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Il Servizio Sanitario Nazionale: una struttura pandemica

I problemi del Servizio Sanitario Nazionale non sono riducibili né alle differenze tra Regioni né alla ‘decentralizzazione’. Emergono invece problemi sistemici: manca una combinazione efficace di modelli di coordinamento moderni e di un uso sensato delle tecnologie. Questi problemi ora devono essere affrontati
Pubblicato il 3 Dicembre 2020
Materiali, Salute, Scritti, Temi

Immagine: casi di COVID-19 in italia al 2/12/2020 (Fonte Protezione civile)

Una versione più ridotta di questo articolo è comparsa sul numero 3/4 della rivista “Luoghi Comuni” dedicato al Sud

L’SSN ed il fallimento dei “piani di rientro”

Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) italiano è realmente universale solo in parte, le differenze tra Regioni sono rilevanti e i LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza, risultano pienamente raggiunti solo da 8 Regioni e Province Autonome su 211 e con ben 5 di esse in grave ritardo.

Questa situazione, di fatto strutturale da anni, emerge dai “piani di rientro” regionali2 avviati nel lontano 2005 per correggere la crisi finanziaria e dei servizi offerti di numerosi Sistemi Sanitari Regionali. I piani di rientro richiesti dallo Stato hanno avuto come effetto pratico l’ulteriore contrazione nelle prestazioni e il sostanziale definanziamento del sistema, senza evidentemente riuscire a correggere i problemi sia economici che nei servizi.

D’altro lato, bisogna domandarsi come sia possibile che numerose Regioni siano andate in default senza che il sistema Paese fosse in grado di rendersene conto per tempo e come mai dopo molti anni questi problemi non si siano risolti.

Una risposta è evidente osservando il ritardo con il quale giungono e sono elaborati i flussi di dati di governo del sistema raccolti tramite il “Nuovo Sistema Informativo Sanitario” (NSIS)3 creato a partire dal 2001: il Ministero della Salute ha potuto pubblicare nel 2019 i dati sul raggiungimento dei LEA del 20174, accumulando quindi ben 2 anni di ritardo5.

La pandemia

In questo contesto ci ha colpito la pandemia determinata dal SARS-Cov, tuttora in corso, che se da un lato ha mostrato l’importanza di avere un sistema sanitario pubblico universale, dall’altro ha evidenziato nuove debolezze che vanno oltre quelle tradizionali di un Nord avanzato e di un Sud arretrato e disorganizzato.

Proprio la pandemia ci costringe a spostare l’attenzione e renderci conto che i problemi non sono banalmente imputabili alle inadeguatezze locali ma piuttosto sono il risultato di fallimenti sistemici, sia a livello centrale che periferico, che amplificano le differenze e i disservizi in modo apparentemente controintuitivo.

Un caso eclatante ma non solitario, ad esempio, è quello di una Regione avanzata come la Lombardia, che ha abbandonato progressivamente la medicina territoriale a vantaggio degli ospedali/azienda mentre altre regioni, come il Veneto e l’Emilia-Romagna, hanno mantenuto una struttura di medicina territoriale funzionante. La conseguenza pratica è stata che differenti regioni, tutte con un buon sistema sanitario, hanno risposto in modo molto diverso all’emergenza pandemica. La Lombardia, sebbene ritenuta la più “moderna”, ha sofferto più di altre l’impatto della pandemia reagendo in modo poco efficace.

Ancora più evidente è che i parametri di controllo introdotti dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), che come sappiamo dovrebbero avere come scopo quello di misurare la qualità e l’appropriatezza dell’assistenza sanitaria nel paese, hanno completamente fallito l’obiettivo al punto che nessuno si era accorto che, né il Ministero della Salute, né le Regioni, aggiornavano i piani pandemici, sostanzialmente fermi all’influenza aviaria di dieci anni fa e comunque non operativi. Questo ha concorso nei fatti al disastro iniziale della risposta italiana alla pandemia.

