Articolo pubblicato sul sito del “Forum Disuguaglianze e Diversità” il 28.10.2025: https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/riconquistare-la-sovranita-digitale-delleuropa/
La versione inglese è stata pubblicata da noemamag.com
La cartografia del potere digitale
Un tempo il potere geopolitico passava attraverso gli eserciti e i trattati, oggi invece attraverso il silicio, le server farm (un insieme di server raggruppati in un unico ambiente fisico) e sistemi algoritmici. Queste infrastrutture e architetture digitali invisibili plasmano ogni aspetto della vita moderna. “The Stack” — strati interconnessi di hardware, software, reti e dati — è diventato il sistema operativo del potere politico ed economico moderno. La corsa globale per il controllo dello Stack definisce il nuovo ordine mondiale. Gli Stati Uniti consolidano il loro dominio attraverso iniziative come Stargate, che fonde lo sviluppo dell’intelligenza artificiale direttamente con chip proprietari ed enormi infrastrutture per la gestione di dati, creando barriere insormontabili alla concorrenza. La Cina avanza attraverso una politica industriale sistematica e la sua Via della Seta Digitale, raggiungendo un’integrazione senza precedenti dalla progettazione dei chip all’implementazione dell’intelligenza artificiale in tutta l’Asia e oltre. Si tratta di strategie deliberate di imperialismo tecnologico.
L’Europa occupa una posizione paradossale: leader nella regolamentazione ma dipendente dal punto di vista infrastrutturale. Noi europei abbiamo stabilito standard globali attraverso il GDPR e l’AI Act. I nostri istituti di ricerca rimangono di livello mondiale. Tuttavia, solo il 4% dell’infrastruttura cloud globale è di proprietà europea. I governi, le imprese e i cittadini europei dipendono interamente da sistemi di sorveglianza extraterritoriale controllati da Amazon, Microsoft e Google, aziende soggette ai requisiti del CLOUD Act statunitense. Quando utilizziamo i “nostri” servizi digitali, in realtà stiamo utilizzando infrastrutture americane regolate dalla legge americana per gli interessi americani. Questa dipendenza non è teorica, è esistenziale. Nel XXI secolo, chi controlla le infrastrutture digitali controlla le condizioni di possibilità della democrazia stessa. L’Europa si trova di fronte a una scelta: costruire una capacità tecnologica sovrana o accettare la colonizzazione digitale.
Le accuse contro il discorso tecnologico europeo
Il tentativo di attribuire la responsabilità della paralisi digitale dell’Europa ai suoi intellettuali critici – coloro che resistono all’accelerazionismo della Silicon Valley, all’iper-libertarismo crittografico e al tecno-autoritarismo – è profondamente errato. In occasione di un evento della Biennale di Architettura di Venezia da me organizzato, intitolato “Archipelagos of Possible Futures” (Arcipelaghi di futuri possibili), Benjamin Bratton ha mosso quattro accuse contro l’approccio europeo all’intelligenza artificiale e alla sovranità digitale. In primo luogo, ha sostenuto che l’Europa segue una strategia del tipo “prima regolamentare, poi costruire (forse)” che alimenta la dipendenza piuttosto che la sovranità; in secondo luogo, che i suoi critici tecnologici sono “intellettuali pubblici tecnofobi” che si limitano a dire perché non costruire; in terzo luogo, che questa cultura critica produce una “paralisi analitica” che blocca proprio l’innovazione che cerca; e in quarto luogo, che le preoccupazioni ambientali e sociali sono manipolate per difendere lo status intellettuale piuttosto che affrontare le reali sfide tecnologiche.
Ogni accusa manca il bersaglio. La difficile situazione tecnologica dell’Europa non è il risultato di critiche eccessive, ma di trent’anni trascorsi a smantellare le capacità necessarie per la sovranità tecnologica. La vera scelta che dobbiamo affrontare non è tra critica e costruzione, ma tra modelli tecnologici autoritari e alternative democratiche. E costruire tali alternative richiede la comprensione di come il potere abbia storicamente operato attraverso la tecnologia. Respingere, come fa Bratton, pensatori come Evgeny Morozov, Kate Crawford e Marina Otero, significa abbracciare proprio quella logica tecno-accelerazionista che credo debba essere oggi contrastata.
