Intervento alla presentazione del libro “Contro lo smartphone. Per una tecnologia più democratica” di Juan Carlos De Martin, tenutasi il 13 maggio 2024.
Perché questo libro ci interessa?
Negli incontri, nei seminari, nelle scuole di formazione promosse dal CRS proviamo a elaborare e, soprattutto, a diffondere elementi di “cultura critica del digitale”. Lo facciamo perché siamo convinti che per contrastare le conseguenze negative della trasformazione digitale e per provare a riorientarne la direzione a fini di utilità sociale le regolamentazioni, anche quelle prodotte con le migliori intenzioni, non siano sufficienti.
Anzi, talvolta, creano la pericolosa illusione di poter governare le azioni di attori molto più forti dei regolatori.
Pensiamo invece che la regolamentazione possa essere utile solo se a essa si accompagna la crescita di una consapevolezza critica diffusa delle caratteristiche della trasformazione digitale.
Se cioè la consapevolezza delle implicazioni politiche della trasformazione digitale esce dai recinti degli esperti e degli addetti ai lavori, non si accontenta di produrre studi e ricerche, articoli e libri destinati a una comunque ristretta platea di studiosi e di lettori, ma riesce a coinvolgere, a interessare, a mobilitare l’enorme platea di chi subisce, inconsapevolmente, le conseguenze della trasformazione digitale in ogni ambito della propria vita.
Ma come si può fare a generare questa consapevolezza? Da dove partire? Di cosa parlare? Che linguaggio utilizzare?
Il libro di Juan Carlos De Martin ci interessa perché prova esplicitamente a rispondere a queste domande, perché non si rivolge comodamente alla platea dei lettori già esperti, perché non usa il linguaggio degli specialisti, perché prova a parlare alla platea di lettori più ampia che si possa immaginare.
E riesce a farlo perché sceglie come oggetto del suo libro l’utensile tecnologico più diffuso e più utilizzato al mondo.
E lo fa esplicitando già dal bellissimo titolo del libro la sua intenzione critica, il capovolgimento di atteggiamento che propone, la necessità di una opposizione capace di generare conoscenza: “Contro lo smartphone”
Ma non si tratta solo un libro che parla di tecnologia digitale, e che lo fa con accuratezza, ricchezza di dati e grande capacità di semplificare con rigore la complessità della dimensione tecnologica.
Le sua pagine, anche quelle apparentemente più tecniche, ci raccontano in realtà della nostra esistenza quotidiana segnata dall’uso dei dispositivi digitali, di come si modificano le relazioni sociali e la relazione che ognuno di noi ha con se stesso.
Enrico Donaggio, un filosofo esplicitamente citato nel libro, osservando come in ogni angolo del mondo, senza distinzioni di sviluppo o di ricchezza, in ogni momento della vita, dai momenti pubblici a quelli più intimi e privati, l’immagine di una donna o di un uomo, leggermente chini a sfiorare con un dito una piccola superficie luminosa raccolta nel palmo di una mano, concentrati e separati dal contesto che li circonda, sia l’immagine più consueta che ci può capitare di osservare, ha concluso che questa immagine è come un nuovo “universale antropologico”.
Dalle pagine del libro di Juan Carlos De Martin, negli esempi fatti a dimostrazione dei concetti esposti, nell’eccedenza di vita osservata che si mostra da un aggettivo e da un avverbio usati a commento di un aspetto tecnico, questo “universale antropologico” si affaccia con tutte le sue nuove abitudini e le sue crescenti fragilità, osservato con attenta e accorata empatia.
Ecco apparire, già nelle prime righe del primo capitolo, cinque adulti e sei adolescenti, osservati mentre siedono davanti al mare all’ombra dei pini marittimi. “Nonostante il contesto idilliaco nessuno di loro parla. Nessuno si muove. Nessuno si guarda in giro. Tutti e undici, senza eccezioni, dal bambino all’anziano, stanno fissando il loro smartphone. E non per una manciata di secondi, ma per svariati minuti”.
O ancora, nel paragrafo dedicato all’utilizzo dello smartphone come macchina fotografica, in cui si descrive anche tecnicamente come il nuovo dispositivo abbia rivoluzionato il mondo della fotografia – mai così tante fotografie sono state scattate in così poco tempo – possiamo leggere: “Lo smartphone ha quindi rivoluzionato il nostro rapporto con le immagini arrivando anche a trasformare il senso delle esperienze e dello stare insieme. Poter scattare foto è diventato per molti un dover scattare, pena un minor grado di realtà di ciò che si sta vivendo, come se in assenza di selfie con l’amico, l’amico non fosse davvero lì con noi, come se senza foto della spiaggia da condividere, la vacanza fosse meno reale. Ciò che sta perdendo di importanza è la memoria e il racconto soggettivo delle esperienze vissute a favore della presunta oggettività della fotografia che diventa non solo certificazione di una presenza, ma essa stessa parte (talvolta addirittura preponderante) dell’esperienza che si sta vivendo”.
