Articolo pubblicato su “il manifesto” del 05.06.2022.

L’incedere drammatico della guerra ed il comportamento dei vari attori in campo ha portato molti a parlare di “eterogenesi dei fini” con una Russia convergente sugli obiettivi degli USA, sia pure nella catastrofica dinamica di azione e reazione. Un esempio per tutti: l’ossessione russa sulla Nato ai propri confini che si risolve con il suo quasi completo accerchiamento. Non è certo che sia del tutto così; al contrario emerge una non improvvisata convergenza d’intenti per una dissoluzione dell’Europa come soggetto politico autonomo.

Per gli USA, l’Unione Europea dovrebbe “dipendere” sempre più dalla NATO; per Putin, essa costituisce un ostacolo ai suoi progetti di ricostruzione di una nuova identità russa conservatrice e ortodossa. Non è un caso che uno dei suoi filosofi di riferimento in questa impresa sia Kostantin Nicolaevic Leont’ev il quale additava nell’Europa, soprattutto come Federazione di Stati, una delle peggiori minacce all’identità russa, fino ad arrivare nel 1875 a un testo dal titolo “L’europeo medio come arma di distruzione universale”. Tutto ciò in contrapposizione a Victor Hugo, che, nel 1849 in occasione della Conferenza internazionale della Pace di Parigi, aveva indicato gli Stati Uniti d’Europa come strumento di pace universale pronunciando per primo la famosa espressione: “Europa dall’Atlantico agli Urali”.

Da parte loro, gli USA hanno sempre concepito l’Europa, in particolare quella nata con i Trattati di Roma, come creatura del Piano Marshall da legare a sé con il Patto Atlantico; tanto che, qualsiasi tentativo di darle una struttura federale autonoma e democratica, come il progetto di Costituzione Europea elaborato da Altiero Spinelli nel 1984, si è scontrato con l’opposizione dei Governi che hanno consentito nel tempo soltanto progressi compatibili con la costruzione del mercato interno, con scompensi evidenti dovuti all’assenza di una politica economica, sociale e fiscale comune.

Oggi il destino dell’Europa è di nuovo in gioco e i segnali politici non sono rassicuranti circa il suo futuro che non può che essere immaginato nei nuovi equilibri che questa guerra definirà. Si parla molto di una politica di difesa comune e si fa riferimento alla “Bussola strategica”, approvata prima della guerra, che prevede un misero battaglione composto da 5.000 unità. Ma, dopo gli ultimi accadimenti, è impossibile, illusorio e pericoloso ipotizzare qualsiasi politica di Difesa Comune nell’attuale assetto intergovernativo dell’Unione e senza una politica estera condivisa. Insomma, qualcosa che faccia dimenticare il pellegrinaggio a Kiev dei leader europei – più per la propria visibilità che non per offrire proposte utili alla soluzione del conflitto – o le diverse telefonate al Cremlino, nessuna in grado di rappresentare una posizione comune.

Emmanuel Macron, nel suo discorso del 9 maggio, è sembrato voler assegnare a ciascuno il proprio posto nello spazio europeo di là da venire, senza indicare come riformare questo spazio. Dalle anticipazioni affidate a dichiarazioni o testi scritti di diversi esponenti politici europei, la questione del voto all’unanimità del Consiglio sembra essere individuato come l’ostacolo principale da sormontare; cosa non facile perché la modifica dei Trattati prevede, in ogni caso, il voto unanime dei 27 nonché le ratifiche parlamentari . Quand’anche si dovesse arrivare al superamento dell’unanimità, la prospettiva non sarebbe altro che un direttorio dei governi dei principali Paesi membri. Un bizzarro destino autocratico per un’Europa che esecra l’autocrazia russa; anche se si tratterebbe di una autocrazia non esercitata da un uomo solo ma da un gruppo di governi sempre più deboli ma, proprio per questo, meno democratici.

Ciò che, invece, sarebbe risolutivo è il superamento stesso dell’attuale assetto intergovernativo dell’Unione che esclude, in tutto o in parte, i Parlamenti dal processo decisionale. Nei governi, però, non si rintracciano volontà riformatrici che lo mettano in causa. L’assetto intergovernativo si può superare soltanto con uno di tipo federale. È evidente che, realisticamente, questa non può essere una prospettiva accettata da tutti i membri dell’Unione. La questione centrale è, quindi, come nei singoli Paesi si possa affermare la determinazione ad una cessione di sovranità garantita da una Costituzione che sancisca a livello europeo quei principi di democrazia che, per esempio, sono presenti nella nostra Costituzione. La prospettiva potrebbe essere quella di una Federazione (composta solo da alcuni degli attuali Paesi membri) che aderisca a una più ampia Unione Europea, che assumerebbe sempre più la fisionomia di una Confederazione.

Per quanto riguarda l’allargamento a nuovi Paesi, si porrà la scelta tra l’aderire a criteri più vincolanti quali quelli della Federazione oppure aderire semplicemente all’Unione. In quest’ultimo caso, però, dovrebbero essere rigorosamente rispettati i principi relativi allo Stato di Diritto, ai diritti e alle libertà fondamentali, alla democrazia già oggi presenti – ancorché migliorabili – nei Trattati dell’UE.

Un commento a “Il serio rischio di un’autocrazia europea”

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