Il giorno del funerale di Gorbachev, si è svolta a Mosca un’iniziativa politica – la “Maratona per Gorbachev” – promossa da “Jabloko” il movimento politico fondato dall’economista Gregory Javlinskij. Si è trattato di una maratona durata 8 ore durante le quali – in presenza e collegati via Zoom – si sono succedute testimonianze per ricordare come Mikhail Sergejevich ha cambiato la nostra vita. Sono intervenute figure che hanno condiviso fasi importanti dell’azione politica di Gorbachev durante la Perestrojka e che negli anni a venire hanno portato avanti il cuore di quel processo facendo i conti con una piega sempre più soffocante del potere che si è consolidato fino a esprimersi nella Guerra con l’Ucraina. Persone che in questi anni e ancora oggi sono il riferimento nella lotta per l’affermazione dei diritti umani, per la libertà di espressione e di parola e che rappresentano l’altra possibile Russia. Sono emersi molti spunti per una riflessione che non si esaurisce nello spazio della Russia ma propone interrogativi che riguardano anche noi, qui in Italia e nello scenario europeo. Credo che si sia trattato di un’occasione straordinaria e per diverse ragioni.

La prima è che non mi pare siano stati approfonditi, sia sul fronte interno che estero, una riflessione e un dibattito sulla fine dei processi della Perestrojka e della Glastnost, il putch del 1991 e la fine dell’Unione Sovietica. Penso a una riflessione storica solo parzialmente esaurita sugli anni di stravolgimenti internazionali che pure avevano aperto scenari tanto attesi quanto disattesi. Generazioni di persone che sognavano e si sono battuti per la fine della guerra fredda e della corsa agli armamenti; il superamento della logica dei blocchi, la caduta del muro di Berlino, la riforma delle Nazioni Unite sono rimaste “a mani vuote” in termini di realizzazione di questi auspici. Anni determinanti, in cui l’auspicata uscita da quella logica infernale è stata seguita da processi contrastanti dove molte aspirazioni genuine e progressiste hanno trovato un nuovo muro, nuovi poteri con cui fare i conti. La discussione sviluppata in occasione della Maratona per Gorbachev proponeva naturalmente una riflessione che partiva dal contributo che lui, l’uomo e il politico, ha portato con la sua impronta all’interno del sistema sovietico e a livello internazionale. Forse perfino nelle aspettative degli organizzatori, il dibattito è andato oltre l’omaggio al politico che ha segnato la storia moderna come nessun altro. Come mi ha raccontato Nadjezhda Azhgikhina, giornalista indipendente russa impegnata nella lotta per la libertà di stampa e di espressione che è intervenuta nell’evento: “Con alcuni amici e colleghi abbiamo pensato che Gorbachev perfino con la sua morte ha voluto farci un ultimo regalo: costringerci a ritrovarci, a riunirci, e a confrontarci condividendo il significato politico della Perestrojka e della Glasnost, e cosa sia accaduto con il colpo di Stato nel 1991 per misurarci, adesso e qui, con il presente, recuperando l’eredità degli anni della stagione da lui realizzata”. Questa riflessione – necessaria anche per capire il presente e guardare al futuro – in occasione del 30° anniversario del putch è passata quasi sotto silenzio. È stato quasi come se quella pagina di storia non avesse avuto importanza e non vi fossero legami con quanto si è andato sviluppando negli anni post-Perestrojka, prima con Eltsin e poi con Putin. Una rimozione nella quale si cela anche una sottovalutazione che riguarda i russi e pure noi, Occidente tutto. Istituzioni, movimenti politici e società civile, su come il potere di Putin ha man mano strutturato la sua morsa nella società, a tutti i livelli, fino a esercitare il controllo totale. Cosa sia rimasto di quei processi e fare i conti con il progressivo contrasto a quelle idee in cui tanti intellettuali, tanta società civile (a cominciare da Dimitri Muratov) hanno creduto e speravano si potesse consolidare nel mondo della ex-URSS, è una domanda che ha attraversato l’incontro, ma che va anche oltre e dalla quale non si potrà prescindere ai giorni nostri e in futuro. Javlinskij e altri intervenuti hanno riportato il segno di speranza derivante dal fatto che nella fila per portare omaggio a Gorbachev nella famosa Sala delle colonne, c’erano soprattutto giovani tra i 20 e i 30 anni. Persone nate dopo la fine dell’URSS e che dei 6 anni di governo di Gorbachev hanno solo potuto sentire parlare alla lontana e spesso in modo negativo quando non con disprezzo. Più volte in questo incontro si è sentito dire che la speranza della Russia di oggi poggia sul fatto che la percezione più sincera del senso della Perestroijka e della Glastnost di Gorbachev è più forte in questi giovani. Del resto i diversi sondaggi, per quello che valgono nel contesto del regime di Putin, rivelano in questi mesi un dato che preoccupa il Cremlino e riguarda proprio questi giovani che in maggioranza non appoggiano la cosiddetta “operazione speciale”. La presenza dunque di questi giovani in fila per rendere omaggio a Gorbachev è un messaggio prezioso, sottolineato, ad esempio, da Jan Rachinskij, direttore dell’Ong fondata dal Nobel per la pace Andrej Sakharov, che custodisce la memoria di milioni di vittime dei lagher e il registro dei detenuti politici della Russia contemporanea. “Questo ci dice che non è tutto perduto.” Che l’eredità di quanto fatto da Gorbachev ha lasciato il segno e rappresenta una speranza per il futuro. Considerato che Rachinskij aveva iniziato ricordando la repressione e la chiusura di Memorial proprio poco prima dell’inizio della guerra e del contesto che vede soffocata la libertà di espressione, tutto questo assume un peso e un significato rilevante. Dunque non solo membri più o meno noti del Movimento Jabloko ma tanti attori della società civile, giornalisti della intelighenzia russa. Uno dopo l’altro hanno riflettuto sul passato, sulla Perestrojka e sul colpo di stato del 1991, come detto prima, più di quanto non sia accaduto lo scorso anno in occasione del 30° anniversario. Una riflessione che rappresenta pure un’analisi dura e senza sconti verso quanto sia mancata progressivamente l’agibilità politica in Russia, di quanto il mancato sostegno a Gorbachev a suo tempo da parte dell’Occidente sia simile alla mancanza di investimento nelle relazioni con la società civile russa, soprattutto quando questa richiamava l’attenzione dell’occidente sulla restrizioni degli spazi democratici e sulla repressione degli spazi di azione per la società civile. Il bisogno di Glastnost – trasparenza – era ed è la base per la possibilità di un cambiamento nella società e nel rapporto fra cittadini e istituzioni.

