Materiali

Metalmeccanici digitalizzati

La Fondazione Sabattini ha sviluppato nel periodo 2017 -2020, una ricerca commissionata dalla FIOM di Bologna su otto aziende metalmeccaniche, leader di tre settori:

  1. automotive (Ducati e Lamborghini);
  2. macchine utensili (Ima, Samp, Marchesini, GD);
  3. fabbricazione di macchine di impiego generale (Bonfiglioli e Cesab).

I risultati sono stati riassunti, analizzati e commentati in un libro pubblicato per i tipi della casa editrice “il Mulino”, con il titolo “Il lavoro operaio digitalizzato. Inchiesta nella metalmeccanica bolognese” a cura di Francesco Garibaldo e Matteo Rinaldini1.

La ricerca si è inserita in una lunga tradizione della FIOM di Bologna di indagini sul campo basate su metodologie di coinvolgimento diretto dei lavoratori e delle lavoratrici e delle loro rappresentanze aziendali2. Ciò si è tradotto in 165 interviste, oltre che un lavoro preliminare di verifica con i consigli di fabbrica sulle situazioni aziendali. Le interviste coi lavoratori hanno riguardato “l’organizzazione del lavoro, le condizioni di lavoro, l’utilizzo di tecnologie riconducibili a Industria 4.0, la gestione delle Risorse Umane (RU) presente all’interno delle imprese e le caratteristiche delle relazioni industriali e sono durate da un minimo di un’ora ad un massimo di un’ora e mezzo” (cap. 3).

A questo gruppo di interviste si sono aggiunte altre 22 interviste con i manager aziendali “sulla traiettoria organizzativa e tecnologica adottata dall’impresa, i driver dell’innovazione, i cambiamenti dei modelli di business, ma anche i fattori critici presenti in questa fase di trasformazione” (cap. 3).

Il gruppo di ricerca ha costruito, assieme ai consigli di fabbrica, un campione di interviste che contenesse sia iscritti/e alla FIOM che agli sindacati e non iscritti/e. Sono stati coinvolti anche impiegati e impiegate.

Il gruppo di ricerca ha anche evitato di assumere ipotesi forti che avrebbero condizionato il carattere aperto della ricerca “per individuare pochi assunti sintetizzati come di seguito.

a) Gli artefatti tecnologici riconducibili a Industria 4.0 sono molteplici ed eterogenei e ricadono sotto le definizioni ‘cappello’ di digitalizzazione e automazione di nuova generazione. Nonostante sia evidente la linea di continuità tra tali artefatti e quelli delle precedenti ondate di innovazione tecnologica, Industria 4.0 si contraddistingue per la capacità di combinazione delle tecnologie Big Data, l’uso estensivo e intensivo di Internet of Things (IoT) e la messa in opera del Cloud Computing.

b) Il rifiuto del determinismo tecnologico, ovvero di una prospettiva che deriva le trasformazioni organizzative e delle condizioni di lavoro da supposte proprietà intrinseche delle tecnologie, ma allo stesso tempo il riconoscimento delle proprietà dispositive degli artefatti tecnologici, da intendersi come spazi di possibilità che le tecnologie (la loro progettazione e il loro utilizzo) aprono/limitano per l’azione organizzativa a livello micro, meso e macro.

c) L’assunzione di una prospettiva che esclude la possibilità di studiare la tecnologia separatamente dal contesto organizzativo e istituzionale in cui è collocata e la conseguente adozione del concetto di ‘pratiche tecnologiche’ e la focalizzazione della dimensione istituzionale in cui queste sono collocate.

d) L’idea che le tecnologie riconducibili a Industria 4.0 e i sistemi di Lean Production (il mainstream organizzativo attuale), al di là delle contraddizioni che possono generarsi durante la loro implementazione, siano per lo meno integrabili tra loro” (cap. 3).

