse stata data. Il CNB, infatti, si configura come un organo dello Stato che è tenuto a fornire una sorta di guidelines sulle questioni per le quali viene interpellato. Se a proposito di una questione il CNB si comporta come Ponzio Pilato o come la Sibilla (‘ibis redibis non morieris in bello’), l’utilità di tale Comitato si riduce quasi a zero. O meglio: se il CNB, di fronte a un quesito, si spacca in diversi fronti e ci segnala soltanto le posizioni di questi fronti, è del tutto evidente che la gente sia indotta a chiedersi se tali diverse posizioni siano una espressione interpretabile come proporzionale al generale sentimento etico. Gli uomini di legge, d’altronde, è inevitabile che si interroghino, come stanno facendo, sulla tenuta di tali difformi posizioni del CNB di fronte al corpus legislativo attuale del Paese (peraltro inserito in un contesto ordinamentale europeo). Il CNB, che – lo ripetiamo – è un organo ufficiale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha risposto dapprima ai quesiti del Ministero della Giustizia attraverso un Comunicato stampa ufficiale3 e “dieci riflessioni condivise” allegate al Comunicato.

Successivamente ha pubblicato le difformi e integrali “posizioni” (che ha indicate come “A”, “B” e “C”) attraverso le quali ha ritenuto di dover rispondere ai quesiti. Tre membri del CNB si sono astenuti dal rispondere. Qualche membro del CNB, come abbiamo visto, ha inoltre commentato il quesito del Ministero della Giustizia e ha persino anticipato, verso metà febbraio, una delle “posizioni” del CNB. Una cosa è certa: se le risposte definitive e dirimenti ai quesiti del Ministero della Giustizia fossero quelle espresse dalla maggioranza dei membri del CNB (“Posizione A”) avremmo almeno una certezza: dal punto di vista bioetico (seppure in assenza di un total consensus) gli esperti di bioetica avrebbero indicato una direzione, una guideline che non potrebbe essere ignorata in maniera disinvolta. Ma siamo certi che la linea indicata dalla “Posizione A” abbia una tenuta logica? Siamo certi che abbia una tenuta giuridica? Siamo certi che non confligga con altre pertinenti e cogenti guidelines?

È del tutto evidente che le questioni, indubbiamente rilevanti per i politici, per i giuristi e per la gente comune, sono rilevantissime per i sanitari. E’ per questo che noi le analizziamo e le commentiamo.

Partiamo da lontano in tale analisi. Anzi, non tanto da lontano, visto che lo United Kingdon è abbastanza vicino all’Italia. Sappiamo bene, invero, come si comportò il Governo inglese in occasione dei due scioperi della fame dei detenuti politici nord irlandesi dell’IRA, nel 1980 e nel 1981: dieci detenuti, che protestavano in questo modo, vennero lasciati morire. Una posizione, quella della Premier Margaret Thatcher, che, almeno secondo il CNB italiano, non sarebbe condivisa attualmente dall’Europa, visto che la CEDU, come troviamo scritto nel Comunicato, avrebbe sostenuto che “né le autorità penitenziarie, né i medici potranno limitarsi a contemplare passivamente la morte del detenuto che digiuna”4.

La CEDU, in realtà, non sembra avere tenuto sulla questione una posizione univoca e costante nell’arco degli anni. Tuttavia, nei giudizi espressi dalla CEDU, secondo il parere di chi scrive è possibile rinvenire una tendenziale e sorprendente conferma della liceità (almeno giuridica) dell’atteggiamento assunto dal Governo inglese nel caso degli scioperanti dell’IRA.

Nel caso di Horoz v. Turchia5, esaminato il ricorso promosso dal genitore di un prigioniero che era morto in seguito a uno sciopero della fame, i giudici della CEDU, pronunciandosi il 31 marzo 2009, trovarono che “le autorità [turche] avevano ampiamente soddisfatto il loro obbligo di proteggere l’integrità fisica del figlio del ricorrente, nello specifico attraverso la somministrazione di un adeguato trattamento medico, e che queste autorità non potevano essere criticate per avere accolto il suo chiaro rifiuto di permettere qualsivoglia intervento, anche quando lo stato di salute fosse tale da mettere in pericolo la vita”6. Una decisione, questa della CEDU, apparentemente non molto logica e poco comprensibile per chi scrive: i trattamenti medici sarebbero stati adeguati, ma lo scioperante della fame era morto; i trattamenti medici erano stati rifiutati dallo scioperante della fame e le autorità preposte alla sua cura (oltre che alla sua custodia) avrebbero fatto bene a rispettare questo rifiuto.

