Articolo pubblicato su “il manifesto” del 08.12.2022.

Nello Rossi, ex giudice di Cassazione e direttore di Questione giustizia, la rivista di Md, lei ha una lunga esperienza in magistratura ed è stato tra l’altro segretario dell’Associazione nazionale magistrati e consigliere del Csm. A suo giudizio bisogna preoccuparsi delle intenzioni del ministro della giustizia Nordio? O bisogna preoccuparsi di più del fatto che siano sono solo intenzioni, di difficile realizzazione considerate le reali inclinazioni della maggioranza di Governo?

Ho trovati sconcertanti soprattutto il tono e lo stile con cui è stato enunciato il «vastissimo» programma riformatore del neo ministro. Leggendo le sue dichiarazioni si ha l’impressione che Carlo Nordio non abbia ancora dismesso i panni dell’editorialista indossati negli ultimi anni e che sia convinto che un mix di giudizi tranchant, qualche brillante paradosso, alcune antiche verità e molti luoghi comuni possa bastare a dar vita ad un programma politico valido e realistico per la giustizia. Non è così e l’approccio di Nordio lo separa dalla parte migliore della magistratura e della cultura giuridica che non vuole rimanere stretta nella tenaglia tra l’atteggiamento fortemente polemico del neo ministro e una reazione di segno eguale e contrario che contrasti in toto la sua politica, coinvolgendo nel giudizio negativo anche i suoi tratti di garantismo. Il punto è che magistrati e giuristi non vogliono essere ridotti a tifoserie e se i giocatori in campo non ecciteranno gli animi con atteggiamenti eclatanti sarà un guadagno per una seria politica della giustizia.


Sulle intercettazioni, Nordio non ha ragione a parlare di abusi e a promettere rigore nel perseguire la fuga di notizie?

L’esperienza dimostra che le intercettazioni disposte dal giudice come mezzi di ricerca della prova restano uno strumento indispensabile per contrastare le forme più insidiose di criminalità organizzata e i fatti di corruzione. A meno che il ministro non nutra troppa e sconsiderata fiducia nella sua proposta di impunità (assoluta?) per il corruttore che denuncia il corrotto o viceversa. Per altro verso si deve certamente rafforzare ulteriormente la tutela della riservatezza degli intercettati. Ma su questo terreno si sono fatti progressi e processi che Nordio dovrebbe conoscere.

La separazione delle carriere tra giudici e pm può essere una battaglia garantista?

Oggi sono molti i pubblici ministeri che interpretano il loro ruolo in termini garantisti. Temo che la separazione del pubblico ministero dal giudice e dalla sua cultura favorirebbe la prevalenza, in particolare tra i giovani, di un altro modello professionale più vicino alla cultura delle forze di polizia. Senza considerare che al primo contrasto con la politica, sarebbe fortissima la tentazione – e più agevole la strada – per ricondurre questo corpo di duemila samurai senza padrone nella sfera della responsabilità dell’esecutivo.


Ma è possibile riconoscere una patente di garantismo al ministro?

Nelle dichiarazioni di esordio del ministro c’è di tutto. E quindi, accanto a intollerabili semplificazioni e artifici polemici , anche intenti e progetti lodevoli e condivisibili come quelli sul carcere, sulla depenalizzazione, sulla politica della pena. Osservo solo che alla prima prova concreta, il decreto sui rave, Nordio si era espresso in senso adesivo sia sull’introduzione del nuovo reato, sia sull’alto livello delle pene previste, sia sul possibile ricorso alle intercettazioni. Con buona pace delle sue affermazioni di principio e senza nessuna osservazione critica o perplessa sul ruolo assunto in ambito penale dal ministro dell’interno.


«L’obbligatorietà dell’azione penale è diventata arbitrio», dice Nordio. L’Anm reagisce alzando un muro e gridando all’attentato. Non è un tema che andrebbe affrontato?

Ancora una volta Nordio parla come se si fosse all’alba del mondo. Ricordo che la recente riforma della giustizia penale ha previsto che sia «Il Parlamento con legge» a determinare i criteri generali di esercizio dell’azione penale e che nell’ambito di tale legge cornice siano gli uffici di procura ad individuare gli specifici criteri di priorità. È stata dunque tracciata la strada per un esercizio responsabile e trasparente della discrezionalità del pubblico ministero da attuare in termini compatibili con il dettato costituzionale. Per il resto è meglio sorvolare sulla disinvoltura con cui il ministro parla della Costituzione repubblicana e sulla grossolanità con cui rappresenta i pubblici ministeri come un corpo di pubblici ufficiali propensi a deviazioni e abusi.


Nordio dice di voler togliere il giudizio disciplinare «alle correnti» e dunque al Csm. Cosa c’è di sbagliato in questa intenzione? Anche alla luce della prima prova della nuova legge elettorale per la componente togata.

È una proposta non nuova, del resto nessuna delle proposte di Nordio lo è, a suo tempo formulata da Luciano Violante. Se ne può discutere senza pregiudizi soprattutto dopo l’introduzione del codice disciplinare dei magistrati. Naturalmente se si vorrà perseguirla occorrerà cambiare la Costituzione, il che per il ministro non sembra essere un problema.


La maggioranza ha votato per togliere i reati contro la pubblica amministrazione dalla lista degli ostativi. Il ministro immagina la non punibilità del corruttore che confessa (misura, entro certi limiti, già prevista). C’è poi l’annuncio di un’ennesima riforma dell’abuso d’ufficio. Lei come valuta i propositi sulla lotta alla corruzione?

Su questo come su altri terreni occorrerà aspettare che il magma fluido delle dichiarazioni di Nordio, nel quale le contraddizioni tendono a essere occultate, si solidifichi negli stampi di iniziative legislative ed amministrative. Per ora abbiamo ascoltato solo il Nordio pubblicista immaginifico e torrenziale. Aspettiamo ancora il ministro serio e responsabile.

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