Comprendere le realtà materiali dell’infrastruttura dell’IA – i suoi costi ambientali, le dipendenze dal lavoro e le concentrazioni di potere – non è “allarmismo”, ma un prerequisito per uno sviluppo sostenibile e democratico. E l’ecosistema tecnologico indipendente emergente in Europa dimostra che la costruzione democratica è già in atto quando creiamo le condizioni giuste.
Fondamentalmente, liquidare la regolamentazione come una patologia europea – secondo la formulazione di Bratton, «l’UE ha una regolamentazione sull’IA ma non molta IA da regolamentare» – rivela una profonda superficialità. La regolamentazione non è il problema. Il problema è la mancanza di applicazione e l’assenza di una politica industriale su larga scala. Infatti, se la regolamentazione europea fosse così inefficace, perché l’amministrazione Trump è arrivata al punto di minacciare divieti e sanzioni contro le autorità di regolamentazione europee che hanno osato attuare leggi sul digitale? Proprio perché una regolamentazione efficace è vista a Washington come un ostacolo diretto alla supremazia tecnologica degli Stati Uniti.
Le radici della difficile situazione tecnologica dell’Europa
Le radici della difficile situazione dell’Europa vanno ricercate, in primo luogo, nella morsa dell’ortodossia neoliberista sul pensiero economico europeo. Ciò ha causato decenni di austerità e ha reso l’Europa il simbolo dell’iperglobalizzazione: libero scambio senza politica economica, divieto di aiuti di Stato, dogmi dell’economia del trickle-down, assenza di investimenti pubblici a lungo termine e rifiuto sistematico della politica industriale. Tutto questo era il vangelo predicato dagli Stati Uniti, anche se Washington proteggeva i propri interessi di sicurezza nazionale e sovvenzionava la Silicon Valley. In altre parole, l’Europa ha interiorizzato l’ideologia della neutralità del mercato mentre altri praticavano il capitalismo strategico. Il dominio tecnologico americano non è nato dal libero mercato, ma da un massiccio intervento statale: la DARPA, la NASA e la National Science Foundation hanno fornito il capitale paziente e garantito ai mercati che hanno reso possibile la Silicon Valley. Come documentato dal lavoro di Linda Weiss sullo stato di sicurezza nazionale e dalla ricerca di Mariana Mazzucato sullo Stato imprenditoriale, gli ecosistemi dell’innovazione non nascono spontaneamente, ma sono strutturati attraverso la direzione pubblica. Tutte le tecnologie fondamentali dell’iPhone – Internet, GPS, touchscreen, riconoscimento vocale – sono il risultato di decenni di finanziamenti pubblici alla ricerca. I budget di approvvigionamento del Pentagono hanno funzionato come capitale di rischio su scala continentale.
Nel frattempo, l’Europa ha interiorizzato il fondamentalismo di mercato in modo più profondo di quanto intendessero i suoi stessi inventori. Il Patto di Stabilità e Crescita ha minacciato gli investimenti industriali strategici come una violazione della disciplina fiscale. La politica della concorrenza, invece di impedire il dominio delle Big Tech attraverso un’audace azione antitrust, ha impedito la formazione di campioni europei, mentre le aziende americane hanno raggiunto dimensioni monopolistiche. Agli europei è stato insegnato che la politica industriale violava i principi di mercato proprio dagli americani che la praticavano sistematicamente.
Il CLOUD Act ha conferito alle agenzie statunitensi la giurisdizione sui dati europei, gli accordi commerciali digitali hanno impedito la localizzazione dei dati e i regimi di proprietà intellettuale hanno garantito che l’estrazione di valore fluisse verso ovest attraverso l’Atlantico. Anziché utilizzare il proprio potere normativo per bloccare i modelli di sorveglianza predatori e trasformare la sovranità dei dati in un vantaggio competitivo, l’Europa ha tollerato un sistema ora utilizzato come arma dagli oligarchi tecnologici di estrema destra per diffondere disinformazione, estremismo e fake news.
