Cultura, Temi, Interventi

La filosofia

nasce ogni giorno.

Il cielo e la parola

sono profondi

come il silenzio,

infiniti come la luce.

La matematica come manifestazione della spiritualità umana: in dialogo con il platonismo di Imre Toth.

Non v’è λόγος

senza numero,

non v’è κόσμος

senza λόγος,

la monade rende concepibile

la molteplicità infinita dei numeri,

la misura assoluta,

τὸ μέτριον,

è un λόγος ἄλογος,

un numero ineffabile.

I

A quanto segue è necessario premettere che considero, e penso che questo sia anche il punto di vista di Imre Toth, gli Elementi – ΣΤΟΙΧΕΙΑ – di Euclide – (il primo compiuto trattato occidentale sulla possibilità e l’esigenza di uno spazio soltanto pensato) un’opera filosofica di argomento matematico, non semplicemente ed esclusivamente un’opera matematica. Essa si colloca nella tradizione della filosofia greca che è sempre stata impegnata, in epoca classica e preclassica, con ricerche di carattere matematico.

La matematica può essere considerata – non definita – come l’insieme degli strumenti intellettuali del calcolo e della misura che l’essere umano ha a disposizione per muoversi il più adeguatamente possibile nello spazio e nel tempo, costituendo il proprio mondo; può chiamarsi genericamente sapere o saperi da trasmettere da un essere umano a un altro essere umano, da una generazione umana ad un’altra. In greco il termine italiano corrisponde a un aggettivo neutro plurale: μαθηματικά.

Poiché l’essere umano vive nel tempo e produce con il pensiero i suoi saperi e la propria consapevolezza del suo sapere e della sua ignoranza, ogni sua conquista intellettuale avviene in un’epoca storica, è il risultato dell’attività umana nel trascorrere del tempo.

Il sapere matematico, quindi, come ogni altro sapere, appartiene alla storia delle diverse società e contribuisce alla crescita e allo sviluppo delle diverse civiltà nei diversi periodi della loro storia e della storia dell’intera umanità.

Sia i numeri dell’aritmetica – che propriamente, dal termine greco ἀριθμός, significa sapere dei numeri, del numero – che i segni con i quali la geometria – ovvero la capacità di misurare il terreno e lo spazio in ogni sua parte e direzione – definisce, costituisce e rappresenta il suo spazio, appartengono alla facoltà umana di esprimere il pensiero attraverso la parola, sono parola.

Ma in cosa consiste il pensiero che esse esprimono? Cosa è il pensiero matematico?

Questa domanda non ci consente di fermarci alla considerazione del sapere matematico nella sua strumentalità, nel suo essere un semplice strumento operativo, a questa domanda non possiamo dare né una risposta completa né una risposta definitiva. Per affrontare il problema siamo costretti ad ammettere che il pensiero matematico, nel suo manifestarsi, ha a che fare con la verità, con la poesia e con la bellezza: quindi anche con la libertà umana; il pensiero matematico riguarda l’essere umano nella sua essenza, nella sua totalità.

Di conseguenza, la storia della matematica è storia del giungere del pensiero matematico alla consapevolezza di sé come espressione della dignità e della libertà di ogni essere umano e dell’umanità nel suo insieme.

Penso si debba distinguere tra storia della matematica come sapere disciplinare, e storia del pensiero matematico come consapevolezza di sé degli esseri umani e orizzonte del loro divenire spirituale attraverso la poiesi del sapere matematico. Imre Toth è uno storico del pensiero matematico e, di conseguenza, come storico del pensiero matematico, un filosofo.

Ma si può dire anche: Imre Toth è un filosofo, e poiché è un filosofo, si è impegnato con competenza e acutezza nella storia del pensiero matematico.

Il calcolo, e la misura che ne è la conseguenza, è l’espressione – nella parola – dell’ordine e della bellezza che è la vita in ogni sua manifestazione; così che, nella sfera del mondo creata dalla parola, matematica e poesia sono due aspetti dello stesso produrre bellezza che è la spiritualità umana. Gli enti matematici e i teoremi della matematica hanno una loro bellezza – che può essere ed è anche chiamata eleganza – come la parola poetica, per essere poetica, ha una sua misura, non può non averla.