Dimitri Muratov, ha aperto il corteo che ha accompagnato Gorbachev al cimitero Novodevichy. Lì, Mikhail Sergejevitch è stato sepolto affianco alla moglie Raissa Maximovna. Gesti e fatti che segnano il nostro tempo e la storia. Messaggi rivolti all’opinione pubblica russa e quella di tutto il mondo. Immediatamente dopo questa giornata a suo modo emblematica e che propone diverse riflessioni e interpretazioni, è arrivato un ulteriore attacco alla libertà di espressione e di informazione. In poche ore il tribunale di Mosca ha annullato la registrazione per la pubblicazione a stampa della Novaja Gazeta e il tribunale di Pietroburgo ha condannato a 22 anni di reclusione il giornalista Ivan Safronov. Segnali che se da un lato indicano l’inasprimento di repressione al tempo stesso rasentano il timore di chi la esercita.

Pochissimi gli stranieri invitati a partecipare. Tra questi l’ex Presidente della Polonia Lech Wałęsa. Segno anche questo del progressivo disinteresse e distacco, di una perdita di relazioni con quel mondo da parte nostra. Di seguito l’intervento che ho fatto in quella sede perché invitata a portare la mia testimonianza. Spero possa essere un contributo per una discussione nel nostro contesto, rileggendo i processi da dentro. Sì perché nella dimensione politica del pacifismo italiano ha tanto creduto e investito la mia generazione. Il femminismo pacifista italiano che ci ha viste impegnate nella costruzione di percorsi per visitare luoghi difficili. Persone poi come Tom Benetollo e Alex Langer hanno espresso una parte significativa dell’originalità italiana nel cotesto mondiale. Riprendere i fili di quella maglia complessa di pensiero è a mio parere utile quanto necessaria.

