Vagando nei miei pensieri intorno a questo scritto, è emerso dalle reviviscenze del mio passato il volto di mio nonna che, tenendo in mano, sollevata in controluce una stoffa da cucire, diceva sconsolata: “Non se ne ha un verso.”
Le mani, il lavoro di cucito erano intente a imprimere al tessuto una forma, un equilibrio di bellezza e armonia che sfuggiva: il tessuto pendeva, la forma si sbrindellava, non assumeva il verso desiderato. La frase di mia nonna esprimeva un metodo che trae ispirazione dalle posture, dai gesti che nascono dai movimenti della vita, un paziente esercizio di affinamento dello sguardo, della memoria, della trama con l’ordito. Un verso che richiama il verso poetico, che si sottrae alla combinazione arbitraria delle circostanze per offrirsi a ciò che è inevitabile e significativo, in una composizione posata, densa, ma al tempo stesso, simbolica, evocativa.
In questi giorni è comparso alla ribalta mediatica un altro verso, il Metaverso, una nuova piattaforma online, dove la rete si trasformerà in una realtà a sé, un meta-luogo virtuale, un ambiente digitale immersivo, popolato dagli avatar – versioni digitali, graficamente accurate di noi stessi – che ognuno sarà libero di scegliere, inseriti in contesti dove sarà possibile simulare la nostra quotidianità tramite la riproduzione di ambienti, strade, case, uffici, negozi virtuali. Immersi nel Metaverso, passeremo da una riunione all’altra, da un incontro di lavoro, a un concerto, a una festa fra amici, in una dimensione digitale accessibile per mezzo della tecnologia di visori di realtà virtuale e di sensori indossabili. Una simulazione vissuta tramite un processo dissociativo: restando seduti nella propria stanza, sarà possibile essere contemporaneamente altrove, immedesimati nei nostri avatar e nelle loro varie vite parallele.
Nel mondo virtuale 3D presentato il 28 Ottobre da Mark Zuckemberg – nell’intento di cancellare la recente serie di rivelazioni e denunce sulle pratiche distruttive e antidemocratiche messe in atto dall’azienda –il gruppo Facebook cambierà nome: si chiamerà Meta. L’obiettivo che viene perseguito non è il verso, ma un al di là dove sarà possibile sfuggire ai confini della realtà fisica, storica, ai limiti dell’identità personale, attraverso versioni digitali di sé scelte a piacere, uguali o diverse nell’aspetto da come siamo veramente, nell’età, nel genere, nella nostra condizione sociale. Una realtà virtuale e aumentata proiettata nella rete dove potremo “magicamente” essere teletrasportati e interconnessi contemporaneamente con altre persone-avatar, partecipare a riunioni di lavoro, di studio, di allenamento oppure di intrattenimento. Così Mark Zuckemberg ha presentato la sua nuova piattaforma-social: “Siamo una tecnologia pensata per connettere le persone – mostra una partita a carte con altri avatar e un robot virtuale – potremo sentire la presenza degli altri come se fossero lì, il loro linguaggio dei corpi, le loro espressioni. Potremo invitare le persone a casa nostra e avviare un meeting, la casa diventerà un ufficio”.
La distorsione, la mistificazione di queste parole finalizzate ai modelli di business, alla capitalizzazione di mercato, è talmente sconcertante da spingere a credere che possa essere vera: in queste affermazioni saltano i parametri logici di riferimento alla realtà, alla vita vissuta, alle esperienze umane, alla loro natura psichica e biologica storico-relazionale. La quotidianità viene inserita in una prassi astratta, autonoma, regressiva, prefigurata dalla potenza di elaborazione degli algoritmi dell’intelligenza artificiale, in un mondo a uso interno, autoreferenziale, che trova nella condivisione virtuale, nella simulazione, il proprio strumento – alibi di partecipazione. Il processo di manipolazione è così profondo da identificarsi con un movimento proiettivo allucinatorio a cui si deve aderire, capace di rispondere a un’istanza paranoica inconscia estremamente suggestiva e dunque contagiosa sul piano psichico, veicolata da sentimenti di insicurezza, rabbia, paura, predominio, vendetta.
Quello che viene fornito è un altro mondo virtuale dove sarà possibile scegliere,selezionare, chi fare entrare e chi escludere, un mondo fatto a misura di ciascuno e dunque liberato da tutti quegli elementi di conflitto, di dubbio, di crisi che la realtà vera, con la sua inesauribile complessità e pluralità implica, una dimensione epurata, funzionale, direzionata. Non ci sarà bisogno di andare su Marte, come solo i super-ricchi con le loro spedizioni spaziali possono fare: viene configurato un mondo modellabile, a portata di tutti, dove ci si può incontrare, raggruppare fra simili escludendo i diversi, gli invasori, i nemici. Ognuno potrà avere il suo piccolo regno, con inviolabili confini virtuali: non ci saranno i barconi nel mare. Finché potremo stare dentro il nostro pianeta di finzione saremo salvi, sicuri, protetti nella nostra sfera digitale, potentissima nella sua capacità computazionale: dalla scelta del corpo, dei capelli del proprio avatar a quella degli arredi di ambienti che si possono meravigliosamente modificare, rendere transitori, reversibili; da casa, a ufficio, a palestra, dove, come vogliamo, nel nostro Metaverso virtuale.