Il linguaggio verbale produce sapere matematico come produce miti, leggende, fiabe e, in generale, componimenti letterari (da quando la scrittura ha reso possibile la letteratura). Ed esiste una letteratura matematica come esiste una letteratura poetica. Ma quale è la sua specificità? In cosa consiste il pensiero matematico nella sua attività poietica e nella sua trasmissibilità attraverso le sue opere nella sua storia?

La parola – in ogni sua manifestazione, ivi compreso il silenzio – nasce dalla relazione di un individuo umano con gli altri esseri umani ed è un mezzo di relazione tra gli individui umani nella comunicazione e nel dialogo: essa è inoltre, in interiore homine, forma del pensiero o, come osserva Platone nel Sofista, silenzioso dialogo dell’anima con se stessa.

In quanto riflesso di una relazione e mezzo di relazione, la parola – il λόγος, il parlare-pensare – è in sé e per sé una forma vivente scaturita dalla forma vivente uomo – ἄνθρωπος – e sua immagine (immagine di ciò che esso è nella sua individualità, nelle sue comunità, nella sua specie).

Gli individui umani, le loro comunità, le loro civiltà guardano continuamente la propria forma vitale – spirituale – nell’immagine che si dà di essa nella parola, nel λόγος, ma a questa contemplazione sfugge l’intima legge di quella vita che rende possibili le meraviglie dei suoi contenuti, di ciò che è possibile produrre nella e con la parola.

Quale legge regola ciò che produce leggi?

L’accadere di qualsiasi legge accade secondo una norma che non accade. Una norma irraggiungibile dal nostro sguardo.

Tuttavia il parlare, al suo interno, ha bisogno di leggi che diano senso esplicito al suo divenire, al suo svolgersi. Leggi di cui la matematica si serve con dovizia e precisione. Leggi di un mondo costruito, un mondo ideale che è il mondo dell’intelletto umano.

Imre Toth conosceva bene queste leggi, era un fine conoscitore della logica, delle logiche.

Ma il senso ultimo della parola ci resta nascosto. Si può dire che la produzione dei saperi matematici e della poesia attinga sempre di nuovo alla forma di questo senso nascosto, di questa forma che, dando forma a tutto, non si dà mai definitivamente al nostro sguardo nel suo essere forma.

La libertà, negli esseri umani, è sempre libertà di amare. Perché l’amore è sempre pulsione verso l’immortalità, verso la vita. E tensione al vivere è la tensione alla conoscenza che è tensione a una compiutezza ideale dell’essere umano come individuo, come comunità, come specie.

II

La parola è considerata da molte religioni e da molti pensatori come un segno della superiorità dell’animale uomo su tutti gli altri viventi terrestri. Ma, lungi dal voler prendere posizione su questo, dico qui che la parola, nell’essere umano come individuo, comunità e specie è piuttosto un segno di incompiutezza. L’essere umano è un animale incompiuto e teso – consapevolmente o inconsapevolmente – al proprio compimento. Questa non è una definizione dell’uomo e non è un’idea espressa nelle opere di Imre Toth, è una consapevolezza nella civiltà occidentale che nasce con la filosofia. Parlando, appunto, della filosofia occidentale, Imre Toth la riassume, vi allude, in questi termini: “La philosophie n’a jamais été et ne sera jamais une science. Elle est pourtant un savoir: le savoir du sujet par le sujet. Domaine d’être autonome, le fondement ontique du sujet est le savoir de soi. Domaine non spatial de la reflexivité absolue, l’autonomie de son être établit la presence de la liberté à l’intérieur de l’espace cosmique. On peu oublier le théoreme de Pythagore qu’on a appris au Lycée, mais le savoir philosophique ne tombe jamais dans l’oubli”1.

Questo incipit del breve saggio di Imre Toth sulla filosofia occidentale è una delle interpretazioni possibili del discorso di Diotima nel Simposio di Platone e dell’incipit della Metafisica di Aristotele. Nel dialogo platonico prima, nel trattato aristotelico dopo, si istituisce un significato dell’ἔρως, inseparabile dal λόγος, che diviene il motore di un processo storico e il fondamento di un modo nuovo di concepire il rapporto tra libertà e amore.

Il motore del processo storico già esisteva e aveva dato i suoi frutti nelle altre civiltà esistenti, ma non ve ne era la consapevolezza.

