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Il programma del Governo Meloni prevede l’attuazione dell’autonomia differenziata, affidata al ministro leghista Calderoli che si è già attivato facendo discutere in Conferenza Stato Regioni la sua proposta di legge-quadro per conferire maggiori poteri e risorse alle regioni “virtuose” e “proattive”. Ammettere che il terzo comma dell’art. 116 non può essere attuato direttamente, ma che necessita di norme integrative che pongano delle garanzie a tutela dell’unità della Repubblica, potrebbe sembrare un abbassamento dei toni rispetto alle esorbitanti e roboanti rivendicazioni di autonomia differenziata “per merito” della scorsa Legislatura.

A ben vedere, però, una legge ordinaria recante le modalità di raggiungimento delle intese tra lo Stato e le Regioni non possiede la forza di evitare che possa riattivarsi un percorso sulla scia delle pre-intese raggiunte nel 2018: la legge contenente le intese è successiva e rafforzata dal voto a maggioranza assoluta e potrà, dunque, non adeguarsi alla legge-quadro precedente. Da qui l’evidenza che soltanto una disciplina di rango costituzionale potrebbe integrare quanto infautamente consentito dal terzo comma dell’art. 116, impedendo che possa ripetersi il cammino improvvidamente aperto dai famosi pre-accordi sottoscritti da un sottosegretario in chiusura di Legislatura. Sotto questo profilo sono particolarmente significative le “disposizioni finali” del ddl Calderoli: «Le disposizioni della presente legge si applicano, in relazione al livello di avanzamento formalizzato, anche agli atti di iniziativa delle Regioni, presentati al Governo e concordati con il medesimo prima della data di entrata in vigore della presente legge».

Inoltre l’asserita continuità con l’idea della legge-quadro del precedente ministro per gli Affari regionali PD, Boccia, è funzionale a negare quello che la pandemia ha svelato impietosamente: da un lato, il merito vantato da alcune Regioni si è mostrato in tutta la sua evanescenza durante la pandemia; dall’altro, l’aggravarsi delle diseguaglianze territoriali in termini di effettività di diritti fondamentali – come salute, scuola, assistenza sociale – rende oggi evidente che nessuna maggiore autonomia e connesse risorse maggiorate possano essere affidate prima di un recupero delle condizioni di pari dignità sociale di chi abita in territori deprivati dei servizi essenziali.

Difronte a questo stato di cose proporre di raggiungere le intese Stato -“Regione da premiare”, ancor prima di aver stabilito i (peraltro insufficienti) livelli essenziali delle prestazioni dei diritti sociali, per di più affidando risorse in base alla spesa storica che appunto ha prodotto quelle diseguaglianze tra territori, è in palese contrasto con qualunque principio di eguaglianza sostanziale tra abitanti in base alla loro residenza: se si dichiara di voler stabilire i livelli essenziali per le norme generali sull’istruzione, l’ambiente, l’ecosistema e i beni culturali e per la tutela della salute, si aggiunge anche che, decorso inutilmente un anno, si procede comunque alla devoluzione alle Regioni di queste materie esclusive statali sulla base della spesa storica. Nulla è detto per tutte le altre materie concorrenti tra Stato e Regioni che niente impedisce che possano essere devolute in blocco, limitandosi il ddl a parlare di intese su “una o più materie”.

A stabilire poi le risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie all’esercizio da parte di una Regione sarà una anonima Commissione paritetica la cui composizione è stabilita dall’intesa stessa e che dovrà usare ancora una volta il criterio della spesa storica sostenuta dalle amministrazioni statali nella regione.

A questo criterio, che continua a premiare chi è stato per anni premiato e ad abbandonare i territori da anni abbandonati, ancora una volta si affianca la pretesa di trattenere la riserva di aliquota o le compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale: si tratta dell’annosa questione del fantomatico quanto vittimistico “residuo fiscale”, formula con cui si indica il “saldo” fra ciò che ciascuna Regione riceve in termini di spesa pubblica e il suo contributo in termini di prelievo fiscale. La Corte costituzionale ha respinto qualunque argomentazione facesse leva su questo presunto parametro che, contrariamente a quanto afferma il ddl, «non può essere considerato un criterio specificativo dei precetti contenuti nell’art. 119 Cost., sia perché sono controverse le modalità appropriate di calcolo del differenziale tra risorse fiscalmente acquisite e loro reimpiego negli ambiti territoriali di provenienza, sia perché “l’assoluto equilibrio tra prelievo fiscale ed impiego di quest’ultimo sul territorio di provenienza non è un principio espresso dalla disposizione costituzionale invocata (sent. n. 83 del 2016)” (sentenza n. 69 del 2016)».

Dal punto di vista dei principi e dei contenuti delle forme particolari di autonomia, dunque, per la Lega nulla è cambiato: devoluzione in blocco di tutte le materie, spesa storica che premia chi finora ha ricevuto di più e residuo fiscale.

Dal punto di vista delle procedure con cui raggiungere le intese, anche, nessuna novità. Si affida ai soli vertici del Governo e della Regione il contenuto dell’intesa su cui il Parlamento interviene con una «mera approvazione». L’unica concessione all’organo costituzionale titolare delle funzioni che vengono con l’intesa devolute alla Regione è il parere non obbligatorio e non vincolate della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Emerge con forza quanto le Camere non siano considerate davvero le titolari della funzione legislativa ma organi consenzienti per natura al potere decidente. Non resta che sperare che il Parlamento rifiuti di perdere la propria dignità costituzionale perché è il cuore di una democrazia rappresentativa: purtroppo il sistema elettorale con cui vengono attribuiti i seggi parlamentari non rispetta la pari dignità degli elettori che vedono il loro voto distorto e disperso.

Solo con l’effettività del principio di eguaglianza nei diritti politici potremo riaffermare il compito per eccellenza della nostra Repubblica: lottare contro le diseguaglianze per consentire il pieno sviluppo della personalità di ogni abitante e la sua effettiva partecipazione alla vita consociata con pari dignità sociale.

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