Il problema quindi, paradossalmente, non risiede tanto nel livello locale quanto nell’assenza di coordinamento, che da un lato non fa crescere le regioni più deboli (non solo nel Sud) e dall’altro, lascia sviluppare in modo incoerente e drammaticamente fragile le Regioni “avanzate” del Nord.

Figura 1 – Risultati LEA 20176

La pandemia ci spinge quindi a leggere il funzionamento del sistema sanitario NON come una riedizione della “questione meridionale” o peggio come parte di una discussione astratta tra centralizzazione e decentralizzazione, ma come un serio problema sistemico.

Un sistema sanitario che in 15 anni7 non riesce ad uscire completamente dai suoi problemi in ben 11 regioni su ventuno, due delle quali tuttora commissariate dal governo centrale, e dove, ancora oggi, i dati di monitoraggio sono pubblicati con due anni di ritardo, è un sistema, senza mezzi termini, allo sbando. Ha retto la pandemia per la capacità degli operatori sanitari e per la sua ossatura ancora universale e pubblica, ma non grazie alla sua efficacia come sistema.

I problemi non riguardano banalmente il livello locale ma il sistema stesso, nel suo complesso.

Tecnologia, centralizzazione e decentramento

A questo punto è necessario comprendere alcuni aspetti caratteristici di ogni Sistema Sanitario Nazionale. Il rischio che dobbiamo evitare è di approcciare la discussione barricandoci dietro la tradizionale tensione ideologica tra centralizzazione e decentramento o, peggio, riducendo banalmente il tutto a un problema di innovazione tecnologica e di disponibilità di dati decentemente aggiornati.

Qualsiasi modello organizzativo formale si intenda discutere, va compreso che la sanità è un sistema complesso intrinsecamente distribuito.

Ogni sistema sanitario è realizzato da un insieme di organizzazioni locali distribuite sul territorio come Ospedali, ambulatori, laboratori di analisi, Medici di Medicina Generale, Pediatri, Case della Salute, Unità di Cure Primarie, RSA ed altre.

Ognuna di queste organizzazioni oggi utilizza numerosi sistemi informatici diversi a seconda della dimensione, dello scopo e del tipo di organizzazione. Come ad esempio: anagrafiche, cartelle cliniche, gestione delle immagini (PACS) e dei laboratori (LIS), gestione dei pazienti, contabilità ed analisi dei costi, centri di prenotazione (CUP), siti web ed altri sistemi ancora. Il risultato è un insieme di tecnologie, persone e processi. Questi insiemi di applicazioni e persone sono inoltre diversi tra loro. Come osserva Doug Fridsma8, un piccolo ospedale in un’area di montagna avrà capacità diverse (e requisiti molto diversi) rispetto ad un grande ospedale urbano universitario.

Medici, personale sanitario e cittadini interagiscono con milioni di righe di codice e, nella sanità forse più che in altri settori, le persone non sono semplicemente utenti di tecnologie ma sono parte di un sistema di sistemi complesso: un Ultra-Large Scale system (ULS system)9.

«A una tale scala molte ipotesi devono cambiare: non ci può essere controllo centralizzato; nessuno può mai conoscere tutti i requisiti; i requisiti saranno inevitabilmente in conflitto; il sistema sarà sempre simultaneamente in esercizio e in costruzione; la distinzione tra sistema e utente non ha più senso: le persone fanno parte del sistema; il guasto localizzato è comune e non sistematicamente dannoso, tuttavia ci sono punti critici di vulnerabilità e rischi sistemici che devono essere trattati con la massima cura; i sistemi ULS saranno inevitabilmente costruiti sopra, o accanto, sistemi informatici e istituzioni già complesse ereditate dal passato; gli approcci tradizionali alla progettazione e all’acquisizione non funzionano più».10

Questo livello di complessità richiede modalità di governo e coordinamento che hanno poco a che fare con centralizzazione e decentramento, in termini tradizionali, e ancor meno con l’idea che una nuova organizzazione astratta o un’applicazione informatica alla moda possano essere una soluzione.

Se non comprendiamo la natura del sistema sanitario e proseguiamo con un approccio che tiene separate organizzazione, persone e tecnologia, come stiamo facendo da anni, qualunque azione intrapresa, per quanto economicamente imponente, sarà irrilevante.

La storia del Fascicolo Sanitario Elettronico è paradigmatica, sia per gli obiettivi che per come il progetto si è evoluto storicamente.

Sistema sanitario e Fascicolo Sanitario Elettronico

Si comincia a parlare di FSE nel 200611 con la Strategia Architetturale del Tavolo di Lavoro permanente delle Regioni e delle Province Autonome per la Sanità elettronica (TSE)12 e con il finanziamento di diversi progetti pilota di Fascicoli Sanitari Elettronici nelle Regioni del Sud13. In parallelo, altre regioni decidono indipendentemente lo sviluppo di infrastrutture regionali14 a tal fine. Nel 2012, dopo alcuni anni di rallentamento, il panorama cambia in modo significativo: una legge nazionale istituisce i Fascicoli Sanitari Elettronici regionali15. Una serie di atti e regolamenti successivi ha dato una nuova spinta alla realizzazione di un FSE a livello nazionale. Anche se una governance coordinata non viene definita16, vengono comunque lanciate una nuova serie di attività. Si inizia un lavoro di definizione dei documenti sanitari basati su standard informatici comuni17 e viene sperimentata una rete nazionale per lo scambio dei documenti. Viene realizzato un modello funzionale18 che avrebbe dovuto guidare la realizzazione progressiva del fascicolo. Lo sforzo compiuto dai diversi attori in questi anni ha in effetti portato ad alcuni risultati significativi, eppure la mancanza di una visione, l’assenza di coordinamento chiaro e di un effettivo commitment dei diversi governi che si sono succeduti vanificano molti degli sforzi fatti.

Figura 2 – Attuazione dell’FSE (Fonte: AgID)

Attualmente 19 regioni hanno un Fascicolo attivato. Tuttavia, il numero di fascicoli complessivo si ferma a circa 18 milioni di cittadini (su 60 milioni di abitanti). Ma se osserviamo le modalità del suo utilizzo da parte di utenti, medici e aziende sanitarie, i dati appaiono spesso incoerenti19. In diverse regioni ci può essere, per esempio, un elevatissimo accesso teorico da parte dei cittadini e un bassissimo accesso da parte dei medici e/o delle aziende sanitarie.

Soprattutto manca, anche rispetto al modello funzionale sviluppato nel 2012, l’inclusione di processi e servizi.

Il fascicolo non dovrebbe essere solo un sostituto dell’insieme di documenti e referti cartacei portato a mano dal paziente o banalmente un modo per trasferire un referto tra operatori sanitari: queste funzioni sono oramai non sufficienti e per certi versi superate.

È necessario passare da un modello esclusivamente documentale a uno orientato ai dati e comprendere che il fascicolo non è un semplice insieme di raccolte documentali ma un sistema di interscambio di dati tra persone e applicazioni. Questo sistema deve produrre anche larga parte dei dati necessari al governo del sistema sanitario stesso. Il punto centrale non è tecnologico ma nell’accoppiamento tra persone, operatori sanitari e uso sensato della tecnologia20.

È significativo in questo senso leggere lo stesso testo del DL Rilancio21 che include un intero articolo dedicato al Fascicolo Sanitario Elettronico. Tuttavia, le disposizioni, anche se migliorative per alcuni aspetti, non toccano il problema del coordinamento, non modificano l’approccio centrato sui documenti e, soprattutto, non hanno alcuna relazione pratica e logica con la pandemia.

Si assiste al paradosso di Misure urgenti in materia di Fascicolo sanitario elettronico che, pur positive, non hanno relazioni concrete con l’emergenza e neanche con la sanità pubblica in generale22, tema che rimane completamente assente.

La stessa circolare del MdS “Elementi di preparazione e risposta a COVID-19 nella stagione autunno-invernale”23 cita l’uso della tecnologia in modo marginale, limitandosi incredibilmente a invitare le Regioni a potenziare i “… sistemi informativi in base ai potenziali incrementi conseguenti ai picchi di richiesta emergenziale” e a richiedere di inviare in modo tempestivo i normali flussi informativi, di carattere amministrativo, che impattano marginalmente sulla risposta all’emergenza in corso.