Il gruppo di ricerca ha preliminarmente svolto una rassegna critica della letteratura su Industria 4.0 e sulle conseguenze occupazionali della digitalizzazione che è stata riassunta nei due primi capitoli del libro. Il capitolo terzo riassume il disegno di ricerca; il quarto capitolo legge criticamente i risultati delle interviste ai manager. I successivi e finali quattro capitoli rendono conto dei risultati delle interviste ai lavoratori e alle lavoratrici.

I risultati. Cosa emerge dunque dalla ricerca?

I manager

I manager intervistati hanno illustrato le ragioni delle scelte di digitalizzazione fatte, i primi risultati ottenuti e gli obiettivi strategici perseguiti. I profili di digitalizzazione che emergono sono diversi da azienda ad azienda ma possono essere in prima istanza classificati secondo un interesse primario alla digitalizzazione del processo produttivo (smart manufacturing) o invece dei prodotti (smart products), con un caso che persegue entrambi gli obiettivi. L’interesse primario dipende dalla specifica relazione tra il prodotto di ogni azienda e il suo mercato di riferimento.

Smart manufacturing

Chi punta allo smart manufacturing ha bisogno di potere adeguare la produzione alla domanda e di poterlo fare in tempo reale. Questa comune esigenza si declina in modo diverso a seconda delle imprese. Da un lato si ha chi, come la Ducati, “con la digitalizzazione realizza una rete di oggettivazione: tutti gli strumenti sono digitali, trasmettono cioè delle informazioni a un supervisor che è stato progettato in Ducati. Nel reparto motori l’operatore può assemblare qualunque motore su un’unica linea di montaggio anche se la distribuzione è casuale. Così facendo, Ducati ha realizzato il lotto unico, cioè il flusso a pezzo singolo (one-piece-flow), previsto dalla Lean Production fin dal 2000”. O come la Lamborghini che attraverso la digitalizzazione può utilizzare una nuova linea di montaggio “nella quale le scocche viaggiano su piattaforme mobili Automated Guided Vehicle (AGV) connesse via wi-fi al sistema di gestione. La produzione è sempre una produzione in linea di montaggio ma ciò consente una duplice flessibilità: la linea è riutilizzabile per nuovi prodotti; se una scocca presenta gravi anomalie viene spostata fuori linea senza bisogno di cambiare il take time” (cap. 4).

Dall’altro lato chi, come l’IMA, ha bisogno di metter in parallelo il processo di progettazione dei nuovi prodotti con la loro fabbricazione per modificare/migliorare i prodotti anche attraverso la loro sperimentazione e crea quindi un gemello digitale della macchina, una macchina virtuale, su un computer che consente agli operatori, attraverso appositi tablet, “l’accesso alla documentazione, il ricevimento dei messaggi di errore inviati dalla macchina, il riconoscimento visivo delle diverse parti delle macchine e la guida dell’operatore nelle manovre di ripristino, aspetto quest’ultimo molto importante quando il livello di competenza degli operatori è basso” (cap. 4).

Avevamo ipotizzato una integrabilità tra i modelli della produzione snella e le tecnologie di Industria 4.0 e la conferma è completa ed è ben evidenziata dalle pratiche del cosiddetto flusso a pezzo singolo utilizzato sia in Ducati che in Lamborghini. La Produzione Snella (Lean Production) si basa sull’idea di uscire dai modelli organizzativi a spinta (push), sistemi cioè nei quali si producono in serie prodotti uguali per essere poi venduti in base ad una domanda che viene registrata ex post; in questi casi si adoperano le tecnologie delle catene di montaggio nelle quali viene definito ex ante il numero dei pezzi da produrre. È evidente che queste modalità organizzative hanno senso quando la produzione è una produzione di massa di beni standardizzati. Il vantaggio è la riduzione di costi di produzione, il prezzo da pagare è la totale rigidità del sistema che per un verso per cambiare un prodotto standard per un altro deve riattrezzare la linea di montaggio, per l’altro verso ha bisogno di magazzini finali per stoccare i prodotti finché non verranno richiesti dal mercato. Il modello snello si basa su un sistema a trazione (pull). È la domanda di mercato che decide cosa produrre e in quale quantità sino al caso limite di processare un singolo prodotto A e poi un prodotto B in sequenza, un flusso a pezzo singolo, appunto; questa è una necessità impellente nell’epoca della personalizzazione dei prodotti. La difficoltà e come bilanciare una domanda variabile con la necessità di programmare la produzione. Un imponente sistema di modalità gestionali e organizzative, i cui pionieri furono i giapponesi, è stato creato per cercare di creare tale bilanciamento. La digitalizzazione di Industria 4.0, come ben illustrato da quanto esposto prima rende il flusso a pezzo singolo possibile per via tecnologica. L’obiettivo del flusso a pezzo singolo è molto importante per comprendere la ragioni ultime per l’introduzione di Industria 4.0 in molte industrie, come illustrato da molte ricerche3. Non a caso, quindi, come emerge anche dall’indagine del Politecnico di Milano, una tecnologia largamente adottata è quella dell’Internet-delle-cose (Internet-of-things)4.