In un pronunciamento più recente, dell’8 giugno 2021, riguardante sempre la Turchia7, la CEDU, nel giudicare il ricorso inammissibile perché manifestamente viziato, ha espresso un parere analogo. I due ricorrenti avevano iniziato lo sciopero della fame per protestare contro la loro detenzione. Erano stati ricoverati in un ospedale, peraltro dedicato al trattamento di malati di Covid-19. Uno dei due ricorrenti era quindi stato rilasciato, mentre l’altro era morto. La CEDU, dopo avere esaminato gli atti, ha concluso che le misure terapeutiche adottate (vale a dire la decisione di non adottare misure di alimentazione e idratazione forzata) erano adeguate alla situazione. “In particolare, rispetto al caso specifico di detenuti che volontariamente mettono a rischio la loro vita, la Corte ha ribadito che fatti provocati da atti di pressione sulle autorità non potevano portare a una violazione della Convenzione, a condizione che tali autorità avessero debitamente esaminato e gestito la situazione. Questo, in particolare, nel caso in cui un detenuto in sciopero della fame abbia chiaramente rifiutato ogni intervento, anche quando il suo stato di salute metta a rischio la sua vita”8.

Ancora la CEDU, con una decisione del 20179, aveva dichiarato che l’Austria non aveva violato né l’art. 2 della Convenzione (Diritto alla vita), né l’art. 3 (Proibizione di trattamenti inumani e degradanti), nel caso di un uomo del Gambia che, detenuto in attesa di espulsione, aveva intrapreso uno sciopero della fame. L’uomo, il giorno della morte, era stato ricoverato in ospedale per le sue gravi condizioni di salute e per accertamenti, ma la sua idoneità alla detenzione era stata confermata.

Tornato in carcere, era stato posto in una cella di sicurezza che non conteneva un lavandino. Lo stesso giorno era morto per disidratazione, intervenuta in un soggetto la cui anemia falciforme non era stata riconosciuta durante gli accertamenti ospedalieri effettuati poche ore prima della morte10.

Ma la CEDU, con le sue decisioni, si è spinta oltre, ravvisando reiterate violazioni dell’art. 3 della Convenzione in occasione dell’alimentazione forzata di taluni detenuti in sciopero della fame.

Qui rammenteremo soltanto due sentenze della CEDU, del tutto analoghe anche se pronunciate a 17 anni di distanza l’una dall’altra11. Entrambe riguardano ricorsi promossi contro lo Stato dell’Ucraina.

I detenuti, in sciopero della fame per protesta, erano stati alimentati contro la loro volontà, con metodi coercitivi e per porre fine alla protesta, anche se non erano in pericolo di vita. In particolare, nella sentenza del 2005, la Corte osservò che «una misura che riveste una necessità terapeutica dal punto di vista dei principi consolidati della medicina non può, in linea di principio, essere considerata disumana e degradante. Lo stesso si può dire dell’alimentazione forzata che ha lo scopo di salvare la vita di un particolare detenuto che rifiuta consapevolmente di assumere cibo. La [Corte] deve tuttavia accertare che sia dimostrato in modo convincente che la necessità medica esista. […] [La Corte], quindi, deve accertare che siano rispettate le garanzie procedurali per la decisione dell’alimentazione forzata. Inoltre, il modo in cui il richiedente viene sottoposto ad alimentazione forzata durante lo sciopero della fame, non deve oltrepassare la soglia di un livello minimo di severità previsto dalla giurisprudenza della Corte ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione [europea] [sui diritti dell’uomo], che vieta torture e trattamenti inumani o degradanti. …” (§§ 94-95 del giudizio).

Chi scrive non riesce a trovare un costante filo logico che guidi queste decisioni della CEDU. Di certo, però, non ci pare che le suddette decisioni della CEDU possano indurci a concludere, come ha fatto il CNB italiano, che la Corte europea indichi con chiarezza che “né le autorità penitenziarie, né i medici potranno limitarsi a contemplare passivamente la morte del detenuto che digiuna”12. A noi sembra invece che la CEDU sostenga con chiarezza, attraverso le sue decisioni, che ogni forma di assistenza medica debba essere garantita ai prigionieri in sciopero della fame, ogni forma di sostegno debba essere fornita anche al fine di dissuadere i prigionieri da quella protesta che mette in pericolo la loro vita, ma che in ogni caso vada fermamente rispettato il rifiuto del prigioniero di essere sottoposto ad alimentazione e idratazione forzata, quando questo rifiuto sia espresso in piena coscienza e volontà.

Arriviamo allora alla recente “Risposta” del CNB italiano, che contiene però, come abbiamo detto, tre diverse e non conciliabili “Posizioni”.

Quasi per mitigare la non conciliabilità delle tre “posizioni”, il CNB ha invece premesso della “riflessioni condivise”. Gli elementi essenziali delle “riflessioni condivise”, che a tutta prima appaiono largamente condivisibili, sono i seguenti e li elencheremo così come li ha espressi il CNB:

  • “[…] qualsiasi detenuto può non solo esprimere assenso o dissenso ai trattamenti diagnostici o sanitari che lo riguardano, ma può anche, in previsione di una futura eventuale incapacità di autodeterminarsi, efficacemente redigere le DAT […]”;
  • “lo sciopero della fame “[…] esprime […] una libertà morale del soggetto, che rappresenta quel «residuo tanto più prezioso, in quanto costituisce l’ultimo ambito nel quale può espandersi la sua personalità individuale» (sentenza della Corte costituzionale n. 349 del 1993). Questa libertà va sempre pienamente rispettata, in particolare quando provenga da un soggetto che, fortemente limitato dal regime di detenzione cui è sottoposto, individui nello sciopero della fame, in mancanza di altri mezzi, una forma estrema di comunicazione, mettendo anche a rischio la propria vita”;
  • “[…] lo Stato non ha il diritto di limitare con misure coercitive lo sciopero della fame […]. Pertanto, non sono ammissibili trattamenti diretti a favorire il benessere fisico del detenuto che si traducano in costrizioni violente”;
  • “[…] chi adotta questa forma di protesta si trova in una situazione differente da quella del malato che rinuncia a terapie salvavita. […] Emerge anche la differenza che esiste tra la situazione di colui che cerca la morte per se stessa e la situazione, diversa, di colui che pone in essere una forma di protesta rischiosa, in cui la morte non è il fine ricercato per se stesso, ma è solo una conseguenza possibile, eventualmente accettata13”.

C’è però, nell’Allegato del CNB, una ultima “riflessione condivisa”, la n. 10, che suscita notevole perplessità: intanto è estremamente contradditoria e poi, in essa, i membri del CNB mostrano di non sapere e di non volere dare una risposta unitaria alla domanda centrale contenuta nei quesiti del Ministero. La domanda centrale è infatti questa: “Qualora il detenuto in sciopero della fame perdesse conoscenza o si trovasse in una condizione cerebrale/mentale che gli precludesse ogni possibilità di decidere responsabilmente, se avesse rifiutato attraverso delle DAT il suo rifiuto dell’alimentazione/idratazioneforzata, le istituzioni sanitarie/giudiziarie/penitenziarie potrebbero alimentarlo/idratarlo contro la sua espressa volontà? Leggiamo infatti la “riflessione condivisa” n. 10.

  • “Con il rispetto del rifiuto di alimentarsi devono essere naturalmente garantite a chi ha scelto questa forma di protesta/testimonianza, sempre previo consenso da parte sua, l’assistenza appropriata e le terapie idonee a curare gli scompensi organici e le patologie che dovessero insorgere. L’indicazione di ciò che è doveroso fare nel momento in cui un detenuto in sciopero della fame dovesse perdere conoscenza o sopravvenisse un imminente pericolo di vita senza poter esprimere decisioni consapevoli si presenta come il problema più delicato e complesso”14.

Vedremo infatti che, al “problema più delicato e complesso”, all’interno del Comitato di risposte ne sono state date tre. Il CNB le ha chiamate “posizioni”.

Nella “Posizione A” si è riconosciuta la larga maggioranza dei membri del CNB (19 identificabili subito, più uno che “ha preferito non pubblicare la propria identità” ma che dovrebbe essere facilmente identificabile visto che tutti gli altri membri l’hanno pubblicata). I membri del CNB che si sono riconosciuti nella Posizione A hanno fornito le seguenti risposte:

“1.Sul piano etico è possibile sostenere che il medico non è esonerato, nel caso di imminente pericolo di vita e quando il detenuto non sia in grado di esprimere la sua volontà attuale, dal porre in essere tutti gli interventi atti a salvare la vita.

“2.Il rifiuto e la rinuncia a trattamenti sanitari, espressi tramite DAT, ove siano subordinati all’ottenimento di beni o alla realizzazione di comportamenti altrui, non possono considerarsi validi, in quanto utilizzati al di fuori della ratio della legge di riferimento. In questo senso, qualora venissero redatte, il medico sarebbe legittimato a disattenderle in quanto indebitamente condizionate e, dunque, «palesemente incongrue» (art. 4, comma 5, Legge n. 219/2017).

“3.La sentenza della Corte Costituzionale n. 242 non ha introdotto alcun diritto a ottenere l’assistenza al suicidio da parte delle strutture pubbliche del Servizio Sanitario Nazionale, avendo subordinato la non punibilità dell’aiuto al suicidio alle condizioni espressamente indicate […]15”.

Tutto il ragionamento su cui si basano le risposte ai quesiti dei membri del CNB che si riconoscono nella “Posizione A” ruota dunque, come si capisce perfettamente, attorno alla mancanza di alcuna validità della DAT rilasciata dal detenuto in sciopero della fame e relativa al rifiuto dell’alimentazione forzata in ogni condizione psicofisica e in ogni momento, anche qualora il detenuto fosse incosciente e in pericolo di vita. Secondo i membri della “Posizione A” non solo l’OMS avrebbe espresso analoga opinione, ma anche la CEDU, nella recente sentenza Yakovlyev v. Ukraine appena pubblicata (l’8 marzo 2023) e da noi citata. Solo che l’OMS, come vedremo tra poco, ormai da anni, e persino nella recente Dichiarazione di Malta del 2022, ha preso una posizione molto netta a proposito dello sciopero della fama delle persone detenute, una posizione che disconferma radicalmente, anche a proposito delle DAT, le risposte date dai membri della CNB della “Posizione A”. E la CEDU, come abbiamo ampiamente documentato, anche nella recente sentenza del dicembre 2022 ha sostenuto che sì, è vero, le autorità penitenziarie e i medici non possono limitarsi a “contemplare passivamente la morte del detenuto digiunante”, ma ha ribadito che i medici e dette autorità, dopo avere verificato la capacità del detenuto di esprimere un fermo, chiaro e consapevole rifiuto dell’alimentazione (escludendo patologie mentali e influenze esterne), dopo avere cercato in ogni modo di instaurare con lo scioperante un dialogo e un rapporto al fine di dissuaderlo dai suoi propositi, dopo avere informato il detenuto delle conseguenze anche fatali dello sciopero della fame, non potrebbero che ritrarsi di fronte alla ferma volontà del soggetto di rifiutare alimenti e cure. Noi allora non comprendiamo quale tenuta logica (e tantomeno giuridica) possano avere le argomentazioni espresse dal CNB nella “Posizione A”, argomentazioni nelle quali si travisano addirittura, ribaltandole, le indicazioni dell’OMS e della CEDU.

Una minoranza dei membri del CNB (9 membri) ha redatto/sottoscritto le considerazioni espresse nella “Posizione B”. Anche tre autorevoli sanitari, delegati ufficialmente da istituzioni sanitarie pubbliche, hanno manifestato la loro adesione alle considerazioni e alle risposte ai quesiti fornite attraverso tale “Posizione B”. I membri della CNB che si sono riconosciuti nella “Posizione B” sono giunti a queste sintetiche “Conclusioni”, che forniscono una risposta a tutti i quattro quesiti del Ministero della Giustizia:

“Il diritto inviolabile di vivere tutte le fasi della propria esistenza senza subire trattamenti sanitari contro la propria volontà – derivazione logica del diritto all’intangibilità della sfera corporea di ogni essere umano – costituisce un principio costituzionale fondamentale del nostro ordinamento.

“Non vi sono motivi giuridicamente e bioeticamente fondati che consentano la non applicazione della legge n. 219 del 2017 («Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento») nei confronti della persona detenuta e, per le ragioni che si sono esposte, ciò vale anche se questa ha intrapreso uno sciopero della fame”16.