Lo stesso oligopolio digitale Facebook che con il suo modello di business “basato sulla sorveglianza” Amnesty International ha definito “lesivo della privacy e una minaccia di carattere sistemico per una serie di altri diritti tra i quali la libertà di opinione ed espressione, la libertà di pensiero e i diritti all’uguaglianza e alla non discriminazione” viene presentato dalle parole di Mark Zuckemberg come “un’azienda che costruisce tecnologia pensata per connettere le persone. Insieme possiamo finalmente mettere la gente al centro della tecnologia per riflettere su chi siamo e su cosa speriamo di creare.”
Nel Metaverso sarà possibile trasferire una copia virtuale di sé sull’etere – avatar fatti di pixel in grado di acquisire la biometria di un individuo – incapsulati su piattaforme virtuali immersive, dove potremo molto più facilmente essere sorvegliati e manipolati, teletrasportati in luoghi che non saranno più inseriti nei tessuti delle esperienze e dei saperi che articolano il vivente e l’umano. Un mondo parallelo come quello del film di Gabriele Salvatores Nirvana, da dove sarà difficile uscire, perché sempre più educati, stimolati a sopravvivere in una dimensione illusoria autoreferenziale, isolati dalle richieste della convivenza sociale, in una amplificazione algoritmica guidata dal profitto. Un progetto futuristico che segna, come ha affermato Mark Zuckemberg, nelle sue intenzioni, una svolta epocale: “Siamo all’inizio del prossimo capitolo di Internet e del prossimo capitolo della nostra società.”
Corpi in transizione programmati da dispositivi tecnologici, tramonto del soggetto dissolto in un sistema di connessioni, dove la novità, l’unicità individuale rischia di essere assorbita dagli standard predefiniti della comunicazione informatizzata: esseri da cui estrarre dati, dove il corpo non interiorizzato diventa strumento operativo di prestigio, un segno dello status sociale da modellare e conformare. Nei lanci pubblicitari della piattaforma Metaverso, sono state mostrate versioni di Mark Zuchemberg mentre tira di scherma o fa ginnastica sullo sfondo esotico di palme tropicali!
Ma, al di là dei contenuti pubblicitari, non è possibile prevedere il tipo di risposta, di successo commerciale che la piattaforma Metaverso otterrà presso i quasi tre miliardi di utenti dei social media di Facebook: è comunque necessario considerare l’ascendente carismatico esercitato da personaggi come Mark Zuchemberg e la potenza suggestiva, manipolativa del messaggio veicolato.
Una dimensione virtuale che si confronta con l’esperienza psichica nei suoi passaggi immaginari tra vita e sogno, presentata come un’alternativa meravigliosa, come un rimedio tecnologico all’insicurezza, all’alienazione che incombe sulle nostre vite. Rimedio che invece intensifica i vissuti paranoici nella loro scissione psichica, fra amici-nemici, dentro-fuori, la perdita della vicinanza percettiva nella vita vissuta, la lontananza del vivente da se stesso, nella frantumazione dal tessuto di riti, di tradizioni, di scambi collaborativi volti alla cura, al cambiamento politico e sociale. In un processo crescente di artificializzazione, la carnalità del corpo viene fatta sparire, lo spazio fisico, l’ambiente storico-naturale, svanire, il contesto culturale, linguistico, religioso di appartenenza, scomparire: l’esistenza individuale, la sua vita psichica deve ormai situarsi in un contesto sempre più fluido, in perenne mutamento, governato dalla velocità dei processi di informatizzazione, dalle proprietà della rete. Immagini sorvegliate, catturate dalla contingenza legata all’utile e all’interesse, mosse nel recinto della volatilità compresa fra l’offerta e la domanda del mercato, gaming e criptovalute: “Tecniche mirate – comescrive Lelio Demichelis – dove il soggetto deve liberamente assoggettarsi credendo di essere una cosa sola con l’organizzazione… L’emozione, l’emotività, il sentimento di appartenenza, la percezione di benessere, il coinvolgimento emotivo e su tutto il commitment di ciascuno e il suo empowerment/engagement prestazionale, oggi pulsionale” (Lelio Demichelis, La grande alienazione. Jaca Book, Milano, 2018, p.202).
Il messaggio promozionale del tecno-capitalismo è chiaro: voi esseri umani costretti a vivere sempre più isolati, affaticati, angosciati da un senso di precarietà, di catastrofe imminente, voi che avete perso la possibilità di migliorare la vostra vita in maniera significativa, di cambiare il vostro futuro, a voi, proprio a ognuno di voi, la nuova piattaforma Metaverso offrirà ciò che altrimenti non potreste mai possedere, un universo in continua espansione, che sarà possibile personalizzare, rendere completamente rispondente ai vostri desideri e bisogni, libero da ogni vincolo spazio-temporale, un vostro spazio virtuale da poter condividere con le persone che voi sceglierete. In questa fuga dalla realtà, potrete vivere nuove esperienze in compagnia dei vostri amici e dei loro avatar, guardare film, giocare, lavorare, studiare, all’interno di questo ecosistema virtuale: “Niente più interruzioni tra un’attività e l’altra, l’esperienza sarà complessiva, all’interno del visore, aprendo le porte fra mondi, sfondando il muro fra realtà virtuale e fisica”.