Non si tratta di un fallimento culturale, ma politico. L’ho visto con i miei occhi come Direttrice Tecnica della città di Barcellona, presidentessa del Fondo Italiano per l’Innovazione e coordinatrice di importanti progetti di ricerca europei. Quando le startup europee hanno successo, si rivolgono al venture capital americano e spesso si trasferiscono nella Silicon Valley. Quando i nostri ricercatori fanno scoperte rivoluzionarie, vengono assunti da aziende statunitensi che offrono retribuzioni molto più elevate. Quando le città europee cercano di affermare la sovranità digitale, devono affrontare cause legali finanziate dai giganti tecnologici americani e pressioni diplomatiche da Washington. In altre parole, forze potenti si schierano contro chiunque cerchi di cambiare rotta. Il risultato è un costante drenaggio di talenti, capitali e sovranità.
Chi controlla lo stack? La nuova guerra tecno-economica
Liquidare le preoccupazioni europee sulla sovranità tecnologica come “pensiero da Guerra Fredda” significa fraintendere la realtà. Non si tratta di una competizione ideologica, ma di una guerra economica in cui la tecnologia è un’arma nazionale costruita attraverso scelte politiche e industriali.
Il controllo si concentra ad ogni livello della catena. Nel settore dei materiali, la Cina lavora il 90% delle terre rare mondiali. Quindi, quando limita le esportazioni di gallio, germanio e grafite, colpisce direttamente la transizione energetica dell’Europa e di altri paesi. A livello di chip, la taiwanese TSMC detiene il 64% della capacità produttiva globale, Samsung un altro 12%. L’Europa è scesa all’8%, nonostante il monopolio di ASML nella litografia. La partecipazione azionaria del 10% dell’amministrazione Trump in Intel segnala fino a che punto Washington sia disposta ad arrivare. Nvidia e AMD hanno accettato di cedere il 15% dei loro ricavi derivanti dai chip AI al Governo degli Stati Uniti solo per poter continuare a vendere in Cina. I controlli sulle esportazioni degli Stati Uniti non limitano solo la Cina, ma dettano anche ciò che le aziende europee possono vendere e ciò a cui i ricercatori possono accedere. Le restrizioni olandesi sulle licenze di ASML, uno dei principali fornitori mondiali di apparecchiature essenziali per la produzione di chip per computer, dimostrano come le normative americane abbiano ripercussioni sul cuore industriale dell’Europa.
Ma i controlli sulle esportazioni rivelano i loro limiti. Il DeepSeek cinese ha raggiunto prestazioni competitive nell’intelligenza artificiale a una frazione dei costi tipici. In risposta, alcuni leader della Silicon Valley e di Washington hanno chiesto restrizioni ancora più severe sui chip e sulle infrastrutture di intelligenza artificiale, spingendo la Cina verso l’autosufficienza e frammentando ulteriormente lo stack tecnologico globale.
A livello di cloud e IA, dominano gli hyperscaler statunitensi. Il CLOUD Act garantisce a Washington la giurisdizione extraterritoriale su tutti i dati che riguardano le aziende statunitensi, anche se archiviati in Europa. Quasi tutti i modelli di base rispondono alla Silicon Valley.
Ma il dominio dell’IA ora è accompagnato dall’ideologia. I decreti esecutivi di Trump impongono che i sistemi di IA siano “liberi da pregiudizi ideologici”, vietando l’“IA woke” negli appalti federali e definendo la diversità e l’equità come distorsioni che “sacrificano la veridicità”. Il Piano d’azione statunitense per l’IA esporta “il suo intero stack tecnologico di Intelligenza Artificiale- hardware, modelli, software, applicazioni e standard – a tutti i paesi disposti ad aderire all’alleanza americana per l’IA”. Non si tratta solo di chip, ma dell’intero insieme di tecnologie e strumenti, con i valori e il controllo americani integrati in ogni livello.
Trump lo ha detto chiaramente: dazi “consistenti” contro qualsiasi paese che regoli le aziende tecnologiche statunitensi. Pertanto, l’Europa non può stabilire regole nel proprio mercato senza andare incontro a sanzioni economiche. Un ordine esecutivo a Washington – non a Bruxelles o Berlino – potrebbe limitare l’accesso a sistemi critici che gestiscono le nostre industrie, gli ospedali e le elezioni. Non si tratta di un deficit commerciale, ma di un deficit di sovranità.