Dall’incrocio delle interviste ai manager e ai lavoratori emerge con chiarezza che il sistema di digitalizzazione così descritto viene di norma esteso dall’azienda capofila di una rete di subfornitura al primo livello di tale catena, cioè ai partner strategici mentre gli altri livelli sono meno sostenuti a intraprendere tale processo.

Smart products

Una tendenza industriale ormai affermata da tempo è la confluenza tra industria e servizi. Si tratta di incorporare nei prodotti manifatturieri, grazie alle tecnologie digitali e alle connettività di rete, dei servizi per il cliente, sia esso un’altra impresa industriale (come in molti dei nostri casi) o un consumatore. Si hanno così: “tre cambiamenti: uno spostamento del valore dal prodotto materiale alla sua capacità di fornire dei servizi ad alto valore aggiunto, ad esempio la manutenzione predittiva; la creazione accanto alle tradizionali catene produttive più o meno verticalizzate dei veri e propri ecosistemi industriali che collegano tra di loro fornitori/consumatori di servizi e classiche aziende manifatturiere; una modifica del modello di business che punta a realizzare il massimo ricavo dai servizi rispetto al prodotto (queste nuove possibilità commerciali, ad esempio, possono includere la vendita di piattaforme digitali specifiche per supportare i servizi potenziali che le macchine sono in grado di fornire) (cap. 4)”.

Un campione eponimo di tale tendenza tra le indagate è l’IMA che ha definito questo modello di convergenza l’IMA Digital Ecosystem. In questo modello L’IMA fornisce ai suoi clienti industriali la possibilità di una manutenzione predittiva e in tempo reale online. Ciò ha richiesto la realizzazione di un vero e proprio sistema di Intelligenza Artificiale.

Le relazioni industriali

Il gruppo di ricerca aveva messo tra i propri oggetti di analisi il sistema di relazioni industriali e si è ritenuto che ciò richiedesse la ricostruzione della storia della contrattazione a Bologna dalla fine degli anni Sessanta per comprenderne la specificità /originalità nel conteso nazionale e quindi meglio valutare gli sviluppi recenti. Vi è infatti una continuità evidente di lungo periodo su temi come salario e orario di lavoro e diritti sindacali, e una con un passato più recente, gli anni Duemila, per quanto riguarda la contrattazione della flessibilizzazione del lavoro. In tempi recenti c’è una sperimentazione “di pratiche innovative volte ad affermare il concetto di ‘partecipazione negoziata’, ovvero di una partecipazione continuativa dei lavoratori su tutte le istanze riguardanti la vita all’interno dell’azienda, le scelte strategiche su produzione, cambiamento tecnologico e piani di assunzione. Tale modello si esplicita ad esempio nella cosiddetta ‘contrattazione multilivello’ o ‘ad albero’, caratterizzata da un ‘accordo madre’ in cui vengono presentate diverse tematiche ed una serie di ‘accordi gestionali’ in cui ciascuno di questi temi è oggetto di regolamentazione più approfondita”(cap. 5). Queste pratiche devono misurarsi con la diversità rilevante di capacità negoziale tra le aziende madri e quelle del primo livello verso le altre; difformità che evidenzia un rischio corporativo in totale discontinuità con la situazione precedente.