A parere di chi scrive una simile Posizione, che tende a preservare i diritti giuridici (anche costituzionali) della persona, prescindendo dallo stato di detenzione in cui si trova e delle finalità del rifiuto dell’alimentazione, appare quella certamente più argomentata da un punto di vista logico e anche più rispettosa delle norme che regolano le DAT, qualora tali DAT siano state fornite da un soggetto la cui capacità di intendere e di volere sia stata adeguatamente valutata, da diversi sanitari, fra i quali, magari, almeno uno che sia indipendente e di fiducia dello scioperante. E anche qualora la persona che ha espresso tali DAT l’abbia fatto in assenza di qualsivoglia condizionamento esterno.

È poi assolutamente indiscutibile che tale “Posizione B” si collochi sullo stesso versante delle indicazioni che, come abbiamo visto, sono delineate dalle molteplici decisioni giudiziarie della CEDU e delle pertinenti linee di orientamento che, come vedremo, sono state fornite dall’OMS.

Almeno dal punto di vista dei principi bioetici cui si rifanno i membri del CNB che hanno espresso la “Posizione B”, qualora fossero stati rispettati tutti i diritti di assistenza e di informazione dello scioperante della fame, decisioni come quelle della Premier Margaret Thatcher con i prigionieri dell’IRA, o come quella delle autorità austriache nei confronti del detenuto ghanese in attesa di espulsione, non potrebbero e non dovrebbero essere criticate.

La “Posizione C”, infine, anche se sottoscritta da soli 2 membri del CNB, contiene anch’essa argomentazioni logiche e condivisibili, anche se porta a conclusioni davvero difficili da praticare nell’attuale contesto normativo nazionale e internazionale. Riassumiamo le conclusioni cui giungono i 2 membri della Posizione C con le parole usate nello stesso Comunicato Stampa del Comitato.

Questi due membri “[…] pur privilegiando [… la] posizione [B di minoranza dei 9] per quanto riguarda l’interpretazione dell’ordinamento vigente e l’applicabilità delle DAT, ritengono che un diverso bilanciamento dei principi in gioco non sia da escludere, anche guardando all’esperienza di altri Paesi. Considerano tuttavia che un intervento del legislatore sia la via obbligata, comunque stretta per vincoli e giurisprudenza costituzionali. Sottolineano inoltre la necessità di offrire un esplicito e chiaro riferimento normativo a chi si troverà a prendere queste decisioni, a partire dai medici”17.

Nelle argomentazioni della “Posizione C” si evidenzia che, qualora si giudicasse intangibile il diritto del soggetto, anche se detenuto, a fornire disposizioni (magari anticipate) sulle sue cure e i suoi trattamenti, diventerebbe “difficile evitare la conclusione fissata nel testo del Department of Health inglese pubblicato nel 2002 e intitolato Seeking Consent: Working with People in Prison: l’amministrazione carceraria non ha il potere di imporre l’alimentazione forzata ai detenuti che rifiutano il cibo e questi ultimi possono sottoscrivere una direttiva anticipata per garantire il rispetto della loro volontà anche nel momento in cui non fossero più in grado di ribadirla18”.

I membri della “Posizione C”, d’altro canto, fanno presente che, per i detenuti in sciopero della fame ci si trova in una “[…] situazione nella quale lo Stato è posto di fronte all’alternativa fra modificare una decisione legittima che non è stata annullata per via giuridica e assistere passivamente alla morte di persone che sono affidate alla sua custodia: da una parte il diritto all’autodeterminazione dell’individuo senza ingerenza alcuna, fino al limite estremo di causare la propria morte; dall’altra il diritto-dovere dell’amministrazione penitenziaria di vegliare sulla vita e la salute dei detenuti, delle quali è responsabile19”. I membri del CNB della “Posizione C” fanno ad esempio presente che in una sentenza del Tribunal Constitutional de España20 la “priorità viene assegnata al secondo principio, ma appunto in termini di bilanciamento e dunque a prescindere dalla validità di uno strumento come le DAT”21. E’ del tutto evidente che la posizione del tribunale costituzionale spagnolo si sovrappone a quella dello Stato dell’Ucraina, che anche di recente è intervenuto alimentando, coattivamente e molto precocemente, dei prigionieri in sciopero della fame. Però, come abbiamo visto, la CEDU ha giudicato illegittima sotto diversi profili la posizione dell’Ucraina.