Chiunque controlli l’infrastruttura dell’IA (calcolo, modelli, dati e cloud) plasmerà l’ordine economico e politico del XXI secolo. Gli Stati Uniti e la Cina lo hanno capito e stanno mobilitando ogni strumento di politica statale per assicurarsi la supremazia. Anche l’Europa deve rendersene conto.
Le realtà materiali del dominio dell’IA
L’IA non è magica o eterea: è brutalmente materiale e richiede configurazioni specifiche di energia, acqua, terra e capitale che definiscono la geografia politica della sovranità digitale. Comprendere questi flussi materiali rivela dove si concentra il potere e dove è possibile intervenire.
I numeri sono sbalorditivi. L’addestramento dei modelli di frontiera consuma enormi risorse computazionali: l’addestramento di GPT-4 ha richiesto un consumo di elettricità equivalente al consumo annuale di migliaia di famiglie americane. Le emissioni di Google sono aumentate di quasi il 50% negli ultimi cinque anni, principalmente a causa dei calcoli dell’IA. Entro il 2030, si prevede che i data center consumeranno almeno il 3% dell’elettricità globale, con i carichi di lavoro dell’IA che ne rappresenteranno la maggior parte. Già oggi in Irlanda i data center consumano più di un quinto della rete elettrica nazionale e, secondo alcune proiezioni, questa percentuale salirà a un terzo entro il 2030. Crisi simili si verificano a Francoforte, Amsterdam, Londra e ovunque si concentri l’infrastruttura cloud.
Seguite i soldi: BlackRock sta investendo centinaia di miliardi di dollari nella costruzione di nuovi data center, i fondi sovrani sauditi stanno reinvestendo i profitti derivanti dai combustibili fossili in iniziative di IA, i fondi sovrani degli Emirati Arabi Uniti sono alla ricerca di tecnologie contro la transizione energetica.
I costi umani rivelano dinamiche di economia politica simili. I lavoratori kenioti che guadagnano salari minimi etichettando i contenuti per addestrare i sistemi di ChatGPT. I bambini congolesi estraggono il cobalto per le batterie dei data center. I moderatori filippini sviluppano traumi a causa dell’esposizione continua alla violenza e agli abusi affinché l’IA possa apparire “sicura”. Questi sistemi dipendono da eserciti nascosti di lavoratori sfruttati che svolgono un “lavoro fantasma” che fa sembrare l’IA magica.
Il vantaggio dell’Europa sta nel considerare i vincoli come opportunità di progettazione. La sua leadership nel settore delle energie rinnovabili (il 62% del mix energetico tedesco proviene da fonti rinnovabili, la Spagna ha registrato un boom dell’energia solare, la Danimarca ha una rete elettrica alimentata dall’energia eolica) costituisce già la base per un’IA sostenibile. Le tutele sul lavoro frenano lo sfruttamento diffuso nelle catene di approvvigionamento statunitensi e cinesi, mentre gli impegni ambientali spingono l’innovazione oltre i modelli estrattivi. DeepSeek dimostra che è possibile costruire modelli di alta qualità con meno risorse di calcolo, meno chip all’avanguardia e un minor utilizzo di risorse grazie all’open source e a una migliore ingegneria. L’Europa non ha bisogno di mega-infrastrutture finanziate dalla ricchezza fossile, ma di modelli su misura per le proprie industrie e società.
Il forte aumento della domanda energetica dell’IA sta già spingendo l’industria a tornare al nucleare: Amazon, Google e Microsoft stanno investendo miliardi in piccoli reattori modulari. Quando Peter Thiel paragona Greta Thunberg all’Anticristo per aver difeso l’azione per il clima, la posta in gioco è chiara: la transizione verso le energie rinnovabili è vista come una minaccia all’innovazione. Eppure la base rinnovabile dell’Europa non è un punto debole, ma il fondamento stesso di un’IA sostenibile. Non c’è alcuna contraddizione tra l’adozione dell’agenda verde e una forte politica industriale incentrata sull’IA. Con l’aumento dei costi del carbonio e la riduzione delle risorse, l’IA alimentata da combustibili fossili diventerà sempre più fragile. Alimentando i data center con energia pulita, limitando il consumo di acqua e fissando il prezzo del carbonio al suo costo reale, l’Europa può trasformare i vincoli in punti di forza.
