Materiali

La matematica dell’equità. Giustizia e climate change

Articolo ripreso da https://climateuncensored.com/maths-of-equity/

È impossibile affrontare l’emergenza climatica senza mettere l’equità al centro della soluzione

Nel 2015 i paesi del mondo si sono riuniti a Parigi e hanno concordato la necessità di ridurre le emissioni in maniera tale da mantenere il riscaldamento globale “ben al di sotto di 2 °C” e idealmente in maniera da non superare 1,5 °C [1]. Gli accordi di Parigi hanno stabilito che i paesi ricchi, portatori di maggiori responsabilità storiche nella produzione del cambiamento climatico, dovrebbero realizzare tagli delle emissioni maggiori di quelli dei paesi poveri, che non hanno emesso altrettanto. Nell’accordo di Parigi questo è sancito come Common but Differentiated Responsibilities and Respective Capabilities (CBDR–RC). Il termine più breve per definire questo principio è “equità”.

Per una “buona possibilità” di mantenere il riscaldamento al di sotto dei 2 °C, al momento attuale possiamo emettere globalmente poco meno di 700 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, che corrispondono a circa diciassette anni di emissioni all’attuale tasso globale. Questo bilancio globale vale per tutte le emissioni correlate all’energia fino alla fine del secolo e oltre [2]. Tuttavia, mentre l’accordo di Parigi sottolinea l’importanza dell’equità nella divisione del bilancio globale del carbonio tra i singoli paesi, non ci dice esattamente come dividerlo.

Il carbon budget residuo è ottenuto da dati scientifici, in particolare dalla nostra comprensione di come il clima e le temperature medie rispondono nel tempo agli input di anidride carbonica e altri gas serra. Ma il modo in cui condividiamo il bilancio del carbonio tra i paesi di solito non fa parte dei dati scientifici. In effetti, quando politici e scienziati parlano di cambiamenti climatici, l’attenzione è concentrata sulla parte scientifica mentre l’equità è trattata come una sorta di elemento “bello da avere”. La suddivisione del carbon budget, tuttavia, ricade pienamente nel regno della politica e non della scienza. Quindi spetterebbe a tutti noi decidere cosa è giusto e conseguentemente impegnarci nei confronti dei nostri rappresentanti, quelli che poi negozieranno un consenso nelle riunioni e conferenze internazionali sul clima.

Ma pur essendo l’equità correlata a giudizi morali e politici, essa rimane vincolata ai limiti fisici del mondo reale. Forse il primo tra questi importanti vincoli pratici è la diversa velocità con cui i diversi paesi sono in grado di ridurre le loro emissioni, rispettando al contempo le esigenze energetiche e alimentari dei loro cittadini. Qui si parla essenzialmente di quanto sia ricco un paese: è in grado di produrre o acquistare i materiali e la manodopera necessari per decarbonizzare le sue infrastrutture?

Un secondo vincolo è quanto un paese emette per persona e da quali fonti. In parole povere, i paesi con emissioni pro capite relativamente basse non saranno in grado di ridurre le loro emissioni tanto o facilmente quanto i paesi con emissioni pro capite più elevate. I paesi hanno livelli molto diversi di emissioni per persona, come rappresentato in figura 1.

Figura 1. Emissioni pro capite di differenti paesi

II terzo vincolo è, naturalmente, che la somma di tutte le emissioni rientri nel bilancio globale complessivo del carbonio. Non va bene che ogni paese pretenda di “fare del suo meglio” se le emissioni globali superano ancora il carbon budget previsto per 2 °C (o 1,5 °C) quando sommiamo tutti i tagli.

È importante tenere a mente questi vincoli quando si considera il meccanismo con cui l’accordo di Parigi richiede ai paesi di definire la propria riduzione di emissioni. Secondo gli accordi, stipulati nel 2015, i singoli paesi prendono “impegni” per ridurre le loro emissioni, noti come contributi determinati a livello nazionale (NDC). I paesi devono promettere tagli che riflettano la loro “massima ambizione possibile”, ma il livello di riduzione è lasciato ai singoli paesi. Nei fatti molti paesi hanno interpretato questo come una riduzione dell’intensità di carbonio delle loro economie, piuttosto che tagli assoluti delle emissioni. Inoltre, la maggior parte degli impegni NDC copre solo il periodo fino al 2030; i paesi possono delineare ulteriori tagli futuri, se lo desiderano, ma pochi lo hanno fatto. Nell’elaborazione del proprio NDC, il singolo paese non è tenuto a considerare né il contributo di altri paesi né come la globalità degli NDC influenzi collettivamente il bilancio globale delle emissioni.

Attualmente siamo in una situazione in cui la somma di tutti gli impegni NDC di tutti i paesi del mondo porta ad un bilancio del carbonio più in linea con 3-4 °C di riscaldamento che verso 1,5 a 2 °C [3]. Questo ha molto a che fare con la giustizia globale: gli impegni NDC dei paesi ricchi non tengono conto della necessità per i paesi più poveri di emettere di più a breve termine per permettere loro di soddisfare i loro bisogni di base, prima di iniziare i loro tagli.

Questo lato pratico è raramente discusso, e questo è un problema perché sarà l’equità globale che determinerà a tutti gli effetti se avremo successo nell’affrontare il cambiamento climatico. O i paesi ricchi tagliano le loro emissioni più velocemente per dare ai paesi poveri il necessario respiro (non costringendoli a sacrificare i loro bisogni di base se non la vita di molti dei loro cittadini) o tutti noi non riusciremo a evitare le terribili conseguenze degli impatti più elevati dei cambiamenti climatici. Senza affrontare l’equità globale, non possiamo risolvere il cambiamento climatico.