La condizione lavorativa

Dall’indagine emerge un giudizio positivo sugli aspetti ergonomici e di sicurezza delle macchine /impianti grazie alla digitalizzazione. Per il resto la situazione è ben diversa.

Per quanto riguarda le trasformazioni della condizione lavorativa la lean production deve fare i conti, a differenza del passato, non solo con le quantità richieste dal mercato, ma anche con la richiesta di prodotti diversi in quantità diverse. Il punto per i capitalisti/manager è che ciò deve avvenire in modo efficiente. Nella singola azienda ciò vuol dire che non si può sacrificare all’altare della flessibilità la necessità della saturazione massima del tempo di lavoro. Come sostenevano i tecnici della Fiat in un opuscolo interno, ciò significa che il lavoratore deve essere asservito alle necessità del sistema di livellarsi e sincronizzarsi. Nel modello di Industria 4.0 si ipotizza che il flusso teso sia realizzabile attraverso il collegamento per via digitale delle diverse parti della linea di produzione, non solo quella interna all’azienda, ma di tutta la catena di fornitura. Il collegamento non sarebbe solo tra le macchine, ma anche tra le macchine e gli uomini. Si riprodurrebbe, in forme nuove, l’asservimento del lavoratore alle necessità del sistema, necessità che si presenterebbe sempre meno sotto forma di rapporto social-gerarchico che presiede al processo produttivo e sempre più sotto forma di richiesta oggettiva di un sistema autoregolantesi. Il controllo della produzione e la sua organizzazione operativa non sono più mediati dalla gerarchia aziendale, se non che in caso di criticità impreviste. La disciplina della produzione si oggettiva e si naturalizza: è il calcolo di un algoritmo.

In secondo luogo, la disintermediazione non rende il sistema meno gerarchico e autoritario, anzi l’opposto. Un sistema autoregolantesi in base ad algoritmi non ammette deroghe.

In terzo luogo, una parte del saper fare necessario anche nelle situazioni a ritmo vincolato (le catene) viene ridotta, quando non eliminata.

Ciò comporta “un’intensificazione del ritmo di lavoro e una riduzione dei tempi di ciascuna operazione e del processo produttivo nel suo insieme, tramite la tendenza ad eliminare le porosità del tempo di lavoro e ad aumentare la sua saturazione” (cap. 6). Ogni istante del tempo trascorso al lavoro è categorizzabile come utile o sprecato, non a consuntivo, ma in tempo reale; sei (quasi) sempre presente per il sistema cyber-fisico. Ciò consente continui aggiustamenti tecnologici e/o organizzativi, attraverso cicli dedicati di feedback, per far crescere gli istanti produttivi e ridurre quelli improduttivi; aumenta la densità dl tempo di lavoro. La natura flessibile del lavoro richiede una continua capacità adattiva che richiede prestazioni cognitive maggiori; aumenta quindi non solo la saturazione ma l’intensità cognitiva richiesta in ogni istante lavorativo.

Dal punto di vista della professionalità e dei contenuti del lavoro, l’introduzione di tecnologie anche molto avanzate non risulta comportare necessariamente un miglioramento delle competenze. Spesso, infatti, lo svuotamento del contenuto professionale si accompagna ad un’accresciuta dipendenza da macchine e strumenti di lavoro, riducendo gli spazi di autonomia dei lavoratori” (cap. 6).

Uno degli obiettivi della ricerca era la ricostruzione “dello stato dell’arte dell’implementazione delle High Performance Work Practices (HPWP) nelle imprese oggetto di studio che hanno intrapreso una trasformazione riconducibile ad Industria 4.0” cioè “l’insieme integrato di pratiche di flessibilizzazione dell’organizzazione del lavoro che hanno l’obiettivo di aumentare la performance produttiva dell’impresa [Tamkin 2004]. Allo stesso tempo le HPWP rappresentano, in accordo con la retorica manageriale, un sistema organizzativo potenzialmente in grado di conciliare soddisfazione lavorativa, benessere e incremento della produttività del lavoro ” (cap. 7).

