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Numero 1/2022

Pubblicato il 8 Aprile 2022

Qui il numero completo della rivista

Un invito ragionato alla lettura

Dire le proprie ragioni non è mai facile. Rimane sempre la sensazione di un’eccedenza – o di un ‘resto’, appunto – che non si è riusciti a esprimere. E in fondo è bene che sia così – ma questo non toglie che si debba cercare di essere quanto più chiari sia possibile. È quello che cerchiamo di fare nell’Editoriale, il cui messaggio, a volerlo riassumere in una riga, verte sul proposito di evitare che la crisi ecologica, profonda e drammatica com’è, sia consegnata a nuovi e gattopardeschi “imbrogli”.

Perciò, anche, non è sembrato fuori luogo che la rubrica Autori, questa volta affidata a Carmen Storino, sia inaugurata dalla figura di Dario Paccino, che l’imbroglio di omettere la sostanza sociale e politica presente nel cuore dell’ecologia denunciò già cinquanta anni fa.

Quanto aspra sia, questa sostanza, emerge con tutta evidenza dalle due ‘indicazioni della Climate Science” che pubblichiamo in Saved in translation. Fatti bene i conti di quanta CO2 possiamo ancora immettere nell’atmosfera prima di raggiungere la fatidica soglia di 1,5°C in più rispetto all’era preindustriale (il cosiddetto carbon budget), risulta che l’1% più ricco della popolazione mondiale dovrebbe ridurre le proprie emissioni di almeno 30 volte affinché il 50% più povero possa aumentarle di un fattore intorno a 3. Il tutto, giova ripetere, detto da un gruppo di oltre 60 tra i più prestigiosi scienziati del clima che calcano la scena internazionale.

Con David Archer che aiuta a intendere, nella rubrica Le parole della crisi, come la questione del carbon budget vada letta sullo sfondo di un ben più ampio ciclo del carbonio – argomento che più di altri, a sua volta, aiuta a formarsi un’idea di ‘come sono fatte’ le scienze del Sistema Terra e, per così dire, a coglierne il ‘sapore’.

D’altra parte, non è il caso di lasciare che la sacrosanta indignazione per quello che è accaduto e per quello che rischia di accadere – la stessa che anima la Scientists Rebellion documentata in Galileo reloaded – faccia velo a quanto di schiettamente bello, e in certo modo confortante, è pure contenuto nel discorso dell’ecologia. Il tema della biodiversità, svolto da Riccardo Guarino e Sandro Pignatti con larghezza di riferimenti fattuali e teorici, oltre a indicare un ulteriore compito da assolvere con determinazione, comunica da cima a fondo il senso di una nostra umana, intima ‘familiarità’ con i sistemi ecologici, che gelosamente bisogna custodire, trattandosi in effetti di una essenzialissima ragione positiva.

Come da sempre, si può dire, hanno capito le donne che guardano all’ambiente nella prospettiva del loro proprio genere. Marina Mannucci segue le vie segnate da quattro di loro – Laura Conte, Rachel Carsons, Chiara Zamboni, Elinor Ostrom – ricavandone una visione ‘ontologicamente’ incentrata sulle nozioni di responsabilità, cura e comunità. E mostra anche come quest’ultima sia un motivo di ispirazione ideale ben capace di animare la realtà dei fatti: parte dell’articolo è dedicata a mostrare come le comunità di energia sostenibile possano in effetti costituire una frontiera dell’innovazione di alto valore civile ed economico.

In generale, l’uscita dalla crisi ecologica passa per due strade, che variamente si possono e si devono intrecciare: l’innovazione tecnologica e la realizzazione di innovazioni radicali delle strutture sociali ed economiche. Lavorando sul terreno decisivo della transizione energetica, Franco Padella mostra come la necessità delle seconde risulti tanto più chiara alla luce di un esame interno, di tipo analitico, delle possibilità e dei vincoli pertinenti alla sostituzione delle fonti fossili con quelle rinnovabili – spiegando anche come i risultati che si ottengono dipendano da una ragione tanto profonda come quella che verte sulla natura olistica della realtà ambientale.

E ancora in materia di tecnologia, Fabio Musmeci si occupa di rifiuti urbani, di compost e di biogas, propugnando l’idea di una semplicità possibile e feconda, fatta di soluzioni, anche in questo caso, community based, ‘vicine’ alle persone. In breve, il testo può essere letto come l’opposto del dilagante “self-reinforcing technological determinism of centralized and large-scale energy supply” (determinismo tecnologico della fornitura di energia centralizzata su larga scala, che si auto-rinforza), secondo l’incisiva formulazione Kevin Anderson, uno scienziato ricco di passione umana e politica, che presto avremo modo di conoscere meglio.

D’altra parte non è affatto da pensare che assetti di produzione/consumo decentrati, legati al territorio, gestiti dai diretti interessati, si prestino soltanto alla soluzione di problemi ‘minori’, di peso limitato. Il caso del porto di Civitavecchia, illustrato da Simone Manda, mostra come anche attività del tipo che si usa dire hard to abate (difficili da decarbonizzare) possano senz’altro essere affrontate in una logica di ‘beni comuni’ affidati all’iniziativa a al controllo delle collettività locali.

Fin dal titolo I camion del Novecento, lo scritto di Alberto Olivetti si annuncia come un ‘affondo’ nel secolo dei motori e del petrolio – nella ‘poetica’ che di esso è stata consegnata a certi quadri di Sironi e di Maselli. Anche l’uscita dalla crisi ecologica dovrà sviluppare una sua poetica, della quale, pure, cercheremo le tracce nelle fatiche degli artisti – con il preciso intento, tra gli altri, di proteggerla da ogni rischio di superficialità ideologica.

Intanto, a proposito del trasporto e dell’‘andare’, qualcosa di profondamente diverso dal quadro novecentesco emerge dalle riflessioni di Nicolò Savarese sul futuro della città. Lo schema ‘arioso’ al quale mette capo il suo discorso si contrappone con chiarezza a ciò che abbiamo ereditato; e su un versante più ravvicinato, viene a dire quanto poco la questione della mobilità, cruciale sotto ogni punto di vista, simbolico e reale, sia riconducibile alla sostituzione della benzina con l’energia elettrica e le batterie. In effetti, neppure può essere trattata come una questione soltanto ‘trasportistica’: piuttosto, ne va proprio della forma urbis, considerata in tutte le sue valenze.

Detto questo, non resta che aggiungere un cordiale augurio di buona lettura, nella speranza, anche, che il ricco corredo di immagini riesca a renderla più gradevole.

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