I due membri della “Posizione C” si rendono peraltro conto di come sia del tutto illogico (oltre che ipocrita ed estremamente pericoloso per la salute e la vita dei prigionieri) attendere che gli scioperanti della fame perdano coscienza o siano in pericolo di vita per procedere alla alimentazione/idratazione contro la loro volontà. Se questa volontà deve essere forzata per un interesse superiore delle istituzioni, che debbono fra l’altro tutelare la vita e la salute dei prigionieri, non si capisce perché non provvedere, prima che la vita e la salute del prigioniero corrano dei pericoli, attraverso una coazione che sia quanto più gentile e rispettosa possibile. È in ogni caso evidente che la “via obbligata” di un intervento legislativo ad hoc resta molto “stretta”, come sottolineato dagli stessi membri della “Posizione C”, che hanno infine segnalato, come dicevamo, la necessità di fare uscire da questo stallo le istituzioni, soprattutto quelle mediche che dovranno decidere se assecondare o meno le indicazioni che potrebbero essere fornite dall’apparato giudiziario/penitenziario.

Alcuni medici infatti, insieme a giuristi di fama ed esperti di bioetica, hanno redatto e sottoscritto un documento nel quale esprimono dei motivati e logici pareri sui punti in discussione22.

Attenendosi alla legislazione vigente infatti, oltre che a specifiche Dichiarazioni23 e Guidelines24, questi sanitari, giuristi ed esperti sottolineano come sia assolutamente indispensabile, per i medici, assecondare la volontà dei prigionieri in sciopero della fame, quando questa volontà sia espressa in modo chiaro, consapevole, responsabile e al di là di ogni possibile condizionamento esterno. Nella Dichiarazione di Malta, ad esempio, viene messo in evidenza come i medici debbano “rispettare l’autonomia degli individui”, aggiungendo che “questo può comportare difficili valutazioni, poiché le vere volontà degli scioperanti della fame potrebbero non essere così chiare come appaiono.

Qualsiasi decisione è priva di forza morale se presa a causa di minacce, pressione dei compagni o coercizione. Gli scioperanti della fame non dovrebbero ricevere in maniera coatta trattamenti che rifiutano. È ingiustificabile [per i medici] applicare, istruire o fornire assistenza per l’alimentazione forzata contraria al rifiuto informato e volontario [espresso dello scioperante della fame]”.

Nella Dichiarazione di Tokyo25 fra l’altro, sempre al punto 8 che abbiamo già citato, si trova scritto che, la capacità del prigioniero scioperante della fame di esprimere con piena capacità di intendere e di volere il suo rifiuto del cibo, dovrebbe essere valutata anche da un altro medico indipendente. Allo scioperante della fame, inoltre, devono essere spiegate in maniera dettagliata le conseguenze del suo rifiuto del cibo.

È del tutto pacifico, dunque, che qualora un detenuto scioperante della fame esprima in maniera chiara, consapevole e non condizionata (attraverso le DAT, attraverso una Pianificazione Condivisa delle Cure (PCC) ovvero attraverso documentabili e incontestabili dichiarazioni) il suo preciso rifiuto delle cure anche qualora lo sciopero della fame lo riducesse in uno stato di incoscienza, i medici non potranno effettuare trattamenti (nemmeno quelli salvavita) contrari alla volontà del soggetto. Sebbene questo porti inevitabilmente alla morte.

Certo il medico non potrà esimersi dall’assistere il detenuto scioperante della fame anche durante le fasi avanzate del deperimento conseguente allo sciopero della fame, persino durante l’eventuale fase di incoscienza che potrebbe preludere alla morte. Se un medico non se la sentisse di garantire questa assistenza (che potremmo definire passiva) ha la facoltà di chiedere di essere sostituito da un altro medico capace di fronteggiare questa situazione. È del tutto evidente, fra l’altro, che questa assistenza sanitaria allo scioperante della fame defedato e magari incosciente, assume connotati del tutto particolari all’interno di quella che, purtroppo anche in questo caso, deve essere definita Medical Assistence in Dying (MAiD), pur trattandosi di una assistenza passiva.