A differenza di altri Paesi nessun sforzo è stato fatto per consentire un fluido ed efficace scambio di informazioni.

Basti pensare che l’ISS ha ricevuto e riceve le cartelle cliniche dei deceduti positivi al Covid-19 nei formati più vari (anche cartacei), dall’altra parte, i soli dati strutturati disponibili sui ricoveri, provenienti dai flussi per i Livelli Essenziali di Assistenza, oltre che non tempestivi, sono essenzialmente a carattere amministrativo e spesso slegati, nella pratica, dalle cartelle cliniche ospedaliere e di conseguenza poco utilizzabili.

Beninteso, è inevitabile che in una situazione emergenziale si operi in modo empirico24; non è inevitabile invece continuare a rifiutare la realtà di un sistema sanitario basato su tecnologie e rifiutare che queste siano parte integrante della sua progettazione tecnica, organizzativa e di governo del sistema.

Problemi cognitivi

«In primo luogo, dobbiamo renderci conto che nel complesso mondo di un Ultra-Large Scale System, non possiamo costruire sistemi senza considerare le persone che interagiranno con quei sistemi»25.

La nuova scala dei problemi attuali, che il Coronavirus ha elevato, mostra che la possibilità di rispondere alle crisi sanitarie dipende dalla disponibilità di un sistema sanitario pubblico, ma è necessario che esso accetti e sviluppi il presupposto che il modo in cui lo abbiamo progettato e gestito fino ad oggi non è più adeguato. Solo il combinato disposto di queste due realtà potrà nell’immediato attenuare gli effetti della pandemia e in futuro restituire ai cittadini una assistenza sanitaria efficace ed umana.

In questo panorama le tradizionali diatribe Nord vs Sud o ideologiche, come centralizzazione vs decentramento, non sono più coerenti con la realtà. In questo senso l’SSN è oggi una ‘struttura pandemica’: un’organizzazione strutturalmente impreparata alle pandemie e quindi adatta al successo di queste.

Come osservava Glanville «Il controllo del controllo è il sistema»26, come esseri umani il nostro scopo è la continua progettazione di questo controllo.

Note

1 Nel 2019 sono stati pubblicati dati relativi al 2017. Una revisione della metodologia è in corso, tuttavia è evidentemente insano avere dati di governo del sistema con un ritardo di 2 anni, per di più non del tutto completi. Vedi: MdS, Monitoraggio dei LEA attraverso la cd. Griglia LEA. Metodologia e Risultati dell’anno 2017, Febbraio 2019, http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2832_allegato.pdf

2 “I Piani di rientro nascono con la Legge finanziaria del 2005 (Legge 311/2004) e sono parte integrante degli accordi stipulati dal Ministero della salute e dal Ministero dell’economia e delle finanze con le singole Regioni. I Piani devono contenere sia le misure volte a garantire l’erogazione dei Livelli essenziali di assistenza (LEA) in conformità con la programmazione nazionale e con il DPCM 12/01/2017 di fissazione dei LEA, sia le misure per garantire l’equilibrio di bilancio sanitario. In caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, i Piani di rientro proseguono secondo programmi operativi, di durata triennale.
La Legge Finanziaria 2005 e l’Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005 hanno previsto il ricorso a forme di affiancamento da parte del Governo centrale alle Regioni che hanno sottoscritto gli accordi contenenti i Piani di Rientro. Tale attività di affiancamento è stata resa operativa dalla Legge Finanziaria 2007, che ha previsto che l’accordo siglato dalle Regioni fosse assicurato dal Ministero della Salute, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nell’ambito del Sistema nazionale di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria (SiVeAS)”. (http://www.salute.gov.it/portale/p5_1_2.jsp?lingua=italiano&id=145).