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È un onore poter testimoniare a un evento per salutare una personalità umanamente e storicamente straordinaria come Michail Sergejevich Gorbachev. Il mio è un umile contributo di fronte alla persona che come nessun altro nella storia della mia generazione ha saputo imprimere un cambiamento così dirompente. Ha rotto il tabù del destino inevitabile di un mondo diviso per blocchi. Lo ha fatto provocando l’abbattimento di muri, non solo fisici, e infrangendo logiche che soffocavano i popoli della ex-URSS, e aprendo all’incontro con i popoli del resto del mondo. Con lui si è aperta una nuova comunicazione tra popolazioni al di là e al di qua della “cortina di ferro”. La mia generazione e quelle a venire hanno potuto conoscere tutto questo e toccarlo con mano. Attraversare la frontiera, finalmente aprendo al semplice diritto ad avere un passaporto. E al tempo stesso per gli stranieri il non dover avere più giustificazioni per poter ottenere un visto per visitare la Russia. Qualcuno dirà: “La storia avrebbe fatto il suo corso comunque”. Io non credo. Soprattutto sono convinta che l’impronta personale data da Gorbachev è stata unica e determinante, in un quadro interno e mondiale prigioniero in un circolo vizioso segnato dalla corsa agli armamenti nucleari. Per me e tanti italiani impegnati nella lotta contro i missili dagli Urali al Portogallo, Gorbachev è stato colui che ha dimostrato che superare quella logica distruttiva era possibile e utile per tutti. Investire nel cambiamento, nella libertà di espressione e di partecipazione alla costruzione di un futuro nuovo e democratico, dove i popoli dell’ex-URSS potessero prendere in mano il proprio destino e stabilire una nuova relazione nel rispetto della reciproca indipendenza. Chi ha conosciuto la Russia e le altre repubbliche solo dopo il collasso dell’Unione Sovietica, anche con la più fervida immaginazione non riesce a capire quale era la realtà del mondo imbalsamato in cui abbiamo imparato a camminare e che abbiamo fatto di tutto per cambiare. Certo non basta la libertà formale, ci vuole che poi si possano esercitare libertà individuali, collettive e du partecipazione alla gestione della cosa pubblica, alla gestione del proprio destino sociale, politico ed economico. Per aprire questo nuovo mondo ci voleva un coraggio visionario, capace di rompere gli schemi e lanciare la sfida dell’apertura di spazi di partecipazione in cui le persone percepiscono di poter prendere in mano il proprio futuro come diritto e dovere di una piena cittadinanza. Bisogna saper rompere la logica tipica dei burocrati e degli apparatchiki. Bisogna rischiare di intaccare poteri e privilegi, smontare la cortina di ferro che c’era anche fra chi governa e chi è governato, chi amministra e chi è amministrato. Il coraggio di chi rompe impalcature di poteri e privilegi consolidati non è gradito da chi li detiene. È un coraggio che per chi ha il potere e vuole mantenere i privilegi rappresenta un disturbo da fermare. Glastnost e Perestrojka sono termini della lingua russa che hanno attraversato il mondo come parole piene di significato e di speranza. Vale per il fronte interno e per quello internazionale, dove per chi voleva la fine dell’URSS come potenza, la simpatia e l’umanità di Gorbachev erano altrettanto scomode e andavano fermate. Non è un caso che il giorno dopo il putch si sarebbe dovuto firmare l’accordo per la costituzione di una nuova unione di Stati. Tra chi dall’interno e chi dall’esterno era contento di fermare il processo avviato da Gorbachev c’è stata una diabolica combinazione di comuni interessi, che nell’agosto del 1991 si verificasse il putch e al momento della sua liberazione dopo il rapimento, non si verificasse l’accoglienza che meritava. Ero a Mosca in quei giorni con altri italiani di diverse associazione per i diritti umani e per la pace per partecipare alla Convenzione Europea per il Disarmo. Partecipammo alla spontanea mobilitazione per fermare i carri armati, alle barricate intorno al Cremlino e al presidio per impedire che i golpisti prendessero il sopravvento. Salimmo insieme a tanti cittadini di Mosca, donne, bambini e uomini che non esitarono a mettere di traverso i filobus tra la Tverskaja e la Maneznhaja per non fare arrivare i carri sulla piazza Rossa. Rimpiango il coraggio e la determinazione dei moscoviti di allora, da Rostropovich alla semplice cittadina che sentiva il bisogno di difendere quanto conquistato grazie al velo stracciato da Gorbachev. È la Russia delle persone che penso oggi vorrebbero una realtà diversa da quella apertasi il 24 febbraio. Al pericolo della guerra nucleare oppongono il coraggio del dialogo, del riconoscimento e rispetto reciproco. Tra Russia e Occidente, e tra Russia e Ucraina. Il coraggio che appunto ebbe Gorbachev nel rompere gli steccati e le logiche date. La sua lezione è che è possibile farlo anche quando tutto parrebbe dire che non si possa. Questo ha rappresentato Gorbachev e per questo provo profonda gratitudine, e la voglio esprimere oggi perché credo che ognuno di noi può e deve fare qualcosa per invertire la rotta; perché un mondo diverso è possibile. Dipende anche da noi. Questa è l’eredità che dovremmo tutti prendere in mano con coraggio se volessimo provare a uscire dal baratro in cui ci troviamo, in Occidente come in Russia.

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