Un libro politico
“Contro lo Smartphone” è un libro politico, non solo perché ci parla della tecnologia che più di ogni altra sta generando conseguenze politiche, ma anche perché parla esplicitamente di questioni politiche. E non lo fa solo nel capitolo esplicitamente dedicato a “chi controlla lo smartphone” al tema del potere che si esercita su e tramite questo dispositivo.
Ad esempio, nelle conclusioni del capitolo in cui ricostruisce la filiera produttiva dello smartphone, dall’estrazione dei materiali che lo compongono, alla sua produzione utilizzo e smaltimento finale, l’oggetto smartphone viene descritto come l’esempio paradigmatico di “una specifica forma di capitalismo globalizzato”.
Anche altre merci lo dimostrano, “lo smartphone è però caratterizzato da una dipendenza da filiere globali molto pronunciata, dovuta alla complessità del dispositivo e al suo impiego di tecnologie assai avanzate. Potremmo quindi dire che lo smartphone può essere considerato l’oggetto simbolo della nostra era, la merce che non solo è nelle mani della maggior parte degli esseri umani, ma che con più forza rappresenta l’attuale sistema economico-politico mondiale”.
Sarebbe importante approfondire la ricerca sulla “specifica forma di capitalismo globalizzato” di cui parla l’autore. Dopo l’industria tessile, che ha visto la nascita del capitalismo, e la produzione automobilistica, che ha caratterizzato la fase della sua espansione, lo smartphone è la merce che caratterizza il capitalismo dell’era digitale. Attenzione, lo smartphone, non il computer.
In un diverso capitolo, nel quale sono approfondite le differenze tecnologiche tra il personal computer e lo smartphone, possiamo infatti leggere.
“Avevamo il personal computer anarco-individualista figlio degli anni Settanta, macchina che permetteva al suo proprietario un controllo pressoché completo. Siamo ora quasi completamente passati allo smartphone, ovvero il discendente neoliberista del personal computer, un computer molto personale su cui, però, il proprietario ha un controllo limitato, anzi, un personal computer che silenziosamente controlla, sorveglia, spia, manipola il suo proprietario”
Politicamente significative sono anche le pagine dedicate alle conseguenze geopolitiche legate alla disponibilità dei materiali che servono alla costruzione dello smartphone, e alla capacità di produrne i componenti.
Pagine che dimostrano con la ricchezza dei riferimenti e l’evidenza dei numeri l’irreversibilità di un mondo multipolare, il cui riconoscimento può solo essere rallentato, ma non impedito dalla presunzione militare dell’Occidente.
O la descrizione accurata di come i protagonisti del duopolio che controlla tutti gli smartphone abbiano di fatto ostacolato durante la pandemia l’utilizzo della app di tracciamento dei contagi che avrebbero potuto salvare molte vite. Opponendo il loro potere a quello degli Stati.
Le conclusioni del libro sono infine esplicitamente politiche, e prendono la forma di un manifesto, in cui vengono tratte le conseguenze di un approccio che percorre tutti i capitoli.
Quando si parla di dispositivi digitali non è importante analizzare quello che il dispositivo è in grado di fare, ma è decisivo approfondire quello che chi lo ha prodotto ha scelto di non fargli fare. Cioè le scelte tecnologiche e funzionali possibili che il costruttore ha consapevolmente scelto di non fare o di impedire. Alcune di queste scelte sono descritte nel paragrafo finale intitolato “Un altro smartphone è possibile”.
Ma ancora più significative ed importanti sono le righe che precedono e relativizzano queste conclusioni. Righe che rappresentano una critica radicale ed efficacissima della forma attuale che ha assunto la trasformazione digitale. Proprio quello che ci serve, insomma, per creare quella consapevolezza critica diffusa di cui abbiamo parlato all’inizio.
“Dobbiamo porci una domanda ancora più generale: ci andrebbe bene che agli esseri umani venga richiesto di essere corredati da una macchina, qualunque essa sia, per poter lavorare, studiare, godere dei propri diritti, in una parola, per vivere?”.
La risposta a questa domanda è:
“Riteniamo che sia importante assicurare alle persone la possibilità di svolgere qualsiasi attività anche in assenza di smartphone o di qualsiasi altro dispositivo. Deve quindi essere sempre assicurata un’alternativa”.
E ancora:
“Questa non necessità dello smartphone (o di qualsiasi altra macchina personale) deve diventare un diritto esplicitamente riconosciuto in tutte le interazioni con lo Stato e per tutte le attività essenziali svolte dalle persone anche in ambito privato”.
Esattamente il contrario di quello che ci viene proposto ogni giorno, non solo da fornitori di ogni tipo, ma anche, purtroppo, dalle amministrazioni pubbliche di ogni livello.
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