Il passaggio della Silicon Valley al tecnonazionalismo
Quello che la Silicon Valley presenta come un progresso tecnologico neutrale si sta rivelando sempre più un progetto politico autoritario. La seconda amministrazione Trump ha accelerato questa trasformazione con una rapidità sbalorditiva. Il Pentagono ora nomina direttamente i dirigenti del settore tecnologico nei ranghi militari attraverso programmi come il Detachment 201. Il contratto da 10 miliardi di dollari dell’esercito americano con Palantir rende i suoi sistemi di sorveglianza il sistema operativo de facto dell’esercito moderno, integrando le informazioni raccolte sul campo di battaglia con i dati nazionali. Le fabbriche di armi autonome di Anduril producono in serie droni alimentati dall’intelligenza artificiale, mentre i suoi dirigenti ricoprono posizioni di alto livello al Pentagono.
Gli architetti di questo sistema non nascondono più la loro visione. Il manifesto del CEO di Palantir, Alex Karp, intitolato “The Technological Republic” (La Repubblica tecnologica), definisce la “tecnologia patriottica” come una sorta di fusione tra il libertarismo della Silicon Valley e il nazionalismo autoritario. Questa ideologia, radicata in filosofie antidemocratiche, presenta la supremazia tecnologica come un imperativo civile.
Alex Karp presenta Palantir come un baluardo contro il “declino americano”, Elon Musk limita unilateralmente l’accesso dell’Ucraina a Starlink in base ai propri capricci politici e Peter Thiel indirizza gli alleati ideologici verso il governo, incanalando il capitale di rischio e i fondi per la difesa degli Stati Uniti verso le sue cause. Ogni grande laboratorio di IA dipende ora da persone e istituzioni che si oppongono alla governance democratica. Ciò che sta emergendo non è un bene comune planetario, ma un nuovo complesso tecnologico-militare finanziato da capitali allineati con ideologie autoritarie e legittimato attraverso la retorica patriottica.
Quando i critici liquidano le preoccupazioni relative al pregiudizio dell’IA, al capitalismo di sorveglianza e alla monopolizzazione delle piattaforme come estremismo ideologico, rivelano la propria fedeltà a questo tipo di controllo oligarchico. Etichettare tutte queste critiche come “lysenkoismo” o “il risveglio del marxismo” ignorando i rischi reali della conquista dell’IA richiama il nuovo maccartismo di Trump contro minacce immaginarie.
Alternative europee oltre la Silicon Valley
L’EuroStack si basa sull’ecosistema tecnologico, industriale e di ricerca indipendente dell’Europa, fondamento della sovranità digitale democratica che collega domanda e offerta. Alcuni sostengono che l’Europa dovrebbe concentrarsi sulla “diffusione” dell’IA piuttosto che sulle infrastrutture, trattando l’informatica come un “bene comune planetario” a cui accedere. Bratton accetta questo quadro: l’Europa come consumatore, non come costruttore.
Ma questo non coglie il punto. La sovranità delle infrastrutture è capacità di azione politica. Il controllo determina se la tecnologia serve obiettivi sociali, economici ed ecologici o se tali obiettivi vengono rimodellati dagli imperativi delle Big Tech.
La “diffusione” senza sovranità inverte il rapporto. Invece di una tecnologia al servizio di fini scelti democraticamente, le società si piegano a piattaforme costruite altrove. Durante il COVID, i governi europei hanno dovuto seguire i protocolli digitali dettati dalle aziende statunitensi. L’argomento si riduce a questo: tutti usano l’IA, ma la Silicon Valley o Pechino decidono quale IA esiste, quali valori codifica e quali interessi serve.
L’infrastruttura è il luogo in cui il potere viene codificato e le scelte politiche diventano vincoli tecnici. Sovranità significa allineare la tecnologia al modello sociale, agli obiettivi climatici e ai valori democratici dell’Europa. Senza questo, la “diffusione” non è altro che l’efficiente distribuzione della dipendenza.
