Barbara Stiegler è docente di filosofia all’Università di Bordeaux-Montaigne. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni ma questa è la sua prima opera tradotta in Italia. Nel breve volume “La pandemia in democrazia“, pubblicato recentemente dall’editore Carbonio, raccoglie alcuni saggi scritti in diversi momenti della pandemia. Il filo conduttore del volume è quello mostrato nel titolo e si sviluppa con riflessioni acute e attente sulla prevedibilità della pandemia, sulla preparazione delle democrazie occidentali (primariamente, come è naturale, quella francese) rispetto a questo evento, sulle misure adottate e soprattutto sui riflessi dei provvedimenti sulla vita democratica nel presente e nella sua possibile evoluzione futura.
Le critiche e le proteste nei confronti delle misure restrittive e difensive adottate dai governi democratici si sono quasi sempre sviluppate su un terreno che le ha rese inaccettabili, confuse, contraddittorie se non frequentemente ridicole o deliranti: perché le argomentazioni critiche sono quasi sempre state associate a valutazioni di natura scientifica, medica, terapeutica non dimostrabili e che potevano comunque trovare solide giustificazioni da parte di chi adottava le misure criticate. Le argomentazioni di questa natura (scarsa sperimentazione dei vaccini, loro efficacia, reazioni avverse, effetti sul lungo periodo, le contraddizioni e le incoerenze del dibattito scientifico pubblico, ecc.), per non citare quelle più irrazionali (la pandemia non esiste, si tratta della drammatizzazione di una malattia non grave, ipotesi di complotto, ecc.) trovava facili risposte da parte dei tecnici e dei governi, in nome della salute dei cittadini, accettando anche discriminazioni che possono essere definite positive perché attuate in difesa della salute o delle minoranze più fragili. Questo confronto, continuamente inquinato dalla miscela di argomentazioni politiche e di argomentazioni scientifiche o ritenute tali, ha piegato il dibattito pubblico su stampa, Tv e rete a una certa asprezza e a un atteggiamento censorio o proiettato a ridicolizzare gli argomenti dei detrattori delle scelte governative. E, come spesso accade quando si è piegati da una sorta di pensiero unico o almeno dominante, è subentrato anche un atteggiamento auto-censorio, per timore di essere confusi o catalogati fra i nemici della salute dei cittadini.
Barbara Stiegler non fa l’errore (così diffuso in Italia anche fra intellettuali di valore) di “interpretare” la pandemia, di “interpretare” i vaccini, di “interpretare” le terapie, ma mantiene il filo del suo ragionamento sul piano rigorosamente politico, sostanzialmente rifiutandosi di accettare l’idea che difendersi dalla pandemia per una democrazia possa significare imboccare una strada, fare delle scelte che umiliano o deviano le istituzioni e la società democratica, piegandola verso forme di larvato autoritarismo e di discriminazione. Questo rende la sua riflessione particolarmente interessante perché ha la capacità di restare fuori dal pantano nel quale i detrattori delle scelte governative sono caduti miscelando argomentazioni politiche con presunte argomentazioni scientifiche, con ipotesi di complotti o con dietrologie di vario genere.
Che si possa parlare di discriminazioni è ormai un fatto, anche e soprattutto adesso che sembra che si stia per inoltrarsi nella via di uscita dalla pandemia. Se la discriminazione è un trattamento diverso, essa ormai è evidente e nessuno la può negare, si potrebbe tutt’al più sostenere che si tratti di una discriminazione positiva e necessaria per lo scopo che si prefigge. E questo rende lecita, anzi obbligatoria la domanda se una democrazia solida ed evoluta possa evitare di ricorrere a simili mezzi, nonché la domanda delle evoluzioni possibili in futuro, ovvero dei rischi sul piano politico, del costume, dell’atteggiamento culturale, ecc.