L’analisi ha riguardato le varie pratiche riconducibili alle HPWP che sono: “assunzione selettiva di nuovo personale; formazione diffusa; team autogestiti e decentramento del processo decisionale (come principi fondamentali della progettazione organizzativa); riduzione delle distinzioni e barriere di status (compreso l’abbigliamento, il linguaggio, l’organizzazione dell’ufficio, e le differenze salariali tra i vari livelli); sistemi premiali con una relativamente elevata compensazione in funzione delle prestazioni; sicurezza occupazionale; condivisione estesa di informazioni finanziarie e di prestazioni in tutta l’organizzazione” (cap.7).

Il risultato è che tali pratiche non sono in contrasto con i processi di digitalizzazione anche se sono molto differenziate tra le imprese oggetto dell’indagine, con una situazione più avanzata (livello di formalizzazione e trasparenza delle pratiche valutative e dei sistemi premiali) di Lamborghini e Ima.

L’ultimo tema è quello della valutazione della capacità negoziale del sindacato sulle tecnologie 4.0.

Il sindacato e la contrattazione

Vale la pena, per concludere questo articolo, di riportare per intero le conclusioni su questo punto essenziale:

Sulla base di ciò che è emerso dalle interviste svolte con i lavoratori, appare evidente che nelle imprese oggetto di studio il sindacato è stato un attore importante nel processo di implementazione delle nuove tecnologie riconducibili a Industria 4.0. In alcune tra le imprese studiate il ruolo dei sindacati nel processo decisionale sui cambiamenti tecnologici sembra essere stato più significativo che in altre, ma, in generale, i sindacati non sembrano essersi limitati a recepire passivamente le trasformazioni tecno-organizzative che hanno avuto luogo negli ultimi anni. Infatti, è vero che nella fase di introduzione delle nuove tecnologie e, in particolare, nel momento della loro progettazione il ruolo delle organizzazioni sindacali sembra essere stato limitato, ma la capacità di negoziazione delle organizzazioni sindacali sembra aumentare significativamente nella fase di integrazione delle nuove tecnologie, ovvero nel momento in cui le nuove tecnologie si ‘incontrano’ con l’organizzazione del lavoro. Non a caso, nonostante sia diffusa tra i lavoratori l’idea che sviluppo tecnologico e organizzazione del lavoro siano ambiti di competenza aziendale e che l’azione negoziale dei sindacati abbia altre priorità, la valutazione che i lavoratori danno dell’azione sindacale sulle tecnologie e sull’organizzazione del lavoro è certamente positiva. In altri termini, nelle realtà inchiestate il sindacato sembra avere raccolto le sfide lanciate dalle nuove tecnologie riconducibili a Industria 4.0 a cui si è accennato nell’introduzione del presente capitolo. Formazione, mantenimento (se non addirittura aumento) dell’occupazione, condizioni di lavoro (in termini di salute e sicurezza) e anche organizzazione del lavoro (in termini di tempo esterno di lavoro) sono tutti aspetti che rientrano nell’azione negoziale dei sindacati e i risultati sono riconosciuti dai lavoratori. Si conferma, inoltre, l’importanza delle rappresentanze sindacali all’interno dell’impresa e della qualità delle relazioni industriali che le parti sono state capaci di costruire a livello aziendale. Allo stesso tempo, i casi studiati mostrano che i sindacati non svolgono semplicemente una funzione di legittimazione delle trasformazioni tecnologiche e organizzative decise dal management, come vuole una parte di letteratura mainstream, ma invece esercitano, a partire dalle opportunità derivanti dal peso contrattuale acquisito nel tempo in ciascuna realtà, un’azione negoziale capace di influenzare l’integrazione delle nuove tecnologie nei processi produttivi, riuscendo a tutelare le condizioni di lavoro acquisite in passato e, in alcuni casi, a migliorarle. All’interno di questo quadro, tuttavia, è evidente che rimane alto il rischio di ripiegamento dell’azione negoziale dei sindacati all’interno della dimensione aziendale. Infatti, poco o nulla hanno saputo dire i lavoratori intervistati (nemmeno chi ricopriva incarichi sindacali a livello aziendale) rispetto alle condizioni di lavoro presenti nelle altre imprese più ‘vicine’ per mercato e territorio (ad esempio i fornitori strategici delle imprese oggetto di studio), nonostante fosse chiaro a tutti che proprio le nuove tecnologie e i modelli organizzativi implementati hanno consolidato un ecosistema (o una filiera) caratterizzato da interdipendenze sempre più strette. Così come, in alcune realtà studiate (a dire il vero non in tutte), è evidente che i lavoratori interinali e quelli delle imprese cooperative in appalto non sono coinvolti come i dipendenti diretti dall’azione negoziale portata avanti dalle rappresentanze sindacali a livello aziendale e ne beneficiano, nel migliore dei casi, solo parzialmente. Lo ‘scivolamento’ strutturale dell’azione sindacale in una dimensione aziendale indubbiamente rappresenta uno snodo critico per l’intero sistema di relazioni industriali italiano, punto di scontro non semplicemente tattico o strategico, ma tra diverse concezioni di essere e fare sindacato. Allo stesso tempo, per una tradizione sindacale come quella della metalmeccanica bolognese (e in particolare della FIOM CGIL), che si è caratterizzata per essere stata capace sulla base di un principio di solidarietà e unità della classe lavoratrice, di estendere all’intero settore o addirittura al territorio locale le conquiste ottenute di volta in volta nelle punte più avanzate di contrattazione articolata (si veda il capitolo 5), il ripiegamento dell’azione sindacale in una dimensione aziendale può avere conseguenze deflagranti” (cap. 8).