Questi autori devono in ogni caso dichiarare il loro sconcerto. Se è vero che non può essere sottoscritta la posizione di autorità dello Stato che viola l’autonomia della persona, ancorché detenuta e scioperante della fame, sottoponendolo coattivamente e con la forza all’alimentazione forzata pur di far cessare quella sua forma di protesta, è altrettanto difficile non provare un grande disorientamento nei confronti di autorità statali che, pur di far cessare analoghe proteste di uno scioperante della fame, decidano che la persona possa morire e che nessun intervento medico debba essere attuato contro la volontà del soggetto.

Il bilanciamento fra i diversi interessi occorre che sia sempre commisurato ai motivi della “protesta” dello scioperante della fame. È del tutto ovvio che le istituzioni dello stato, pur manifestando una grande attenzione e un debito rispetto per tutte le esigenze (anche sanitarie) dello scioperante, non possono in alcun modo cedere alla palese pressione, soprattutto morale, contenuta in quella forma di protesta estrema. Lo sanno bene coloro che lavorano in carcere. Quante volte, nella nostra lunga esperienza di cura all’interno dei penitenziari, abbiamo verificato la posizione dei giudici e dei pubblici ministeri in simili circostanze: “Abbiamo grande interesse per le ragioni della protesta, ma non presteremo ascolto allo scioperante della fame se non quando tornerà ad alimentarsi”.

Un sanitario, un giudice, un direttore o un operatore penitenziario, per non subire inevitabili contraccolpi esistenziali e professionali, è decisivo che si interroghino anche sul valore morale di certe proteste. Sono gli stessi due membri del CNB della “Posizione C” a segnalare il grande rispetto che meritano coloro che, come i monaci buddisti o come Jan Palach, rifiutano consapevolmente la vita pur di non sacrificare la loro libertà, della quale ritengono di essere stati ingiustamente privati.

Come ci comporteremmo, ad esempio, di fronte allo sciopero della fame di una persona che, detenuta in uno dei numerosi bracci della morte sparsi in ogni parte del mondo, segnala con la sua protesta una condanna e un’esecuzione che ritiene ingiustamente comminate? Sarebbe sempre opportuno che le istituzioni dello Stato valutassero con grande misura non solo chi sta mettendo in atto una forma così estrema e pericolosa di protesta, ma anche le ragioni per le quali lo sta facendo. Shamash, Dio della Giustizia delle antiche popolazioni mesopotamiche, veniva raffigurato mentre teneva in mano un righello e una corda. Grande sensibilità simbolica quella dei nostri antenati mesopotamici: gli strumenti della coazione e della punizione sono anche quelli della misura e della buona distanza dei legami. Non c’è alcuna misura nel giudice che priva una persona della vita. Non c’è alcuna misura nel privare gli uomini della speranza di liberarsi dai dolorosi lacci costituiti dai loro crimini e dai lacci che a tali crimini sono conseguiti.

Pochi giorni or sono, sul JAMA, una dottoressa di Boston, raccontando di tutt’altre esperienze personali e professionali, ha indicato il dovere che i sanitari hanno di lasciare a tutti la possibilità, seppure in circostanze difficilissime, di “cullare la speranza”26. Siamo contenti di essere cresciuti in ambiti sociali e familiari nei quali ci è stato segnalato, costantemente, il valore della speranza e del rispetto della vita. Anche della speranza e della vita di coloro che hanno tolto agli altri le speranze e la vita.

*Psichiatri psicoanalisti, esperti di Salute mentale applicata al Diritto.

Note

1 Comitato Nazionale per la Bioetica (2023a), Risposta. Quesiti del Ministero della Giustizia 6 febbraio 2023, 6 marzo 2023, https://bioetica.governo.it/media/4802/risposta-a-ministero-giustizia.pdf

2 McEwan I., The Children Act, Random UK 2015. Trad. It. La ballata di Adam Henry, Einaudi 2016.

3 Comitato Nazionale per la Bioetica (2023b), Comunicato stampa CNB n. 2/2023 del 6 marzo 2023, https://bioetica.governo.it/media/4800/comunicato-stampa-n-2-2023-con-allegato.pdf

4 CNB (2023b), cit. Si veda anche CNB (2023a) cit, p. 5.

5 CEDU, Horoz c.Turquie. 30 giugno 2009, https://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-91988

6 CEDU, Factsheet – Hunger Strike in Detention, Dec 2022. Caso Horoz v. Turkey. “The Court therefore found that the authorities had amply satisfied their obligation to protect the applicant’s son’s physical integrity, specifically through the administration of appropriate medical treatment, and that they could not be criticised for having accepted his clear refusal to allow any intervention, even though his state of health had been lifethreatening”.