Sia ben chiaro: qui e ora non si parla di fascismo o comunismo o dittatura, ma di un autoritarismo figlio dell’incompetenza, della colpevole fiacchezza e pavidità di una classe politica – tutta, da destra a sinistra – succube, incapace di decidere, incapace di vedere i limiti da non superare, incapace di organizzazione e di coraggio, incapace di risolvere i problemi senza violentare la democrazia e la costituzione.
Oggi che i non vaccinati sono esclusi dalla vita sociale e civile, di fatto rinchiusi in un ghetto che non è simile a quelli che nella storia hanno recato vergogna e orrore alla civiltà (i neri negli stati del sud degli USA fino a poco tempo fa, Sudafrica fino a Mandela, ebrei nelle società naziste e fasciste, i kulaki nell’URSS) ma che ci fa giungere ormai al culmine della vergogna della violazione dei più elementari diritti garantiti dalla Costituzione. Concretamente: oggi vi sono cittadini che non possono andare in banca o alla posta, sul tram o dal tabaccaio perché non sono vaccinati. Anche i neri negli stati del sud in USA o in Sudafrica vivevano misure analoghe se non identiche, e il fatto che oggi queste restrizioni abbiano una giustificazione valida, la salute, mi spinge solamente a pensare che, a quanto pare, se si riesce a trovare un motivo indiscutibilmente valido si è autorizzati a compiere ogni infamia, senza domandarsi se vi siano delle alternative. Chi afferma che gli esempi della storia passata siano sbagliati e strumentali non conosce la storia e non vuole ricordare come a suo tempo si sia passati da misure inizialmente non estreme alla fine della civiltà libera e democratica.
Barbara Stiegler in premessa al suo primo saggio ricorda le parole di Marc Bloch, dagli Scritti della clandestinità, 1942 – 1944: “Sapevamo tutto questo: eppure, abbiamo lasciato fare, pigramente e vilmente. Abbiamo temuto l’antipatia della folla, i sarcasmi degli amici, l’incomprensivo disprezzo dei maestri. Non abbiamo osato essere, sulla piazza pubblica, la voce che grida per prima nel deserto, ma che almeno, qualunque sia il risultato finale, può sempre sostenere di avere gridato. Abbiamo preferito rifugiarci nella pavida tranquillità dei nostri laboratori”.
Queste parole ci possono sembrare eccessive, perché ovviamente non ci sembra lecito confrontare gli orrori del passato con misure discriminatorie sì, ma proiettate verso nobili scopi. Tuttavia io non ricordo nella storia – forse per mio difetto – minoranze che dichiaravano di essere discriminate o oppresse e che poi non abbiano ottenuto un riconoscimento, spesso troppo tardivo, delle ingiustizie subite. Così come non ricordo – forse per mio difetto – che la discriminazione di minoranze non abbia portato, prima o poi, a degenerazioni della vita democratica e a conflitti esasperati e violenti. Mi sento rispondere che tutto ciò passerà, che quando ritorneremo alla normalità – che evidentemente non potrà essere la normalità di prima della pandemia – queste temporanee discriminazioni saranno dimenticate. Ma sappiamo bene che non è così, perché la preesistente sfiducia dei cittadini verso le istituzioni si è ulteriormente deteriorata durante la pandemia. Perché la democrazia italiana – mille volte ce lo diciamo – è sempre più fragile e instabile. Perché il senso di oppressione vissuto dalla minoranza dei no-vax e no-green-pass è accompagnato da senso di sfiducia e di oppressione di aree vastissime di cittadini che sentono di avere subito troppi danni durante la pandemia, sul piano economico, sul piano delle libertà, e per le costrizioni subite e accettate ma non condivise.
Mi ero ripromesso di scrivere una breve presentazione del libro di Barbara Stiegler ma queste righe sono diventate lo specchio di una vergogna e di un disagio che vivo da tempo: la vergogna e il disagio che nella sinistra non si siano alzate (e parlo anche di me) voci di politici o di intellettuali che con argomentazioni lucide e ragionevoli mostrassero che si stava eccedendo, che si stavano superando limiti che dovrebbero essere invalicabili, che si stavano piegando le regole della democrazia rappresentativa in troppi modi.
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