Femminismo, Lavoro, Politica, Salute, Temi, Interventi

È uscito da qualche settimana un altro libro di Letizia Paolozzi e Albero Leiss, frutto di una feconda collaborazione/relazione che dura da anni e che credo possibile tra un uomo e una donna se entrambi accettano confronto, conflitto e differenze su molti terreni. Certo è più facile se tutti e due, come in questo caso, sono femministi: Paolozzi da sempre e Leiss da abbastanza tempo.

Il libro si intitola “Il silenzio delle campane – I virus della violenza e la cura”, Harpo Editore, Roma.

Credo che come me , molte e molti, abbiano tante cose da sistemare nelle loro vite e nelle loro menti dopo questi quindici mesi vissuti tra paura, isolamento e rabbia per quello che vedevamo accaderci intorno: in me questo libro ha fatto ordine aiutandomi a capire cose che non avevo ancora compreso. Ma soprattutto non nasconde alcun aspetto della complessa realtà e dei molti vissuti, e non li minimizza. Non è un testo sul Covid, come molti ne sono usciti, è un libro che parla di come i corpi (i nostri corpi singoli e anche i vari corpi sociali) e le nostre menti hanno attraversato questo lungo periodo, vivendo con il “Virus sempre accanto” e di quel che abbiamo scoperto e che non sapevamo della vita degli altri e di noi stessi. Sapevamo ad esempio di essere fragili e con molti limiti, ma che senza relazioni di alcun tipo se ne andasse gran parte della sostanza di noi stesse/i forse non tutti lo sapevano.

Mi convince l’impianto e la scelta degli argomenti: nove quadri tematici e una chiave interpretativa finale che prova a indicare una possibile strada di cambiamento. Per Letizia e Alberto infatti il Covid non è stato soltanto un pericoloso virus, ma una cartina di tornasole che in un anno ha fatto passare davanti a noi, in rapida sequenza, tutte le cose che non vanno nel mondo dei lavori, nel sistema sanitario, nel rapporto con la natura e gli animali, nella relazione tra i sessi, nella nostra cultura e in parecchio altro. E tutte le forme di violenza che attraversano quotidianamente le sfere della vita, della produzione, dei rapporti personali, della politica, dell’informazione.

Di questi nove “quadri” scelgo di abbozzarne alcuni soltanto con un cenno e altri con qualche riflessione in più: il brusco risveglio dentro il Covid, da un giorno all’altro, increduli, impreparati e, mano a mano che passavano i giorni, sempre più spaventati; il lungo dibattere di alcuni se si trattasse o no di una guerra, e la constatazione che non lo era. Anzi io direi che al fondo è stata piuttosto una “ribellione” crudele della natura e del vivente non umano troppo maltrattato, a volte manipolato geneticamente, spesso irregimentato e nutrito con troppe medicine, e in molti casi macellato male e conservato, peggio soprattutto in certe aree del mondo.

La guerra che invece c’era e c’è stata tra i sessi, anche durante questi mesi, e che si è aggravata nella convivenza forzata, come dimostrano i troppi episodi di violenza sulle donne e le aumentate denunce, a ricordarci ancora quanto sia difficile, per un numero troppo grande di uomini, vivere accanto alla libertà femminile.

La riscoperta della classe operaia, che, come scrivono Letizia e Alberto, anche stavolta non è andata in Paradiso, ma in un inferno peggiore del solito: braccianti irregolari, precari di ogni genere e in ogni settore, riders super-sfruttati, colf, badanti, macellai, fornai, cassiere, operai e operaie delle industrie di trasformazione… Tutti i lavoratori e le lavoratrici che accanto al personale sanitario di ogni ordine e grado, ci hanno consentito di “stare a casa riparati” mentre gran parte di loro (svariati milioni e quasi sempre sottopagati) lavoravano per noi.

Tra gli altri “quadri” del libro, uno è dedicato alla Sanità che manca sul territorio, e con essa la prevenzione e l’epidemiologia, perché, con la crescente privatizzazione, tutto da parecchi anni ruota solo attorno all’ospedale- azienda. E quando arrivano i vaccini finalmente un sospiro di sollievo, salvo troppe lentezze ed errori, informazione contraddittoria ma soprattutto la scoperta, per l’ennesima volta, che non saranno per tutti; le industrie farmaceutiche vogliono i loro guadagni pieni e non sospendono i brevetti né liberalizzano le licenze per produrne per tutti. E Usa, Europa e organismi internazionali li coprono in questa scelta. Il mondo ricco regalerà, senza vergogna, le dosi che ha in avanzo, 1 miliardo, quando agli abitanti dei paesi poveri ne servirebbero 10 miliardi di dosi.

Un quadro è per la vecchiaia confinata già prima del Covid, ma in questi mesi ancora più colpevolizzata, mentre a morire erano quasi esclusivamente i vecchi, la strage nelle RSA, luoghi di deposito e non di vita decente, la ribellione di alcuni e poi di molti ai vari tentativi di privazione della libertà.

Un altro per le bambine e i bambini senza asili e senza scuola – e moltissimi al sud e non solo al sud – anche senza i computer per fare didattica a distanza, che perdevano socialità, strumenti di crescita e relazioni fondamentali con i coetanei. E ai loro genitori che, nel gestirli in esclusiva per tanto tempo, hanno perso tutta la loro pazienza.

Un altro ancora per i soggetti mai narrati in questa pandemia, i carcerati e i migranti, che rischiavano di più vivendo in luoghi da tanti anni indecenti e sempre più sovraffollati e per tanti mesi senza alcuna protezione o garanzia di distanziamento. Due volte prigionieri. Dei luoghi che li contenevano e del virus che li minacciava.

L’ultimo “quadro”, infine, è dedicato alla politica, attonita e in ritardo all’inizio, che si barcamena e non vede, ma che nonostante questo nella prima ondata pare reggere, e, addirittura, la gente disperata pensa di avere nel Governo Conte 2 una sponda, perché nel frattempo l’opposizione ha scelto posizioni becere, nessuna proposta costruttiva e finanche, in certi momenti, il negazionismo. Ma poi arriva la seconda ondata dopo l’estate e allora in Italia, e anche in altri paesi d’Europa, è chiaro che nessuno si era preparato all’evenienza. Il Governo Conte casca rovinosamente e arriva Draghi, un banchiere intelligente quanto si vuole ma pur sempre un banchiere. Tutti lo vogliono e lo osannano, e la politica, sfatta, si accoda. Improvvisamente non ci serve più il MES perché tanto c’è Draghi, lui farà il Pnrr da solo decidendo la destinazione dei ben 220 miliardi di investimenti, lui oramai è il Re-Covery come scrive in copertina l’Espresso rappresentandolo come il Re Sole.

E dallo studio dei progetti del PnRR, uscirne migliori, con una Sanità diffusa sul territorio, opere ambientali essenziali e molto altro, pare un obiettivo rinviato ancora a data da destinarsi. Resistono sul territorio le reti di donne, il volontariato, la finanza etica, il movimenti di Non Una Di Meno e i ragazzi precari che cominciano a organizzarsi, associazioni e gruppi di medici e infermieri, gruppi per assistenza agli anziani e per raccolta fondi.

La chiave interpretativa che Letizia e Alberto ci offrono nel finale non può essere raccontata in breve. Va letta e riflettuta. È quella di andare dalla cura al conflitto e viceversa. O meglio, dicendolo con parole mie, di proporre un’idea della cura del mondo e del vivere basata sul conflitto con lo “stato delle cose presenti”. Ma meglio ancora lo dice uno dei testi del Gruppo Femminista del Mercoledì, allegato molto opportunamente, con altri testi, in appendice al libro: “ ..il punto è che c’è un resto – a cui attribuiamo il nome di cura – che né il welfare statale né il mercato possono dare. Un collante, una garanzia affinché il mondo non si regga solo sulle relazioni di potere, ricchezza, sfruttamento ma restituisca senso alla fragilità, al limite, alla responsabilità. Purché si distingua tra ‘cura’ e ‘lavoro di cura’. Purché si rifiuti la visione della cura come lavoro residuale . O servile…”.

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Un commento a “Quindici mesi di vita sospesa”

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