Si tratta, qui, di chiarire alcune premesse. Perché il problema non è stato mai affrontato in questo modo.

Il Simposio di Platone, per la prima volta nella storia del pensiero umano, introduce con il discorso di Diotima, riferito da Socrate, la distinzione tra sessualità volta al fine della riproduzione, o anche soltanto al piacere dei sensi, ed ἔρως come tensione alla idea del bello, alla bellezza in sé. Questo amore ha anche esso a che fare con i sensi, perché la bellezza si mostra nella sfera del sensibile, ma è puro godimento intellettuale. Il suo non essere volto alla riproduzione non dipende dal fatto che si tratta di un amore omosessuale, può trattarsi anche di un amore eterosessuale, come quello di Dante e Beatrice. La natura puramente intellettuale di questo amore dipende dal suo oggetto che è l’idea del bello. La bellezza in sé. E con il bello, il bene.

Nella sua Metafisica, Aristotele fa un importante passo avanti. Perché nelle prime righe di questa opera ci dice che la tensione alla conoscenza, l’amore come tensione alla conoscenza, non è soltanto proprio agli amanti che lo sanno conquistare con la sublimazione delle pulsioni sessuali, ma appartiene a tutti gli esseri umani, uomini e donne, greci e barbari, liberi e schiavi. Scrive infatti Aristotele iniziando il primo libro:

Πάντες ἄνθρωποι τοῦ εἰδέναι ὀρέγονται φύσει. σημεῖον δ ᾽ ἡ τῶν αἰσθήσεων ἀγάπησις· καὶ γὰρ χωρὶς τῆς χρείας ἀγαπῶνται δι ᾽ αὑτάς, καὶ μάλιστα τῶν ἄλλων ἡ διὰ τῶν ὀμμάτων – Tutti gli esseri umani, a causa della loro origine (φύσει), sono protesi alla conoscenza. Ne è un segno l’amore che hanno per le sensazioni: poiché, anche a prescindere dalla loro utilità, esse sono amate per se stesse e più di tutte le altre è amata quella che si manifesta per mezzo degli occhi2.

L’amore per le sensazioni in sé rivela una incompletezza in più nell’essere umano. Perché l’amore è sempre il sentimento che nasce dall’essere incompiuti, dall’aver bisogno dell’amato per vivere. La parola, dunque, è il segno di una incompiutezza dell’animale uomo al di là della morte individuale che condivide con tutti gli altri esseri viventi.

In che senso, con quale significato, la consapevolezza di questa incompiutezza, che è la filosofia, può chiamarsi libertà?

III

Non so, forse non è del tutto vero che, come ho appena scritto sopra, Aristotele ha fatto un passo avanti: leggere Platone è più difficile che leggere Aristotele; se leggiamo la Repubblica, ci accorgiamo che a ogni riga Platone ci parla della necessità che la filosofia progetti la πόλις, che ci sia nella πόλις una continua ricerca della giustizia per la più perfetta felicità possibile di tutti i πολῖται. Forse per comprendere il Simposio non si deve confrontarlo principalmente con il Fedro, ma con la Repubblica. La Repubblica, infatti, è l’unico dialogo platonico narrato da Socrate in prima persona, senza essere, come l’ Apologia, la pura e semplice registrazione (o, meglio, riscrittura) di un discorso di Socrate. In questa prima opera di filosofia politica del pensiero occidentale, appare chiaro che la conoscenza ha a che fare con la libertà e la libertà è tensione alla conoscenza: amore è ricerca del sapere. Non v’è una dichiarazione cosmica come quella dell’incipit della Metafisica aristotelica, ma nel mito della caverna è chiarissimo che la condizione di privazione derivante dalla ignoranza riguarda tutti gli esseri umani.

Il sapere di non sapere è il primo gradino della liberazione e questo sapere di non sapere, come dichiara Socrate all’inizio del Simposio, diviene esperienza d’amore, ovvero di libertà.

Socrate, si narra nel Simposio, si ferma per ore a meditare da solo in strada o, anche, nel vestibolo della casa dove è stato invitato a cena. Quando è così, non vede e non sente nulla di ciò che gli accade intorno. Questo è il suo vero, il suo autentico ἔρως: la ricerca filosofica. E la ricerca filosofica, dice Imre Toth nella frase citata sopra, è l’irrompere della libertà nel nostro universo, un evento irreversibile.