Note

1 Garibaldo ha scritto i capitoli 1 e 4 e Rinaldini il 3 e ha contribuito ai capitoli 7 e 8. Gli altri saggi sono stati scritti da Daniela Freddi (2); Armanda Cetrulo & Angelo Moro (5), Matteo Gaddi (6); Valeria Cirillo, Jacopo Staccioli & Maria Enrica Virgillito (7,8).

2 La prima di queste indagini risale al 1984 e venne pubblicata dalla CLUEB nel 1986 con il titolo “L’altra faccia della Luna” a cura di Alberto Merini ed Emilio Rebecchi; essa riguardava l’introduzione della tecnologia informatica. Una ricerca analoga per metodologia è quella commissionata dalla FIOM nazionale, svolta sulle fabbriche del software negli anni duemila, a cura di Mario Bolognani, Alfonso Fuggetta, e Francesco Garibaldo e pubblicata da Meta edizioni nel 2002 con il titolo “Le fabbriche invisibili”. Sulla metodologia vedasi: https://www.academia.edu/45429563/SOME_REFLECTIONS_ON_THE_EPISTEMOLOGICAL_FUNDAMENTS_OF_AN_ITALIAN_ACTION_RESEARCH_EXPERIENCE https://www.academia.edu/56207999/The_history_of_an_Italian_action_research_experience

3 La nostra Fondazione ha infatti svolto altre indagini nelle regioni del Nord come quella di Matteo Gaddi in Veneto, http://www.fondazionesabattini.it/download/914

4 Per “Internet of Things (IoT)”o “Internet delle Cose”si intende quel percorso nello sviluppo tecnologico in base al quale, attraverso la rete Internet, potenzialmente ogni oggetto dell’esperienza quotidiana acquista una sua identità nel mondo digitale. Come detto, l’IoT si basa sull’idea di oggetti “intelligenti” tra loro interconnessiin modo da scambiare le informazioni possedute, raccolte e/o elaborate. (https://blog.osservatori.net/it_it)

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