Qui il numero completo della rivista

Un invito ragionato alla lettura

È chiaro che alla causa dell’ambiente non poteva capitare niente di peggio di un’altra guerra. Ma in realtà sono trent’anni che le condizioni di disordine mondiale, nelle quali da ultimo è maturata l’invasione russa dell’Ucraina, fanno sì che la crisi ecologica sia affrontata in modi sconfortanti, lontanissimi dalla sufficienza. L’editoriale è un tentativo di presentare questa tesi con la dovuta larghezza di riferimenti, tanto all’indietro, per così dire, quanto in avanti, guardando al futuro – e per questo secondo aspetto, anche, di riaffermare l’importanza del nesso che unisce ‘globale’ e ‘locale’, già patrimonio dell’ambientalismo internazionale.

Quanto la situazione fosse grave già prima della guerra, e quanto veramente vi sia bisogno di novità e rotture, emerge con tutta chiarezza dalla seconda puntata di Galileo reloaded. In parole povere, dicono sempre più scienziati, sappiamo moltissimo e facciamo pochissimo, sicché ci sono gli estremi per disubbidire – civilmente, ma non senza asprezza – all’ordine costituito, che genera questo risultato. E ancora, quanto gli scienziati si sentano ormai stretti nei loro vestiti d’ordinanza, che vietano l’aggiunga di considerazioni normative ai dati ‘positivi’ che raccolgono, è testimoniato dalla schiettezza con la quale Dan Calverley e Kevin Anderson includono nel proprio orizzonte la matematica dell’equità, ritenendola un passaggio obbligato di qualsiasi strategia di contrasto del Climate Change degna di essere approvata. Argomento che è parente stretto della nozione di Responsabilità Comuni ma Differenziate, che non a caso, in questo numero, occupa lo spazio dedicato alle parole della crisi.

Tra quello che sappiamo c’è anche il fatto che i progetti di estrazione dei combustibili fossili in corso di realizzazione o prossimi a essere intrapresi – sono 425, senza contare quelli di entità minore – bastano a generare emissioni di CO2 pari al doppio di quelle che ancora possiamo permetterci (il cosiddetto carbon budget) senza dar luogo a effetti di riscaldamento maggiori dei fatidici 1,5-2°C stabiliti dagli accordi di Parigi. Dunque vere e proprie Carbon Bombs, il cui disinnesco è un modo particolarmente immediato di rappresentarsi la lotta contro il Climate Change – e però, sottolineano gli autori, richiede sedi e procedure decisionali completamente diverse da quelle finora disponibili.

Di queste ultime – cioè del sistema delle Cop, le Conferenze delle parti che si tengono annualmente – si occupa diffusamente Franco Padella, domandandosi se il loro conclamato fallimento non sia dovuto all’obiettivo che realmente hanno perseguito: non tanto quello di contrastare il cambiamento climatico, quanto quello di far mantenere valore agli assets fossili, consegnando il compito a meccanismi di mercato e rendendo in tal modo indispensabile l’impiego di tecnologie del tipo Carbon Capture and Storage che pure, a tutt’oggi, restano “altamente speculative”.

Ma insomma che fare? Il numero dedica una parte monografica alla proposta “radicale e ardita” di un Reddito di base universale e incondizionato, apparentemente lontana dalle problematiche ambientali, ma a esse, invece, molto pertinente. Guglielmo Chiodi mostra la sua coerenza con l’indirizzo di teoria economica che, per il tramite di Sraffa, rimonta ai classici; Alessandro Montebugnoli illustra sue virtù ecologiche sul filo di un ragionamento che affronta anche, in modo impegnativo, la questione della ‘crescita’; Simone Furzi mostra che l’idea è bensì ardita, ma tutt’altro che priva di sperimentazioni in giro per il mondo.

Marina Mannucci e Giancarlo Bausano, sia pure in modi assai diversi, portano in primo piano gli effetti che la crisi ecologica produce nella carne viva delle persone. La prima attraverso l’esperienza delle donne africane e delle loro lotte, ricordandoci che fenomeni come il traffico di spose bambine e l’abbandono scolastico delle più giovani sono in effetti collegati al cambiamento climatico: le famiglie impoverite dalla desertificazione e dalla mancanza di risorse idriche sono spinte a prendere decisioni estreme. Il secondo avviando una ricognizione delle evidenze disponibili in materia di effetti del cambiamento climatico sulla salute. La chiave è quella di un inquadramento generale, ma non senza la presentazione di un dato già altamente significativo: entro il 2050, la sola deprivazione di alcuni nutrienti fondamentali come frutta e verdura è destinata a generare oltre 500 mila morti all’anno.

La figura di Giorgio Nebbia è oggetto di due ‘ritratti d’autore’, affiancandosi così a quella di Dario Paccino, già delineata nello scorso numero, quasi a tracciare l’arco ideale all’interno del quale I piedi sulla terra intende collocarsi con propri motivi di originalità. I due contributi, per altro, propongo letture diverse: Giovanni Lagioia vede in Nebbia un precursore di tematiche che oggi, finalmente, sono in primo piano; Franco Padella vi scorge un critico ex ante del modo in cui le stesse, oggi, sono portate avanti.

Infine, nello scritto di Alberto Olivetti, ‘il senso dei luoghi’, e dei sentimenti e delle memorie che a essi si connettono: non teorizzato, ma testimoniato in chiave personale, come senso di un luogo, vissuto e ricordato. L’esatto opposto, appunto, dell’idea di un mondo ‘senza qualità’, disponibile a ogni manipolazione.

2 commenti a “Numero 2/2022”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *