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In memoria di Horacio González,
e del suo pensiero intriso di affettività e di musica,
un amico di mio padre, a cui egli voleva molto bene,
che ho incontrato una sera in un bar di Buenos Aires,
e mi ha fatto innamorare dell’Argentina.

Lo iato, insediatosi nel cuore della nostra contemporaneità, tra disgregazione atomistica e sentimento nazionalenon è colmabile con la vuota retorica o con stanchi caroselli nazionali, perché la disgregazione è un dato di realtà, non una teoria. “In un mondo chiuso non possiamo più respirare”, scriveva il giovane Lukács, perché “abbiamo scoperto la produttività dello spirito”, ed è da qui che deve muovere ogni lotta contro la disgregazione, per creare nuove e possibili forme di ‘Kultur’.

Perché la disgregazione e il relativismo del moderno non si può colmare con un universale vuoto, dai tratti evanescenti. Quest’ultimo, infatti, non ha la capacità di affratellare, bensì, nel tempo-ora, accentua la disgregazione interiore, nella sua apparente celebrazione esteriore. Endre Ady, poeta ungherese, molto amato dal giovane Lukàcs, scriveva un’ode alla sua ‘odiosamata nazione’, la propria terra magiara, l’Ungheria. E, ad ogni modo, leggere questa poesia, ora, inserita nel destino dell’Occidente, può assumere possibilità molteplici, dalla nostalgia alla riprovazione, ma, raramente, quelli di una possibile riattualizzazione.

Perché nel nostro mondo, è ancora Lukács, “essere uomo, significa essere solo”, e questo iato tra isolamento costretto e nazione non si può conciliare con una falsa ideologia, ma solo sciogliendo questo groviglio in forme nuove ed eterogenee, necessariamente esistenziali, in cui a poter generare un apparente sentimento nazionale è l’amore di un figlio per un padre, o l’empatia che si può provare nello scegliere destini affini ai propri.

Ecco, ancora una volta, l’attualità della forma di vita argentina, del carattere romantico del suo nazional-popolare, perché in Argentina sembra sia possibile affratellare le persone, e, insieme, fuoriuscire dal mondo chiuso che ogni affratellamento trascina sempre dietro di sé. E questo perché in Argentina la secolarizzazione convive sempre con una sorta di ‘mitologia romantica’ in grado di divenire sentimento popolare, e che fa dell’Argentina il luogo della nostra anima, delle nostre solitudini, in cui dare corporeità alle visioni della nostra interiorità, come se esse esistessero realmente.

Non possiamo, dunque, che originare da quel fotogramma in cui si accosta l’esultanza di Maradona, dopo la celebre mano de Dios, a quella di Messi in seguito alla prima rete, una punizione del ‘Diez’, segnata dalla Selección in questa Copa America 2021. Gambe divaricate e pugno destro alzato, in un salto verso l’alto. Questa immagine, che serba in sé la possibilità di unificare fine e principio, senza soluzione di continuità, come esemplificazione del ‘Volver’, una concezione ciclica della storia, su cui torneremo.

È nel fondamentale della punizione che si ritrovano queste due anime diverse, e insieme complementari, della forma di vita argentina, con Messi che comincia ad eccellere in questo principio, dopo i consigli di Maradona, “non staccare così presto il piede dalla palla, altrimenti lei non sa quello che vuoi. Non devi trattarla in nessun modo particolare, devi solo farle capire ciò che desideri, e lei capirà”.

Si ritrovano solamente nell’attimo i due numeri ‘Diez’, in quella stessa medaglia che, nel capovolgersi, mostra un solo lato, eppure sempre serba in sé la parte nascosta. Perché Messi e Maradona sembrano non incontrarsi mai, con il primo che trattiene la distruzione, e il secondo che gli corre incontro, il primo che sembra dribblare il proprio demone interiore di cui non si deve far parola, ed il secondo che ha trasformato il mondo intero in dei diavoli da cui non farsi mai prendere, e, ancora, con Leo che era solito non cantare, fino a qualche anno fa, l’inno nazionale, affermando “non ho bisogno di dover far vedere che lo so cantare, lo sento comunque”, e Diego che ha trasformato la partita di pallone in una guerra contro ciò che lui, in quel momento, considerava ingiustizia.

Esclusivamente nel tempo-istante circolare avviene l’incontro, nell’ascesa dolorosa di Leo per assumere i propri peculiari lineamenti di capo-popolo, e nella malinconica decadenza di Diego. Nella caviglia insanguinata di Messi, nella semifinale contro la Colombia, per rivelare al mondo quando sia stato doloroso manifestare la propria interiorità, e in quella splendido estratto di Fernando Signorini, storico preparatore atletico di Maradona, in seguito alla discussa squalifica ad Usa ’94, “hanno messo un pugnale nel petto di un bambino”. Nel Messi, oltre le lacrime di drammatiche sconfitte e finali perse, e nel Maradona oltre la beata danza sulle note di ‘Live is life’.

È in questa dissimile somiglianza che si staglia lo sfondo argentino, con Diego che precede storicamente Leo, il quale, a sua volta, preannuncia ontologicamente Diego. Vie diverse di vivere quello stesso sfondo tragico, che si incontrano in questa forma di vita dai ‘pensieri doppi’, e che si ricongiungono in una sintesi mai compiuta di tempi storici dissonanti.

‘Volver’, ritorno che diviene apertura, e promessa di futuro, come cantava Carlos Gardel in un tango argentino del 1934, questo sentimento depositato nella cultura argentina, che trae origine dalla nostalgia degli emigranti di inizio secolo, costretti alla lontananza dalla propria terra natia, per approdare, dunque, al volver dei ‘descamisados’ e dell’Izquierda Peronista.

Un circolo squarciato da fessure, in cui possano incontrarsi i tempi storici, eredità e destino intesi come origine della propria libertà, e dunque libertà e destino, di cui parlava il giovane Hegel. “Torneremo”, dunque, come in quel canto commovente dei compañeri in ‘Terra e libertà’ di Ken Loach in seguito alla tragica morte di uno di essi, nella tensione verso un socialismo inteso come ‘Kultur’, in cui poter ritrovare, seppur nella dissonanza della ‘produttività dello spirito’, e nella mai organica compiutezza delle molteplici differenze, il proprio posto, in grado di andare oltre la disgregazione e la solitudine del mondo moderno.

È qui che si apre la possibilità di quel fecondo concetto di ‘circolarità rivoluzionaria’, una rivoluzione che nasce dal dolore, in una ‘Weltanschauung’ tragica del mondo, e da lì ritrova la propria continua energia, nella tensione continua, e mai conciliabile compiutamente, in direzione della ‘festa del tempo’ e della gioia dello stare al mondo. Solo qui, su questo terreno, lo iato di cui parlavamo all’inizio può essere, forse, provvisoriamente, colmato, così da poter dire un giorno anche noi “Hasta siempre, Italia”.

Che il mio viso bagnato si faccia luminoso, e che il pianto nascosto fiorisca”
Rainer Maria Rilke, Elegie duinesi

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