Ma l’inconscio parla, racconta il senso profondo di smarrimento che opprime la nostra vita: l’impatto dei cambiamenti climatici, delle guerre, pandemie, il confronto con le crescenti disuguaglianze economiche e sociali, il senso di una conflittualità e frantumazione individuale e collettiva pervasiva, come nelle immagini del sogno di una adolescente: “Sono in un mondo infinito ma è tutto uguale, sono su un sentiero unico, come se ci fosse la fine del mondo in atto. Corro e urlo la mia frustrazione, la rabbia di non vedere nessuno. Ogni tanto incontro delle persone, ma sono un po’ morte, senza anima. Non percepisco più i colori come prima. Non riesco più a parlare.”
Su un sentiero unico non si può esplorare, domandare, si deve andare. In un infinito tutto uguale – omologato, sorvegliato – non ci si può incontrare. L’incontro con gli altri è tale solo se avviene tramite l’anima, se tocca, sconvolge, commuove, muove a guardarsi, a cercarsi, a provare a capirsi nel confronto con la dinamica psichica inconscia: paure, rifiuti, odi e insieme aperture, curiosità, amori, nell’aspirazione rivelativa, nel divenire del processo di integrazione psichica della coscienza individuale e collettiva.
L’uomo moderno, creatore-padrone del nuovo mondo, vive nel mito di una crescita continua – accelerata, irresistibile – grazie all’espansione del dominio dei mercati globali: maggiori profitti, maggiore benessere. Questa è la narrazione che ci ha condizionato, contagiato psichicamente sul piano individuale e collettivo, in un finto insieme che nega, abolisce le discriminazioni, i conflitti sociali, le disuguaglianze. La narrazione, in primo luogo, del capitalismo digitale, come recita uno dei suoi slogan “per noi è sempre il primo giorno” in un tempo, che proprio nella sua implementazione programmata, tende a esaurirsi nella logica della prestazione, nel calcolo dell’efficienza, ripetendo ossessivamente se stesso in un primo giorno che nega la dimensione storica, biologica, psichica nel suo lento divenire trasformativo, fatto di nascita e morte, lasciti ancestrali, echi inconsci.
Questa narrazione abbagliante nel suo potere illusorio, crolla, deflagra nel conflitto con il vivo delle dinamiche psichiche, nel diffondersi di vissuti regressivi e disgregativi – panici, depressivi, paranoici – legati all’incertezza, alla mancanza del senso di riferimenti autentici, di valori affidabili, di una tenuta sociale condivisa, al venir meno dell’interrogazione interiore nel dialogo con le proprie dinamiche psichiche inconsce, distruttive e creative. Una spinta allo sradicamento che si è andata accentuando con i ritmi dell’innovazione tecnica, perché, come scrive Massimo De Carolis, “il problema basilare della modernità nasce dalla sua inarrestabile tendenza a smantellare ogni ordine simbolico tradizionale, al punto di fare della crisi e dell’apocalisse culturale non più l’eccezione, ma la norma” (Il paradosso antropologico. Nicchie, micromondi e dissociazione psichica. Quodlibet, Macerata, p.150).
Fermarsi: interrompere la corsa spietata allo sfruttamento delle risorse naturali e della forza lavoro, l’accelerazione nichilistica verso la catastrofe, curare il male, in sé e fuori di sé, risvegliando le potenzialità costruttive dello scambio affettivo, quell’insieme di relazioni che indicano il verso di legami, doni, diritti e doveri della reciprocità responsabile, che cerca la collaborazione in prospettive differenziate, accogliendo la coscienza infelice del mondo diviso. Riconoscere l’estraneità, la follia presente in noi stessi, la domanda che viene da altrove, rinunciando a un ideale di perfettibilità nella finzione onnipotente dell’apparenza.
Ed è proprio considerando l’arretratezza morale dell’essere umano che non sembra adeguata a fronteggiare l’evoluzione moderna, tecnica, scientifica, sociale, che C. G. Jung si interroga sulla struttura psicologica dell’uomo contemporaneo: “Saprà egli resistere alla tentazione di fare uso del suo potere per mettere in scena un’apocalisse? Si rende conto della strada su cui si trova e delle conseguenze finali che dovrebbe trarre dalla situazione del mondo e della propria anima? Sa che sta perdendo il mito, conservatore della vita, dell’uomo interiore, che il cristianesimo tenne in serbo per lui? È in grado di immaginare ciò che accadrebbe se si producesse la catastrofe? Riesce poi semplicemente a immaginare che ciò sarebbe una catastrofe? E finalmente, l’individuo sa che è lui l’ago della bilancia?” (C.G. Jung, Presente e futuro, Opere vol.10, Bollati Boringhieri, Torino, 1957, pp.155-156).
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