3 NSIS. Vedi: https://bit.ly/2HO0cC1

4 Che solo per la prima volta, incredibilmente, includono tutte le Regioni.

5 È banale ricordare le parole di Kaplan e Norton “Non puoi gestire ciò che non puoi misurare”. Vedi: Kaplan, R.S., Norton, D.P., (1996), The Balanced Scorecard: Translating Strategy into Action, Harvard Business School Press, Boston, MA.

6 MdS, Monitoraggio dei LEA attraverso la cd. Griglia LEA. Metodologia e Risultati dell’anno 2017, cit. Le Regioni in verde scuro sono le sole in regola con gli attuali LEA.

7 Dall’avvio dei “piani di rientro” nel 2005.

8 Doug Fridsma, «Health IT as an Ultra Large-Scale System», Health IT Buzz, February 21, 2013 (https://www.healthit.gov/buzz-blog/electronic-health-and-medical-records/healthcare-building-interoperable-health-system-tough).

9 Peter H. Feiler, Kevin Sullivan, Kurt C. Wallnau, Richard P. Gabriel, John B. Goodenough, Richard C. Linger, Thomas A. Longstaff, Rick Kazman, Mark H. Klein, Linda M. Northrop, Douglas Schmidt, Ultra-Large-Scale Systems: The Software Challenge of the Future, SEI-Carnegie Mellon University, 2006 (https://resources.sei.cmu.edu/library/sset-view.cfm?assetid=30519).

10 Kevin Sullivan – William Knaus – Richard Marks, «An Ultra-Large-Scale Systems Approach to National-Scale Health Information Systems», Proceedings of Conference SIGSOFT/FSE’10 18th ACM SIGSOFT Symposium on the Foundations of Software Engineering (FSE-18), Santa Fe, NM, USA, November 07 – 11, 2010 (https://dl.acm.org/doi/10.1145/1882362.1882436).

11 Quasi coincidente con l’inizio dei piani di rientro del 2005.

12 TSE, Strategia architetturale per la Sanità Elettronica, 31 Marzo 2006 (https://docplayer.it/4111101-Tse-gdlt-ibse-strategia-architetturale-per-la-sanita-elettronica.html).

13 I cosiddetti progetti Rete MMG.

14 Tra il più noti il SISS della Regione Lombardia ed il Progetto SOLE in Emilia-Romagna.

15 Articolo 12, Decreto Legge n. 179 del 18 ottobre 2012 (https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2013-06-21;69!vig=).

16 Le competenze coinvolgono in modi diversi: Ministero della Salute, AgID, e Ministero dell’Economia.

17 Basati sullo standard HL7 CDA 2.

18 Allo sforzo parteciparono 19 Amministrazioni regionali e Province Autonome, 15 Agenzie Regionali, 3 Enti pubblici ed agenzie nazionali (INVITALIA, CISIS e CNR-ICAR) ed HL7 Italia. Lo standard è un profilo formale italiano di HL7-ISO Electronic Health Record System Function Model R2) .

19 Vedi: https://www.fascicolosanitario.gov.it/.

20 Non parliamo volutamente di tecnologie avanzate, come ad esempio la cosiddetta Intelligenza Artificiale, che potrebbero essere applicate, dove utile, in presenza di un sistema sensato.

21 DL del 19 maggio 2020, n. 34 convertito con modificazioni dalla Legge del 17 luglio 2020, n. 77 recante: «Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19» (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/07/29/20A04100/sg).

22 Vedi ad esempio lo standard: HL7 EHR-System Public Health Functional Profile, R2, (http://www.hl7.org/implement/standards/product_brief.cfm?product_id=278)

23 Emessa l’11 agosto dal MdS e predisposta dall’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con il Ministero della Salute e il Coordinamento delle Regioni e Province Autonome.

24 Va ricordata l’assenza di veri piani pandemici.

25 Doug Fridsma, «Health IT as an Ultra Large-Scale System», cit.

26 Ranulph Glanville, «The Form of Cybernetics: Whitening the Black Box» in Miller, J (ed), Proceedings of 24 Society for General Systems Research/American Association for the Advancement of Science Meeting, Houston, 1979, Society for General Systems Research, Louisville, 1979.

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