https://www.echr.coe.int/documents/fs_hunger_strikes_detention_eng.pdf

7 CEDU, Ünsal and Timtik v. Turkey, 8 giugno 2021, https://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-211047

8 CEDU, Factsheet – Hunger Strike in Detention, Dec 2022, cit. Caso Ünsal and Timtik v. Turkey. “The Court declared the application inadmissible as being manifestly ill-founded. Making an overall assessment of the relevant facts on the basis of the evidence adduced before it, it concluded that this was not a situation in which the necessary medical care or treatment of the detainees required measures other than those adopted. In particular, with regard to the specific case of detainees who voluntarily put their lives at risk, the Court reiterated that facts prompted by acts of pressure on the authorities could not lead to a violation of the Convention, provided that those authorities had duly examined and managed the situation. This was the case in particular where a detainee on hunger strike clearly refused any intervention, even though his state of health would threaten his life”.

9 CEDU, Ceesay c. Autriche, Note d’information sur la jurisprudence de la Cour, Novembre 2017, https://hudoc.echr.coe.int/fre?i=002-11905

10 CEDU, Factsheet – Hunger Strike in Detention, Dec 2022, cit. Caso Ceesay c. Autriche.

11 CEDU, Nevmerzhitsky v. Ukraine, 177, del 5.04.2005, https://hudoc.echr.coe.int/eng?i=003-1306808-1363018; CEDU, Yakovlyev v. Ukraine, 42010/18, dell’8 Dec 2022 (Final 08 mar 2023), https://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-221265

12 Ibidem.

13 Comitato Nazionale per la Bioetica (2023a), cit., p. 3

14 Ibidem. La sottolineatura è di questi autori.

15 Ivi, p. 8.

16 Ivi, p. 13.

17 CNB (2023b). La sottolineatura è di questi autori.

18 CNB (2023 a), cit., p. 14. La parte del citato documento dello UK Department of Health del 2022 che riguarda le questioni di cui ci stiamo occupando è quella trattata al punto 6 (Self-harm and food refusal). UK Department of Health, Seeking Consent: Working with People in Prison, 2002, https://bulger.co.uk/prison/seekingconsentinprison.pdf

19 CNB (2023a), cit., p. 14 e 15.

20 Tribunal Constitutional de España, Sentencia 120/1990, de 27 de junio, https://hj.tribunalconstitucional.es/esES/Resolucion/Show/1545#:~:text=Los%20poderes%20p%C3%BAblicos%20est%C3%A1n%20obligados,24.1%20C.E

21 CNB (2023a), cit., p. 15.

22 Busatta L. et al, Sciopero della fame. I diritti della persona detenuta che rifiuta di alimentarsi e doveri di protezione, Quotidiano Sanità del 22 febbraio 2023, https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=111285

23 World Medical Association (WMA), Declaration of Malta on Hunger Strike, Revision of 5th dec 2022, https://www.wma.net/policies-post/wma-declaration-of-malta-on-hungerstrikers/ #:~:text=Hunger%20strikers%20should%20not%20forcibly,implied%20consent%20is%20ethically%20acceptable

24 WMA, Declaration of Tokyo – Guidelines for physicians concerning torture and other cruel, inhuman or degrading treatment or punishment in relation to detention and imprisonment, Revision 6th September 2022. In particolare, al punto 8 di tale Dichiarazione/Guideline troviamo scritto: “Where a prisoner refuses nourishment and is considered by the physician as capable of forming an unimpaired and rational judgment concerning the consequences of such a voluntary refusal of nourishment, he or she shall not be fed artificially, as stated in WMA Declaration of Malta on Hunger Strikers. The decision as to the capacity of the prisoner to form such an [unimpaired and rational] judgment should be confirmed by at least one other independent physician. The consequences of the refusal of nourishment shall be explained by the physician to the prisoner”.

25 WMA, Declaration of Tokyo, 2022. Cit. In particolare, il punto 8 riportato nella precedente nota a piè di pagina.

26 McKeon Olson R., Cradling Hope, JAMA, February 23, 2023, doi:10.1001/jama.2023.046

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