Un altro motivo per cui gli attuali impegni NDC ammontano a più del restante carbon budget globale ha a che fare con l’equità intergenerazionale, ovvero l’equità tra le generazioni. Al momento, molti paesi prevedono di continuare a emettere a livelli relativamente alti perché presumono che le generazioni future avranno la tecnologia per rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera e conservarla in modo sicuro per sempre.

Scienziati e ingegneri stanno attualmente ricercando una varietà di tecniche per catturare e immagazzinare l’anidride carbonica atmosferica – tecnologia nota come Carbon Dioxide Removal (CDR). Ma ci sono enormi rischi nell’assumere che troveremo il modo di sviluppare su larga scala queste tecniche ancora sperimentali e produrre le enormi quantità di cosiddette emissioni “negative” su cui i paesi ricchi fanno affidamento. In effetti, contiamo sulle generazioni future per capire come ripulire le nostre emissioni e per affrontare gli impatti di ulteriori cambiamenti climatici. Questa è un’eredità devastante da consegnare ai nostri figli e ai nostri nipoti.

Infine, un terzo aspetto dell’equità riguarda chi deve ridurre le emissioni all’interno dei singoli paesi. I numeri qui sono netti. Quasi la metà di tutta l’anidride carbonica proviene dal 10% più ricco delle persone in tutto il mondo [4] (circa 1 cittadino su 3 dei paesi ricchi rientra in questa categoria). E l’1% più ricco a livello globale (i super-emettitori) ha stili di vita che emettono il doppio di anidride carbonica rispetto all’intera metà inferiore della popolazione mondiale.

Figura 2. Suddivisione delle emissioni per gruppi di reddito delle popolazioni. [5]

Date queste enormi differenze nelle emissioni tra i diversi gruppi di reddito, è ovvio che ridurre le emissioni delle persone ricche e ad alte emissioni è molto più efficace ed equo che cercare di ridurre le già basse emissioni dei cittadini più poveri. Le politiche che mirano a ridurre le emissioni di chi già emette poco non sono solo ingiuste, ma semplicemente non riescono a condurre allo scopo di ridurre le emissioni globali. Ancora una volta, senza equità, non riusciamo ad affrontare il problema dell’emergenza climatica.

In sintesi, perché l’equità è la chiave per rimanere all’interno del bilancio globale del carbonio da 1,5 a 2 °C?

  • Primo: affinché le nazioni più povere aumentino il loro livello di benessere avvicinandolo alla media globale, l’equità richiede tagli immediati e profondi delle emissioni da parte delle nazioni più ricche.
  • Secondo: se non dobbiamo consegnare ai nostri figli un fardello potenzialmente impossibile da rimuovere costituito dal carbonio da noi emesso nell’atmosfera, l’equità richiede tagli immediati e profondi da parte delle persone attualmente responsabili delle emissioni.
  • Terzo: per agire sulla grande massa di carbonio oggi emessa, l’equità e l’efficacia richiede che i cittadini più ricchi, che sono grandi emettitori, debbono operare i tagli maggiori.

Note di chiusura

1. L’impegno di cui all’articolo 2.1 (a) dell’Accordo di Parigi è quello di “mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e perseguire sforzi per limitare l’aumento della temperatura a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali, riconoscendo che ciò ridurrebbe significativamente i rischi e gli impatti dei cambiamenti climatici”.

2. La stima di circa 700 GtCO2 quale carbon budget relativo all’energia dall’inizio di settembre 2022 si basa sul budget IPCC AR6 per l’83% di probabilità di non superare i 2 °C (900 GtCO2 dall’inizio del 2020), da cui sono sottratte le emissioni già avvenute nel periodo intermedio (circa 109 GtCO2), tenuto conto di una tolleranza ottimistica per le emissioni derivanti dalla produzione di cemento (100 GtCO2). Non è considerata la CO2 derivante dal cambiamento di uso del suolo e dalla silvicoltura, supponendo che le emissioni derivanti dovrebbero raggiungere il pareggio nel resto del secolo. Per il cemento si presuppone che le emissioni di processo siano ridotte e infine eliminate. Per ulteriori informazioni vedere Anderson et al 2020.

3. Ci sono varie stime di dove portano gli impegni collettivi delle nazioni per ridurre le emissioni in termini di aumento della temperatura globale. Tuttavia l’inquadramento altamente ambiguo sia degli NDC che degli obiettivi di zero netto, non permette di fornire una stima solida delle emissioni totali e quindi della temperatura. In pratica, le stime che sono state fornite da gruppi indipendenti si basano pesantemente su ipotesi abbastanza eroiche fatte dagli analisti per colmare le lacune nei dati nazionali e, spesso, per tradurre promesse ambigue e vaghe in valori numerici. A nostro avviso, alcune delle stime di alto profilo si basano su ipotesi eccessivamente ottimistiche e su interpretazioni molto favorevoli delle differenti promesse e impegni, in realtà ben poco chiari, che costituiscono gli NDC. Il valore di da 3 a 4 °C di aumento di temperatura è stato stimato considerando la traiettoria delle attuali tendenze nelle emissioni, il modo in cui le nazioni più attive dal punto di vista climatico (con obiettivi di zero netto annunciati) sono contemporaneamente ancora alla ricerca di nuove risorse petrolifere e di gas e la significativa fiducia riposta nelle future tecniche di rimozione dell’anidride carbonica.

4. S. Kartha et al., An assessment of the global distribution of consumption emissions among individuals from 1990 to 2015 and beyond, Joint Research Report. Stockholm Environment Institute and Oxfam International. (2020). DOI: 10.21201/2020.649.

5. UNEP Emission Gap Report 2020.

Qui il PDF


3 commenti a “La matematica dell’equità. Giustizia e climate change”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *