“Spin Time – Che fatica la democrazia!” è il nuovo docu-film di Sabina Guzzanti con protagonista il palazzo occupato in Via Santa Croce in Gerusalemme a Roma, luogo in cui i suoi abitanti (180 famiglie di 24 nazionalità diverse) e le associazioni che gestiscono la parte culturale all’interno dello stabile si sono trovati a dare vita, insieme, a quello che la regista stessa definisce un vero e proprio “esperimento sociale”. Un esperimento che parte dal recupero di un patrimonio pubblico abbandonato e mette insieme la volontà di garantire il diritto fondamentale all’abitare con quella di creare uno spazio comune, attraverso iniziative culturali finalizzate all’integrazione, alla condivisione, al dibattito.

Con il suo film Sabina Guzzanti ci guida all’interno dei corridoi e dei sette piani che compongono Spin Time, restituendoci uno spaccato della vita di questo Luogo, fatta della quotidianità delle famiglie che vi abitano, delle riunioni delle varie associazioni che qui si incontrano ogni settimana, della gestione – spesso non semplice – dello spazio comune, delle difficoltà che ci si trova ad affrontare in un esperimento politico e sociale di questo tipo, dove tante sono anche le accuse e i tentativi di porre fine a una simile esperienza e dove, per guardare troppo all’aspetto illegale (l’occupazione di uno dei tanti palazzi, inutilizzati e lasciati abbandonati nella capitale) si perde di vista il lato umano (per citare solo l’ultimo episodio, che ha posto sotto i riflettori la storia di Spin Time, vi è quello della luce staccata e poi ripristinata solo grazie all’iniziativa, anche questa illegale, di un rappresentante della Santa sede).

La forza del racconto risiede nello sguardo con cui la regista osserva questo microcosmo, uno sguardo che lascia da parte i pregiudizi e non dà spazio al pietismo, mostrandoci, invece, una realtà fatta di persone con culture e storie diverse, che non accettano di essere etichettate come “invisibili” o parassiti e che attraverso il teatro (una delle tante attività culturali presenti a Spin Time) mettono in scena i loro bisogni, le loro paure, la loro rabbia, le loro ragioni. Persone che prendono decisioni nell’assemblea, eleggono un comitato di gestione che si occupa di far rispettare le regole dello spazio comune (con turni di pulizia, picchettaggio, sanzioni ed espulsioni per chiunque non le rispetti), che partecipano, insomma, alla vita pubblica e sono, a tutti gli effetti, cittadini di quel microcosmo.

Lo sguardo della Guzzanti non nasconde i conflitti che, spesso, nella gestione della “cosa pubblica” emergono tra gli abitanti di Spin Time, conflitti che sembrano attenuarsi, ancora una volta nel teatro, dove sembra recuperato il senso della collettività. Perché si sa – come recita il titolo del documentario – che la democrazia è una fatica, e in questo senso Spin Time ne mette in scena tutte le contraddizioni ma allo stesso tempo ci presenta l’opportunità di un inedito laboratorio politico, in cui le istanze di spontaneità e di autogestione possono unirsi con la necessità dell’organizzazione e del rispetto delle regole del vivere comune. Un modello di politica, di partecipazione alla vita pubblica che forse può riguardare tutti noi, più di quanto pensiamo.

Dopo la visione di questo documentario, nel chiederci quale fosse il modo più adatto per convincere quante più persone ad andare al cinema, è nata anche una lettera aperta, scritta da Lorenzo, che gravita intorno a Spin Time, indirizzata alla regista. La riportiamo qui di seguito.

Cara Sabina,

il tuo film “Spin Time – Che fatica la democrazia!” è bellissimo ma… Ma: non ho mai scritto una recensione cinematografica e devo ricorrere a una “lettera aperta” per convincere quante più persone possibile ad andare, da giovedì 16, nelle sale a vederlo. C’è il covid, serve il green pass, la mascherina, ma vale assolutamente la pena. Ora poi, calma e gesso, cercherò di spiegare e convincere. Bene: il tuo film è bellissimo ma… I discorsi più beceri, si sa, iniziano sempre con: “non sono razzista, ma…” Ho visto la pellicola con molte persone (me compreso!) che quel film l’hanno visto pensare, nascere, girare perché di quel Luogo (Spin Time) fanno parte. Noi che abbiamo studiato la fisica spendiamo buona parte del nostro tempo con “analogie” per lo più tratte da giochi infantili; si studiano, ad esempio, le montagne russe per spiegare la conservazione dell’energia meccanica o le trottole (in inglese spin) per capire la struttura delle cose più disparate, dalle particelle alle stelle. Da qui tutta la magia di una parola che, appunto, è fondativa del Luogo dove viviamo un “tempo rivoltato”, un tempo trottola. Una dimensione temporale particolare che cerca di fare, con la sua felice e conflittuale eversione (ben raccontata nel film), la democrazia: nientepopodimeno che quella cosa che, da Atene in qua, cerchiamo di fare e praticare. Nella prima parte del film c’è la vicenda della luce prima stacca e poi rimessa per intercessione, fiat lux, del Papa; nella seconda si parla di quella fatica chiamata democrazia fra assemblearismo e decisione. Tornano, insomma, quei temi cari a chi, come lo scrivente, ha sempre civettato con operaismo, post-operaismo, teologia politica, etc., etc.. Citavo poi Atene e la Grecia perché è lì che abbiamo visto il naufragio contemporaneo della democrazia europea; perché da lì è venuta una persona che, il film ne parla in maniera approfondita, è riuscita, tramite il cosiddetto “teatro dell’oppresso”, a far interagire le diverse anime di Spin. Spin, infatti, oltre che una trottola (o proprio perché trottola? Quel giorno a lezione ero distratto…), è una galassia. In questa galassia girano mille persone: nel film le vedrete e quindi non vi dico nulla. Come dicevo, con alcune di loro (di noi) abbiamo visto il tutto, in una sera d’estate in una Visionaria Garbatella, e tutti/tutte commentavamo “bellissimo il film ma avrei parlato più di quell’aspetto e meno di quell’altro”. Spin è come quei piatti che per quanto bene tu abbia fatto e preparato, c’è sempre il XXX (usa una parolaccia qualunque) che deve dire la sua perché quel piatto se lo sente suo, perché quel ristorante o la nonna lo faceva meglio. Il nostro non è un “ma” avversativo e becero ma dettato dalla frequentazione assidua di quel luogo che ti fa vedere più una cosa e meno un’altra. Ad esempio, una piccola cosa l’avrei messa: credo si dica un “disclaimer” iniziale. Qualcosa cioè che dicesse “Il film che vedrete è stato girato prima del covid. Che è successo col covid a Spin? Nulla. Ossia, pur vivendo in una dimensione comunitaria, il covid ha colpito poche persone che si sono contagiate “fuori” e non c’è stato alcun focolaio interno”.

A mo’ di conclusione, cara Sabina, direi quindi che “il tuo film è bellissimo ma non è tuo, è nostro!”: nostro di che vive quella galassia; ma anche e soprattutto di chi, grazie al film, in questo mondo extra-galattico, si trova a girare, come una trottola, in un tempo, il nostro, dove la democrazia è una faticaccia quotidiana.

Grazie mille!

Cordialmente

Lorenzo

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