Da oltre 15 anni collaboro con città e nazioni europee per trasformare le critiche in pratica. A Barcellona, il sindaco Ada Colau e io abbiamo rifiutato il modello di “città intelligente” promosso dalle grandi aziende tecnologiche per ripensare il modo in cui la tecnologia può essere al servizio della democrazia. Abbiamo riscritto le procedure di appalto per dare priorità all’open source e alla sovranità dei dati, abbiamo lanciato Decidim – dove il 70% delle decisioni della città proveniva dalla deliberazione dei cittadini – abbiamo costruito sistemi per i diritti digitali e il controllo crittografico dei dati e abbiamo implementato la politica “Public Money? Public Code!”. Da Amsterdam a New York è stato seguito l’esempio di Barcellona, dimostrando che la tecnologia può servire alla partecipazione piuttosto che all’estrazione.
Le lezioni erano chiare: la sovranità inizia con il controllo democratico delle infrastrutture, l’open source consente l’innovazione e i cittadini esigono di poter agire. La resistenza più feroce non proviene dai critici, ma dagli operatori storici e dall’inerzia istituzionale. La stessa logica ha guidato il mio lavoro come presidente del Fondo Nazionale per l’Innovazione italiano, dove il capitale di rischio sostenuto dallo Stato ha costruito una significativa capacità tecnologica. I punti di forza dell’Europa nella tecnologia bio e sanitaria, nell’esplorazione spaziale, nell’informatica quantistica e nella produzione avanzata sono la prova che una strategia industriale mirata funziona.
EuroStack nasce proprio da questo terreno. Non è un concetto astratto: è sostenuto da oltre 200 aziende europee e ufficialmente approvato da Francia e Germania nelle loro strategie nazionali. L’infrastruttura sta prendendo forma. STACKIT del Gruppo Schwarz offre un cloud aziendale sovrano dai data center europei, fornendo alle aziende alternative conformi al GDPR. OVH, il più grande fornitore indipendente di cloud in Europa, sfida AWS e Azure secondo i termini europei. Proton garantisce la sicurezza delle comunicazioni ai sensi della legge svizzera sulla privacy, dimostrando che l’Europa può competere in materia di sicurezza. Nextcloud di Ionos offre una vera sovranità dei dati per il lavoro collaborativo. EuroHPC riunisce le risorse in una rete continentale di supercalcolo, offrendo a scienziati, startup e industrie l’accesso a risorse di calcolo pubbliche di livello mondiale.
Sul fronte dell’IA, l’Europa dimostra cosa si può ottenere con una strategia mirata. Mistral, sostenuta con 1,3 miliardi di euro da ASML, capitali pubblici pazienti e reti di ricerca francesi, è diventata la startup leader in Europa nel campo dell’IA. OpenEuroLLM sviluppa modelli su dati europei nel rispetto della legislazione dell’UE. La svizzera Apertus addestra modelli multilingue aperti in oltre 1.800 lingue. L’iniziativa Digital Commons costruisce infrastrutture open source, mentre l’Europa investe massicciamente nell’adozione di RISC-V per la sovranità computazionale.
Ma le dimensioni contano. La valutazione di Mistral è una frazione di quella di OpenAI e i suoi modelli si basano ancora sui chip Nvidia e sull’infrastruttura cloud statunitense. Costruire alternative ha poco senso se le aziende europee continuano a utilizzare ChatGPT come impostazione predefinita. La vera prova non è la capacità tecnica, ma la capacità dell’Europa di garantire l’adozione su larga scala e trasformare questi elementi costitutivi in un ecosistema coerente prima che le dipendenze diventino irreversibili.
Per promuovere l’adozione e incentivare le alternative europee attraverso appalti strategici o misure “Buy European”, i leader devono smettere di cadere nella trappola del sovereignty washing, ripetendo a pappagallo le narrazioni delle Big Tech sull’IA e minando al contempo la reale autonomia. Il Tech Prosperity Act statunitense-britannico non è una strada verso la prosperità, ma porta a una dipendenza digitale che rischia di legare l’Europa ancora più strettamente alle infrastrutture americane. Ogni accordo di “IA sovrana” con NVIDIA, Google, Amazon, OpenAI o Palantir richiede domande difficili: chi controlla l’hardware? Quali leggi sulla sicurezza si applicano? I fornitori possono resistere alle richieste di dati stranieri e ai controlli sulle esportazioni? Chi cattura il valore: la società o i monopoli?