IV

Nell’epoca classica, in Grecia, dunque, non ha inizio il sapere matematico, ma la consapevolezza di un suo possibile progresso, di un suo sviluppo, di una sua crescita come possibilità della costituzione di un mondo ideale di forme, un mondo di ordine e di bellezza creato dall’uomo per l’umanità. Gli studi e i progressi della logica che precedono o accompagnano questo inizio stanno dentro un sentimento di mancanza, di privazione, di incompiutezza che dà luogo nel tempo, nei millenni, a un grande progetto di umanità. Un progetto filosofico, politico, poetico, ideale per una umanità più compiuta e più felice.

Per seguire il pensiero di Imre Toth su questo punto, la sua idea di storia della matematica, non dobbiamo certo ignorare il suo Hegel e il suo Marx, ma li dobbiamo leggere con il suo animo, con la sua esperienza di vita e di pensiero.

Egli si rifà, con Marx, all’idea darwiniana di evoluzione delle specie. Dico evoluzione, ma si sa che il darwinismo ha poi criticato questa idea, sostituendola con quella di trasformazione. Perché infatti dovremmo dire che l’uomo è più evoluto della scimmia? È più adatto all’ambiente – se e quando dimostra di esserlo – non più evoluto. Nel caso dello sviluppo della matematica, dunque, l’esempio di Toth sul rapporto tra l’anatomia della scimmia e quella dell’uomo non tornerebbe. L’anatomia dell’uomo non ci aiuterebbe a capire quella della scimmia e la matematica moderna non ci aiuterebbe a capire i testi della matematica antica, almeno nel senso del rapporto di ciò che è più progredito e compiuto con ciò che lo è meno o si trova all’inizio di un processo di compimento.

Il fatto è che si dovrebbe cercare di capire perché prima Lamarck, poi Darwin, quindi Marx (dal quale Imre Toth riprende l’idea che l’anatomia della scimmia si può comprendere soltanto a partire da quella dell’uomo), hanno pensato all’evoluzione. La prima cosa che viene in mente è la superiorità dell’uomo sugli altri viventi. Ma nella storia del pensiero occidentale ha il suo peso la filosofica consapevolezza dell’incompiutezza dell’essere umano e della tensione al suo compimento. Forse un giorno questo significherà non soltanto un diverso rapporto tra gli esseri umani, la fine delle guerre e delle ingiustizie, ma anche la creazione di un diverso rapporto degli esseri umani con tutti gli altri esseri viventi. Un altro modo di stare degli esseri umani nel mondo della vita; non contro, ma in armonia con tutti. Perché l’autentico significato della parola non sta nella forza che sprigiona, ma nella verità e nella bellezza che può esprimere. Una verità e una bellezza che contengono il significato della fonte di ogni manifestazione del vivere.

Questo penso che per Imre Toth sia il senso della storia della matematica occidentale: questa è per lui e per la filosofia, finché ci sarà, l’essenza dell’Occidente.

Note

1 La philosophie et son lieu dans l’espace de la spiritualité occidentale, in Imre Toth, Liberté et vérité, Éditions de l’éclat, Paris-Tel Aviv, 2009, p. 7. Traduzione italiana: Imre Toth, La filosofia e il suo luogo nello spazio della spiritualità occidentale, a cura di Romano Romani, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 23: “La filosofia non è mai stata e non sarà mai una scienza. Tuttavia è un sapere: il sapere del soggetto a causa e per mezzo del soggetto. Territorio autonomo dell’essere, il fondamento ontico del soggetto è il sapere di sé. Dominio non spaziale della riflessività assoluta, l’autonomia del suo essere istituisce la presenza della libertà dentro lo spazio cosmico. È possibile dimenticare il teorema di Pitagora che si è imparato al liceo, ma il sapere filosofico non cade mai nell’oblio”.

2 Aristotele, Metafisica, 980a 21-23. Si veda anche la nota 1 al primo libro in Aristotele, Metafisica, traduzione, introduzione e note di Enrico Berti, Edizioni Laterza, Bari 2017 e la prefazione alla quarta edizione di ΕΙΔΕΝΑΙ, di Romano Romani, Cadmo edizioni, Fiesole (FI) 2015.

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