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Articolo pubblicato su “il manifesto” del 28.09.2023.

Dice bene la Presidente del Consiglio: l’attuale Governo sta provando a mutare il “paradigma” in materia di migrazioni. Proponendosi di abbandonare quello costituzionale, che si fonda sul principio di dignità delle persone, per adottare quello sicuritario, che si preoccupa di difendere i confini da invasioni di persone senza volto che attentano alla identità del Paese.

Non v’è dubbio che tutte le misure dell’attuale maggioranza di destra vanno in una medesima coerente direzione. Fermare i flussi “a monte”, impedire le partenze, trattenere e rimpatriare chi riesce comunque ad arrivare. Peccato che sia una strategia votata al fallimento, già sperimentata con esiti disastrosi in passato, e del tutto fuori sia dall’orizzonte costituzionale sia dall’ordinamento europeo.

È contro la storia, infatti, pensare di contrastare il diritto all’esodo. Le moltitudini non possono essere fermate, fossero anche solo sospinte dall’illusione di raggiungere una presunta terra promessa. Straordinaria la testimonianza del film di Matteo Garrone per comprendere come non è neppure la carestia o la guerra a muovere i popoli, ma è la volontà di riscatto della propria condizione che porta i migranti a confrontarsi con gli orrori del mondo. Una volta in marcia non sarà il deserto a fermare i migranti, figuriamoci se possono farsi impressionare da qualche mese in più in strutture dal nome esoterico come i “Centri di Permanenza e Rimpatrio”. Chi è Giorgia per un migrante?

D’altronde il paradigma sicuritario era già stato sperimentato in Italia dalla strategia della “chiusura dei porti”. Una prova di forza che ha portato solo a violare pressoché tutte le norme di diritto internazionale e quelle costituzionali. Per fortuna lo Stato di diritto e gli obblighi di conformazione al diritto internazionale stanno facendo il loro corso e l’arroganza del potere è ora sotto processo. Assolvendo chi ha difeso i naufraghi e rispettato il diritto del mare (Carola Rackete); sottoponendo a giudizio chi ha ritenuto di potere operare calpestando i diritti umani abusando della sua posizione di potere (Matteo Salvini).

Ma è sul terzo profilo che vorrei richiamare l’attenzione. Quel che più impressiona nelle politiche migratorie e sicuritarie poste in essere dall’attuale Governo – nel succedersi di atti improvvisati (decreti legge) definiti sulla spinta dell’emozione del momento (Cutro, un eccesso di sbarchi a Lampedusa) – è l’assenza di ogni considerazione d’ordine costituzionale e internazionale. Sembra quasi che dignità sociale, diritti inviolabili, doveri di solidarietà, libertà personale non fossero mai stati scritti tra i principi fondamentali della Repubblica, ovvero che essi non possano essere riferiti agli stranieri. Se solo si riflettesse su questi sacri principi ci si renderebbe conto della necessità di chiudere i Centri di Permanenza e Rimpatrio, altro che estendere il tempo di trattenimento. Quando la Corte costituzionale ha pure ritenuto legittimo il trattenimento in quelli che allora venivano denominati “centri di permanenza temporanea”, la cui durata massima era di soli 20 giorni, prorogabili dal giudice per ulteriori 10, ha confermato che esso rappresenta pur sempre una misura sottoposta alle garanzie di cui all’articolo 13 della Costituzione, che prevede sia punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizione di libertà. Analogamente la Corte di Strasburgo impone l’osservanza degli standard minimi fissati dalla CEDU, specificando che non sono ammessi trattamenti disumani e degradanti, che deve assicurarsi la libertà e sicurezza delle persone “trattenute”, nonché il rispetto della loro vita privata e familiare. Nessuno di questi presupposti di civiltà sono assicurati nei centri. Per questo dovrebbero essere chiusi e sostituiti eventualmente da altre strutture di accoglienze e altre forme di controllo.

L’assenza di ogni conoscenza della realtà delle migrazioni, che coinvolge persone fragili, nonché l’improvvisazione delle misure che vengono adottate, sono emerse da ultimo nella sconsiderata decisione di prevedere che i migranti in attesa della domanda d’asilo possano evitare il trattenimento versando una cauzione pari a 4.938 euro tramite fideiussione bancaria. Ma con chi pensano di avere a che fare?

Piuttosto, visto che la giustificazione è stata quella di una (evidentemente affrettata) letture della direttiva europea che individua le misure alternative al trattenimento, si dovrebbero considerare le altre ipotesi indicate: quelle che prevedono, in modo meno costrittivo, l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità ovvero all’obbligo di dimora in un luogo assegnato. Riflettano sul fatto che – come viene espressamente affermato in quella stessa direttiva – la regola generale è che i richiedenti asilo possono liberamente circolare nel territorio dello Stato membro ospitante o nel luogo loro assegnato.

Con l’ultimo decreto si prevede di raccogliere chiunque – compresi i minori – nelle strutture di assistenza che potranno trattenere il doppio delle persone rispetto alla capienza prevista, sottraendo altri diritti e peggiorando le condizioni di vita. Una polveriera, che produrrà le sue violenze e sarà la ragione di ulteriori inasprimenti. In un regresso all’infinito, sino all’esplosione finale.

La strada da intraprendere è un’altra se si vuole affrontare con serietà e senso di umanità la questione non facile, ma che non può essere semplicemente repressa o rimossa, delle migrazioni al tempo delle moltitudini in marcia. Un cambio di “paradigma” che coinvolga il governo del mondo per accogliere, per redistribuire e per regolare i flussi. In questo conteso all’Italia – Paese di primo approdo – spetterebbe il ruolo di farsi promotore ed interprete di un così ambizioso cambiamento, operando essenzialmente sul piano delle politiche europeo e internazionali. Un lungo percorso, per nulla facile da intraprendere, ma se si va in direzione opposta si finirà per trovarsi da soli contro i popoli migranti a difesa di confini porosi e con il fucile spianato. Un ben triste destino.

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