Gli Stati Uniti e la Cina dimostrano che le piattaforme di livello mondiale si basano su decenni di finanziamenti istituzionali pazienti e controllo strutturale, non solo sul capitale di rischio. La distinzione dell’Europa deve risiedere nei suoi valori e nella sua immaginazione politica. La Silicon Valley ottimizza per l’estrazione, Pechino per il controllo. L’Europa deve ottimizzare l’empowerment, distribuendo la capacità di agire piuttosto che concentrandola.
Sovranità attraverso la cooperazione digitale internazionale
L’EuroStack non può avere successo in modo isolato. La sovranità non è autarchia. È indipendenza strategica: plasmare le traiettorie tecnologiche, investire a lungo termine, applicare la responsabilità democratica e costruire partnership su principi condivisi piuttosto che su nuove dipendenze.
Stanno emergendo partner inaspettati. L’infrastruttura pubblica digitale dell’India e il sistema di pagamento PIX del Brasile dimostrano come i governi possano costruire piattaforme che servono centinaia di milioni di persone senza l’intermediazione delle aziende, anche se permangono preoccupazioni relative alla privacy e ai diritti nell’implementazione di Aadhaar. Giappone, Corea del Sud e Taiwan offrono partnership nel settore manifatturiero e dei semiconduttori. Australia, Africa e America Latina apportano risorse minerarie fondamentali e opportunità per infrastrutture digitali comuni collaborative che vanno oltre i modelli estrattivi. Queste alleanze devono essere sostanziali: diversificare le dipendenze, co-sviluppare tecnologie e stabilire standard globali.
L’opportunità dell’Europa è quella di guidare una coalizione per l’indipendenza digitale: IA di interesse pubblico, infrastrutture sovrane, governance dei dati, catene di approvvigionamento sostenibili, responsabilità ambientale. A differenza di Washington o Pechino, l’Europa può offrire una partnership tecnologica senza ambizioni imperialistiche: vantaggi reciproci anziché dipendenza, standard aperti anziché lock-in, beni comuni digitali condivisi anziché controllo monopolistico, governance forte e interoperabilità anziché capitalismo di sorveglianza o controllo statale.
La sovranità digitale come potere democratico
Questa prospettiva rifiuta false dicotomie tra Silicon Valley e stagnazione, tra colonialismo digitale e irrilevanza analogica, tra evoluzione planetaria e ritirata luddista. Queste illusioni servono a chi trae profitto dallo status quo rendendo impensabili le alternative. L’Europa non deve scegliere tra innovazione e regolamentazione, efficienza ed equità, capacità e valori. La vera scelta è tra tecnologia democratica e autoritaria, infrastrutture sostenibili ed estrattive, potere distribuito e concentrato.
Quando gli ospedali europei utilizzano la diagnostica basata sull’intelligenza artificiale sotto una rigorosa responsabilità, dimostrano che l’efficienza non richiede l’abbandono della supervisione. Quando gli scienziati del clima addestrano modelli su dati condivisi protetti dal GDPR, dimostrano che l’etica alimenta l’innovazione. Quando le istituzioni costruiscono un’intelligenza artificiale open source che rispetta sia la privacy che i diritti dei creatori, dimostrano che la democrazia rafforza la capacità.
L’EuroStack non è nazionalismo o autarchia. Dimostra che le società democratiche possono plasmare la tecnologia, che l’interesse pubblico può prevalere sullo sfruttamento privato, che il benessere umano è più importante del valore per gli azionisti e che la sovranità e la cooperazione si rafforzano a vicenda.
Possiamo accettare una dipendenza permanente, sperando che le potenze straniere governino le infrastrutture globali nel nostro interesse. Oppure possiamo costruire alternative democratiche radicate negli impegni climatici, nella tutela del lavoro e nella diversità sociale dell’Europa. Le infrastrutture codificano il potere. Chi le costruisce, le possiede. Chi le possiede, le governa. Il futuro infrastrutturale dell’Europa deve codificare la democrazia, la sostenibilità e la dignità umana. L’EuroStack incorpora questi valori nelle fondamenta del XXI secolo. L’infrastruttura sta già prendendo forma. La questione non è se sia possibile, ma se ciò avvenga su sistemi che controlliamo democraticamente o su infrastrutture controllate da interessi opposti ai nostri.
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